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Della violenza

Sto leggendo uno degli ultimi gialli di John Sandford e nelle prime pagine c’è un episodio nel quale Lucas osserva una rissa durante un comizio elettorale. Due tizi se le danno di santa ragione mentre

nessuno sembrava volesse intervenire, tranne una donna con una maglia gialla che non smetteva di implorare: «È questo il modo di sistemare le cose? È questo il modo con cui adulti…». Si fermò e cominciò a tamponarsi una macchia di sangue che le era schizzata sulla maglia.

Lucas si chiese brevemente se la la donna avesse un deficit mentale: nella sua esperienza le risse sistemavano ogni genere di cose. Alcune permanentemente.

***

Sandford è un democratico del midwest rurale. Lucas Davenport, il suo protagonista, un poliziotto ruvido con un passato da jock e un presente molto macho. Che la pensino così è normale.

Ma leggevo questo incipit nel mezzo di discussioni piuttosto inani sulla legalità catalana e l’uso della violenza, o sull’illegalità e l’uso della violenza a seconda di come si guardano le cose, e il passaggio mi ha colpito. Perché dice, combinando lucidità e miopia col misero raziocinio disponibile a un vecchio bisonte della prateria, una cosa vera: la violenza esiste, non è casuale, e entro certe definizioni ben precise, funziona. In determinate circostanze, funziona anche bene: vedi, che so, alla voce piazza Tien An Men.

Aggiungo un pezzettino: sentivo oggi alla radio che si parlava di Che Guevara e uno ha mandato un messaggino sul genere: «Non si può mitizzare uno che andava in giro a sparacchiare e ammazzare la gente».

A parte la mancanza di contestualizzazione storica, sono frasi che stanno alla consapevolezza del mondo come: «Allora mangino brioche» stava all’arte del buon governo. Anzi, derivano dalla stessa radice; non tanto dall’elitismo, quanto dalla mancanza di coscienza delle cose, dal desiderio torpido che tutto si possa sistemare senza troppo incomodare gli astanti.

Oh, vi ricordo che io sono un pacifista: dico queste cose non per dire che la violenza sia insuperabile, anzi, ma per dire che per superarla davvero non può funzionare né l’esorcizzazione né la rimozione del tema, o gli espedienti retorici che sono esattamente speculari alle retoriche militaristiche o machiste.

Nel caso specifico, mi sembra che tutte le discussioni sulla Catalogna che ho sentito siano appunto inani – quando non sono rivoltanti per la strumentalità – perché soffrono di questa dinamica da commentatori da salotto, ignorando cosa vuol dire sentirsi in campo e voler assumere la lotta fino in fondo, da entrambe le parti: solo dopo si può ragionare sul come si dovrebbe fare per assumere la lotta e non ricorrere alla violenza (parallelamente, vale per la disobbedienza, l’illegalità): dopo, non prima.

***

Extreme prey è un romanzetto ma, a parte questo passaggio, ha un’altra cosa interessante. I protagonisti sono un gruppo di militanti rurali di sinistra – diciamo: alla sinistra di Bernie Sanders – che progettano di uccidere una candidata alla presidenza degli Stati Uniti che assomiglia molto a Hilary Clinton. Il collegamento con l’attualità può apparire debole: il romanzo chiude con una chiara previsione del successo della candidata (è uscito nell’aprile del 2016) e tutti sappiamo com’è andata a finire.

Ma la descrizione dell’ambiente alternativo, radicale, no global (si possono usare molte etichette e sono tutte sbagliate, perché la collocazione originale dei protagonisti è nella crisi rurale americana degli anni ’80, un momento ignoto a noi europei) colpisce: non tanto perché questi ex attivisti sono ormai sessantenni o più, stanchi e imbolsiti, gente che è, in fondo, mestamente vinta (e infatti qualcuno decide l’ultimo colpo di coda eclatante); ma perché si vede che il loro movimento, nella descrizione di Sandford, ha attraversato mutazioni genetiche ciascuna impercettibile ma complessivamente travolgenti: e quindi è un ambiente che noi chiameremmo cospirazionista, che crede a qualunque cosa e fa proprie tutte le parole d’ordine, purché siano contro, comprese alcune che gli dovrebbero parere aberranti; perplessi, gli analisti della polizia esaminano i volantini e non ci si raccapezzano: nel patchwork trovano parole d’ordine di destra e sinistra e non ci capiscono niente.

Ripeto: è un romanzetto, ma Sandford ha un discreto intuito  e la descrizione colpisce chi conosce quel tipo di mondo e ne ritrova i limiti: e il dilaniarsi finale del gruppo che alla fine, saltati tutti i legami di militanza e solidarietà, finisce per darsi alla eliminazione reciproca e alla delazione, mi ha colpito molto più del macello bombarolo finale sul quale invece Sandford indugia.

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2 pensieri riguardo “Della violenza

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