Diceva Goebbels… già, cosa diceva Goebbels, esattamente?
Ieri a un certo punto della serata ho visto passare nel mio Facebook un testo attribuito a Goebbels che cita «undici principi della propaganda nazista». L’amica carissima che l’ha condiviso – dal post di un personaggio rispettabile che condivideva a sua volta un altro personaggio rispettabilissimo – esprimeva già lei un dubbio: ma sarà veramente Goebbels?
1. Principio della semplificazione e del nemico unico.
È necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l’avversario in un nemico, nell’unico responsabile di tutti i mali.2. Principio del metodo del contagio.
Riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo.3. Principio della trasposizione.
Caricare sull’avversario i propri errori e difetti, rispondendo all’attacco con l’attacco. Se non puoi negare le cattive notizie, inventane di nuove per distrarre.4. Principio dell’esagerazione e del travisamento.
Trasformare qualunque aneddoto, per piccolo che sia, in minaccia grave.5. Principio della volgarizzazione.
Tutta la propaganda deve essere popolare, adattando il suo livello al meno intelligente degli individui ai quali va diretta. Quanto più è grande la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare. La capacità ricettiva delle masse è limitata e la loro comprensione media scarsa, così come la loro memoria.6. Principio di orchestrazione.
La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto dubbi o incertezze. Da qui proviene anche la frase: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”.7. Principio del continuo rinnovamento.
Occorre emettere costantemente informazioni e argomenti nuovi (anche non strettamente pertinenti) a un tale ritmo che, quando l’avversario risponda, il pubblico sia già interessato ad altre cose. Le risposte dell’avversario non devono mai avere la possibilità di fermare il livello crescente delle accuse.8. Principio della verosimiglianza.
Costruire argomenti fittizi a partire da fonti diverse, attraverso i cosiddetti palloni sonda, o attraverso informazioni frammentarie.9. Principio del silenziamento.
Passare sotto silenzio le domande sulle quali non ci sono argomenti e dissimulare le notizie che favoriscono l’avversario.10. Principio della trasfusione.
Come regola generale, la propaganda opera sempre a partire da un substrato precedente, si tratti di una mitologia nazionale o un complesso di odi e pregiudizi tradizionali. Si tratta di diffondere argomenti che possano mettere le radici in atteggiamenti primitivi.11. Principio dell’unanimità.
Portare la gente a credere che le opinioni espresse siano condivise da tutti, creando una falsa impressione di unanimità.Joseph Paul Goebbels, Ministro della Propaganda nazista.
Come nel caso di Malco, di Neruda, dei flashmob e di una serie di altre bufale, l’attribuzione mi stonava, bisogna sempre diffidare di questi elenchi così standardizzati e poi queste sono esattamente le piccole ricerche inutili per le quali vado pazzo, quindi mi sono messo a cercare di confermare o meno l’attribuzione. Posto qui sotto i risultati perché così la prossima volta che a qualcuno capita di avere il dubbio, con una ricerchina su Google trova questo articolo e non deve fare troppa fatica. Pensate come sono altruista: come dice il mio socio e compagno Fabbricastorie Tino Dessì dopo aver fatto questa ricerca Google mi proporrà per anni la pubblicità di tutti i siti di ultradestra possibili e immaginabili, e io ho fatto tutto questo sacrificio per voi.
Va anche detto che nella stessa serata, con i Fabbricastorie, ci siamo fatti una ricerca sui tool per fare videogame del genere visual novel, che sono tutti storielle d’amore fra ninfette giapponesi con le tette grosse e sosia di Capitan Harlock: probabilmente Google trarrà le sue conclusioni e d’ora in poi mi proporrà solo la pubblicità di hentai ariani, temo: maledetto algoritmo, non mi avrai.
Comunque.
Torniamo a noi, comunque: quelli elencati sopra sono i principi di Goebbels o no?
No, o almeno: non tanto. Intanto, è materiale che gira almeno da un decennio, ed è già significativo che inizialmente fosse proposto nei siti di controinformazione (soprattutto antivaccinisti) e poi, man mano, abbia fatto tutto il giro e venga proposto, ora, da elementi dell’establishment preoccupati della crescita dei populismi: una conferma indiretta della verità della legge di Godwin e della reductio ad Hitlerum in mancanza di altri argomenti.
La cosa però non risolveva la domanda principale e cioè la verità dell’attribuzione a Goebbels, anche se era una prova indiretta abbastanza forte: quando uno stesso testo è ripetuto mille volte sempre in maniera uguale, senza mai uno straccio di fonte, è abbastanza probabile che sia una qualche forma di leggenda urbana o di passa parola. Non trovando soddisfazione in italiano, ho provato a verificare se fosse la traduzione di un testo in inglese e se fosse possibile rintracciarne il percorso sul web globale.
La cosa sorprendente è che in inglese si trovano un buon numero di riferimenti ai “principi di propaganda di Goebbels”, ma sono diversi, e derivano dal lavoro di uno storico serio, Goebbels’ Principles of Propaganda, di Leonard W. Doob. Una sintesi del lavoro di Doob è riportata in moltissimi siti, molto più numerosi di quelli che riportano la lista diffusa in Italia, e più o meno il contenuto è questo (traduco da uno dei tanti siti che lo riportano, non uno dei più raccomandabili ma certamente il più interessante):
- Il propagandista deve avere accesso alle informazioni riguardanti i fatti e l’opinione pubblica
- La propaganda deve essere pianificata ed eseguita da una sola autorità
- questa deve emettere tutte le direttive riguardanti la propaganda
- deve spiegare le direttive agli ufficiali principali e deve mantenere alto il loro morale
- deve sovraintendere alle attività delle altre agenzie che hanno conseguenze sulla propaganda
- Le conseguenze propagandistiche di un’azione devono essere considerate quando la si pianifica.
- La propaganda deve influenzare la politica e le azioni dell’avversario
- censurando il materiale propagandisticamente desiderabile che può fornire all’avversario informazioni utili
- disseminando apertamente propaganda i cui contenuti o tono inducano l’avversario a trarre le desiderate conclusioni
- inducendo l’avversario a rivelare informazioni vitali circa se stesso
- non facendo riferimento a un’attività dell’avversario che si desidera venga compiuta, se qualunque riferimento discrediterebbe quell’attività
- Informazioni operative e declassificate devono essere disponibili per condurre una campagna propagandistica
- Per essere accolta, la propaganda deve catturare l’attenzione del pubblico e deve essere trasmessa attraverso un mezzo di comunicazione che riscuota attenzione.
- La sola credibilità deve determinare se un prodotto propagandistico debba essere vero o falso
- Lo scopo, il contenuto e l’efficacia della propaganda nemica; la forza e l’efficacia di uno scoop; e la natura della campagne propagandistiche in corso determinano se la propaganda dell’avversario dovrebbero essere ignorate o smentite
- La credibilità, le informazioni riguardo all’avversario e i possibili effetti della comunicazione determinano se materiali di propaganda debbano essere censurati
- Materiali provenienti dalla propaganda del’avversario possono essere utilizzati nelle operazioni se questo aiuta a diminuire il suo prestigio o sostengono gli obiettivi propri del propagandista
- La propaganda nera può essere impiegata invece di quella bianca qualora questa sia meno credibile o possa produrre effetti indesiderati
- La propaganda può essere facilitata da leader dotati di prestigio
- La propaganda va accuratamente gestita rispetto al momento
- la comunicazione deve raggiungere il pubblico prima della propaganda concorrente
- la campagna di propaganda deve iniziare al momento più opportuno
- Un tema propagandistico deve essere ripetuto, ma non oltre il punto dopo il quale l’effetto diminuisce
- La propaganda deve etichettare eventi o persone con frasi o slogan distintivi
- questi devono evocare le risposte desiderate che il pubblico già possiede
- questi devono essere capaci di essere imparati facilmente
- questi devono essere utilizzati più e più volte, ma solo in situazioni appropriate
- questi devono essere a prova di effetto boomerang
- La propaganda rivolta al fronte interno deve prevenire il sorgere di false speranze che possono essere schiacciate da eventi futuri
- La propaganda rivolta al fronte interno deve creare il livello di ansia ottimo
- la propaganda deve rinforzare l’ansia riguardante le conseguenze della sconfitta
- la propaganda deve ridurre l’ansia (diversa da quella riguardante le conseguenze della sconfitta) che sia troppo alta e che non possa essere ridotta dalle persone da sole
- La propaganda rivolta al fronte interno deve diminuire l’impatto della frustrazione
- la frustrazione inevitabile deve essere prevista e anticipata
- la frustrazione inevitabile deve essere posta in prospettiva
- La propaganda deve facilitare il reindirizzamento dell’aggressività specificando il bersaglio dell’odio
- La propaganda non può agire direttamente su forti contro-tendenze, ma invece deve offrire qualche forma di azione o distrazione, o entrambe.
È piuttosto differente dagli 11 principi, no? E letto così, devo dire, rimane machiavellico ma tutto sommato è già meno agghiacciante, anche perché rispetto all’altro manca la firma: potrebbe averlo detto un qualunque ufficiale addetto alla propaganda di guerra, e infatti il sito su cui l’ho trovato è orientato alle forze armate americane e non si pone troppi problemi.
La questione fondamentale, però, è un’altra: questo non è un testo prescrittivo, ma descrittivo; se si va a leggere l’articolo di Doob si capisce che si tratta dei titoli dei capitoletti nei quali è diviso, che rappresentano ciò che Doob, non Goebbels, desume fossero le regole della propaganda nazista dopo un accurato studio dei diari di Goebbels stesso. È un testo interessante per capire come ragionasse l’uomo e come funzionasse dall’interno il regime – e, certo, probabilmente qualunque regime e qualunque apparato di propaganda – ma non un manuale di comunicazione politica (l’articolo rimane comunque una lettura consigliatissima).
Il testo di Doob è piuttosto autorevole, è citato ovunque, e il fatto che non menzioni alcuna lista di principi e istruzioni stilata da Goebbels stesso permette di desumere, con una certa sicurezza, che l’elenco che girava su Facebook è un apocrifo. Peraltro un riferimento trovato per caso in un altro sito mi ha portato a Propaganda and Persuasion di Jowett e O’Donnell, un tomone che dovrebbe essere la summa dello stato dell’arte nel campo della storia del marketing sociale, fatto da due accademici e sicuramente autorevole. Là dentro (io ho visto la quinta edizione, quella in vendita ora è la sesta) trovo:
Nel Mein Kampf, Hitler stabilì diverse regole cardinali per una propaganda di successo: a) evitare idee astratte e fare appello invece alle emozioni, il che era il contrario dell’idea marxista, b) impiegare la ripetizione costante di solo poche idee, usando frase stereotipate e evitando l’obiettività, c) proporre solo una faccia della medaglia, d) criticare costantemente i nemici dello stato e e) identificare un solo nemico speciale per una denigrazione speciale. Attraverso tutto il periodo nazista Hitler e Goebbels aderirono rigidamente a questi principi e il mondo assistette all’accettazione da parte di un popolo colto e maturo – i tedeschi – di una delle più dure dittature della storia, che scatenò una guerra prolungata e alla fine istituì come politica il più odioso di tutti i crimini, il genocidio.
Hitler aveva ammirato gli sforzi di propaganda degli inglesi durante la Prima Guerra Mondiale; il lavoro del poeta-politico Gabriele D’Annunzio, il dittatore della breve esperienza di Fiume in Italia; e lo stile estroverso e l’antisemitismo di Karl Lueger, il sindaco di Vienna. Un elemento chiave del pensiero di Hitler è che egli vedeva le masse come «malleabili, corrotte e corruttibili» e aperte agli appelli emotivi, ma in particolare egli realizzò che la propaganda poteva divenire molto più efficace se una buona dose di intimidazione e terrore l’avessero rafforzata (Zeman, 1973).
Vi ho lasciato il riferimento alla propaganda inglese e a D’annunzio come avvertenza contro ogni possibile rischio di moralismo, ma il punto interessante mi pare l’inizio: alcuni dei principi del Mein Kampf assomigliano alla nostra lista iniziale e trovo probabile che l’estensore degli 11 principi abbia, in qualche modo, fuso un po’ di Hitler, un po’ di Goebbels e un po’ di quel che pareva a lui.
Non che questo renda la lista più accettabile, naturalmente, ma sul perché attribuirla a Goebbels invece che a Hitler torneremo poi.
Intanto, chi l’avrà mai scritta? Prima che la tensione per la mancata rivelazione vi faccia scalare le pareti con le unghie, lo ammetto: non lo so. Però, seguendo l’indizio di un pazzo, che dei presunti principi di Goebbels ha fatto addirittura un Prezi ambientato in un museo e che è spagnolo, mi sono fatto un giro sui siti ispanofoni e ho scoperto, con una certa sorpresa, che in quella comunità linguistica il testo è notissimo, tanto che normalmente viene definito come: «i famosi 11 principi di Goebbels», come se non ci fosse bisogno di dire altro. Peraltro ho trovato spesso una certa confusione, perché l’elenco è attribuito talvolta a un articolo di una docente di Salamanca, Emma Rodero Antón, Concepto y técnicas de la propaganda y su aplicación al nazismo, un’altra lettura consigliatissima che però dice tutt’altro (e fissa, sulla base delle azioni naziste, l’ennesimo elenco di leggi da rispettare nella propaganda, in questo caso nove).
Arrivato a questo punto e dopo avere navigato in una marea di citazioni più o meno tutte uguali mi sono un po’ stufato, mi sono convinto – del tutto a naso – che l’autore dell’elenco citato è spagnolo o latinoamericano, viene dal mondo della comunicazione pubblicitaria o del coaching, e che il testo – secondo le regole attuali della trasformazione in strumento di offesa del materiale che gira sul web – è poi mutato in attrezzo da dare in testa, palesemente o nascostamente, agli avversari politici e sociali. Ed è su questo che vorrei fare le ultime osservazioni.
Intanto, il semiologo dilettante che è in me direbbe che è un testo moralista. Perché? Perché è firmato Goebbels. Non Hitler, perché Hitler era pazzo e odioso e come autore non funziona: ma Goebbels, che si sa che era fanatico, sì, ma infido e astutissimo, invece è perfetto.
È la forma che crea l’effetto comunicativo: se anche quel testo dicesse delle cose condivisibili, non lo sarebbe più dopo che uno legge chi è che l’ha detto. Magari l’ignoto autore iniziale voleva solo creare un effetto a sorpresa in un corso di formazione, sul genere guardate un po’ chi lo diceva, ah-ah (un buon numero fra coloro che lo ripropongono, in ambito ispanofono, sono comunicatori con un approccio abbastanza neutrale), ma la presenza della firma ha determinato poi l’utilizzo: la forma intermedia è quella di diversi siti che usano il testo come rappresentazione della cattiva comunicazione prima di presentare la buona (o i presidi democratici utili a scongiurare le dittature), ma la forma finale e più diffusa ora sulla rete è sempre quella di dire: ah-ah, vedete?! [inserire avversario politico] si comporta proprio come Goebbels.
La cosa curiosa è che in ambito ispanofono ci sono un sacco di tesi di laurea che, giulive, applicano il confronto fra Goebbels e un po’ di tutto: Chávez e il Venezuela, per esempio, o l’ISIS. Oppure Bush. Me ne sono letto diverse, per vedere che fonti citavano: è stato deludente ma bellissimo scoprire che regolarmente avevano scaricato l’elenco da siti bislacchi o, peggio, si citavano a vicenda. Ne ho tratto anche riflessioni sullo stato di salute dell’istruzione spagnola o latinoamericana, poi ho pensato che forse non era il caso di fare tanto i superiori.
Ma il punto interessante è proprio questo: che è troppo facile lavorare in questo modo; siamo in fondo di fronte a una ennesima variazione della fallacia logica dell’uomo di paglia: se si vuole screditare un avversario politico forte comunicativamente è perfino troppo comodo farlo rientrare in quelle che, tutto sommato, sono regole di comunicazione politica piuttosto consolidate (provate a rileggerle facendo finta che le abbia pubblicate l’addetto stampa di un personaggio magari a voi sgradito ma non riprovevole in assoluto, come Blair oppure Marchionne o Giuliano Ferrara, e vedete l’effetto che fa). Negli anni questo testo è stato applicato a tutto e al contrario di tutto: Stalin, Bush, Chávez, al-Baghdadi, Big Pharma, le multinazionali, le centrali pubblicitarie, i nemici degli animali, il governo (qualunque esso sia), i capitalisti e, da ultimi, i populisti qui in Italia. Viene bene con tutti perché, evidentemente, prende allo stomaco e non lascia pensare.
Ed è per questo, mi perdonerà l’amica carissima che l’ha condiviso, che occorrerebbe dubitare alla fonte: perché condividere vuol dire soggiacere a quella dimensione di semplificazione che è esattamente la cifra distintiva della linea comunicativa del testo che stiamo così tanto riprovando. E, mi perdoneranno le persone rispettabilissime che per prime l’hanno condiviso, per gente che certo non appartiene al controsistema o ai cospirazionismi e che certamente non è a favore delle fake news, fare propaganda politica contribuendo a far circolare materiale spurio non è proprio bellissimo.
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Grazie!!! “Lavoro” molto utile e considerazioni finali molto condivisibili
La ringrazio 😉
Hai letto il libro “Goebbels. 11 tattiche di manipolazione oscura” di G. Magi? Evidentemente no. Lì ci trovi l’elenco che citi (anche se in maniera imperfetta) all’inizio del tuo post. E non è firmato da Goebbels, ovviamente…
Penserei tendenzialmente che Magi abbia pescato anche lui da fonti trovate qui e là, e poi rielaborato.
Ora, a distanza di tre anni e mezzo dalla pubblicazione di tale articolo, e data la situazione odierna e perpetua piuttosto marcata, potrebbe stendere un ulteriore articolo sullo stesso argomento che possa convogliare l’analisi verso riflessioni più radicalizzate? Sappiamo che Gobbels in effetti non ha puntualizzato delle tattiche, ma le ha bensì sviluppate empiricamente e messe in atto sulla massa; e sappiamo che nei suoi diari espresse piuttosto le sue idee, le sue ambizioni, osservazioni ed esperienze politiche. La “traduzione” del graduale progetto propagandistico di Gobbels (che prese anche ispirazione da Bernays) sintetizzate in tattiche, sembra essere servito a dare un aspetto concepibile e in modo più fruibile di un discorso piuttosto complesso che abita da secoli nell’uomo per l’uomo. Non oserei a spostarmi, tra un click e l’altro, a cercare su Google articoletti che diano immediate risposte per soddisfare i bias di conferma con il rischio preannunciato di accontentarmi di niente, e al contempo di convincermi ad aver ottenuto una conclusione seppur generalizzata.
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Arrivo tardi, ma spero non fuori tempo massimo, nel commentare questo post! Mi sono occupato di propaganda (e di Goebbels) per un libro scritto anni addietro e ho casualmente incrociato un paio di anni fa questo suo articolo così ben documentato. Spinto dalla curiosità, ho cercato di approfondire il tema e ho scoperto che il vero autore dei cosiddetti 11 principi di Goebbels non è affatto Goebbels, come lei giustamente sostiene. Si chiama, invece, Marçal Moliné ed è un famoso pubblicitario di Barcellona, lettore appassionato del saggista francese J-M. Domenach e del suo libro “La propagande politique”, scritto nel 1951, e di un altro autore francese, Pol Quentin, che, sotto il regime di Vichy ha scritto un testo con il medesimo titolo all’inizio degli anni Quaranta. Proprio su questi due testi si trova una prima stesura schematica che sintetizza i principi della propaganda ai quali si sarebbe ispirato Goebbels: dunque, non i principi di Goebbels, perché questi non ha mai lasciato scritto nulla che potesse rivelare i segreti della sua ignobile arte, nella quale peraltro eccelleva. Moliné, in polemica con il partito popolare di Aznar (lui simpatizzava per i socialisti), nel 2003, sulla rivista Anuncios scrive un artiicolo sulle “11 regole della propaganda secondo Goebbels”, accusando il PPE di utilizzare costantemente quei principi e spronando i socialisti a fare altrettanto. Da allora cominciala saga degli “11 principi”: dapprima solo sulla stampa spagnola, poi su quella sudamericana, infine anche su quella italiana. Purtroppo non c’è rimedio alla deriva della stupidità e del conformismo più ottuso. E ancora oggi dobbiamo constatere che continuano ad essere pubblicati articoli, libri, tesi di laurea, interviste su un libro inesistente.
La ringrazio molto. Sono contento di averci azzeccato!