Vagabonda nel gelo
Senza tetto né legge (Agnès Varda, Francia 1985)
Ho recuperato l’altro giorno, a trent’anni dall’uscita, Senza tetto né legge di Agnès Varda, grazie al ciclo di film sulla disobbedienza che è a attualmente in programmazione al Laboratorio28.
Costruito come un lungo flashback, risolto apparentemente come un documentario, con l’alternarsi delle scene di vita vagabonda della protagonista e delle dichiarazioni delle persone che l’hanno incontrata, come fosse un’inchiesta giornalistica o giudiziaria, Senza tetto né legge è un film estremamente ingannevole.
Ingannevole. Come documentario: manca qualunque informazione reale sul passato di Mona e il montaggio vive di tagli ellittici che escludono dal racconto molte delle parti che ci si aspetterebbe di trovare, molte delle spiegazioni attese, per non parlare del destino finale dei personaggi. Come film a tema: Mona ha scelto di vivere sulla strada fuori delle convenzioni sociali, ma la regista ne segue le peripezie senza simpatia, senza indulgere in compassione, sottolineandone gli aspetti aspri della personalità e i comportamenti scostanti; non c’è poesia nella vita in strada. Come film sulla libertà e il vagabondaggio: mancano i grandi spazi, il viaggio, tutto è risolto nel raggio di pochi chilometri percorsi più e più volte avanti e indietro, tanto è vero che Mona alla fin fine incontra più e più volte alcuni degli stessi personaggi. Come film di denuncia sociale: la dimensione scostante e respingente del carattere di Mona è tale che anche se nelle persone che incontra abbondano la grettezza e l’egoismo è difficile trarre un confine netto: di qua l’anarchica libertaria, di là il conformismo borghese; di qua la sincerità, di là l’ipocrisia; di qua la capacità di fare le proprie scelte, di là il conformismo – ognuna di queste contrapposizioni, alla fin fine, risulta quasi vera, ma c’è sempre un particolare che impedisce di tracciare una linea precisa di demarcazione, un modo alternativo di leggere il comportamento dell’una e degli altri.
Senza tetto né legge è piuttosto un esercizio di descrizione oggettiva, di analisi-vivisezione quasi chirurgica, gelidamente condotta da Agnès Varda senza alcun tentennamento, con un rigore impressionante, e splendidamente servita da una bravissima Sandrine Bonnaire. E dentro questa oggettività priva di sentimentalismo la Varda non dà opinioni o spiegazioni, ma piuttosto pone un dilemma, allineando tutti gli elementi del problema – il rapporto fra nomadismo e stanzialità nella società moderna, diciamo, e poi c’è molto altro, giovani e adulti, uomini e donne, servi e padroni – senza alcuna pietà per nessuno dei personaggi. Fa da contraltare a questo dilemma, fra l’altro, una provincia francese gelida, invernale, povera – non c’è un muro che non sia scrostato, un interno di casa che non sia vecchio e un po’ cadente, un oggetto che non dia l’idea che a Parigi sia ormai da tempo passato di moda.
Il che non vuol dire che un film così gelido non sia emozionante – lo è molto – e non sia commovente, o più: è un dilemma, e i dilemmi sono sempre laceranti.