Pensieri poco cristiani
Nota preliminare: questo articolo passa dalla religione alla politica, ed è qui che sta la sua utilità.
Forse.
E in esso esprimo posizioni serenamente integriste. Sorpresa, eh?
Il punto di partenza
Domenica scorsa – non avantieri, l’altra – sono andato a un bel culto della comunità battista di Cagliari, tenuto dalla pastora Elizabeth Green come conclusione di un percorso di lavoro del gruppo di studio biblico di quella comunità.
Tutto il percorso di studi aveva avuto un taglio ecumenico, avendo come punto di riferimento il documento sull’ecumenismo in discussione all’interno delle chiese riformate in Italia. La parte iniziale del culto, che era molto interessante ma sulla quale non mi soffermo se non per raccontarvi il contesto, era centrata sul racconto del dialogo di Gesù con la Samaritana (Gv. 4,1-54), una scelta di punto di partenza facilmente comprensibile se si legge l’episodio come dialogo fra due persone che condividono la stessa fede ma appartengono a confessioni differenti:
Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani.
e che ha spesso accenni esattamente legati al dibattito su quale ritualità e forma espressiva della fede professata sia migliore:
Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
Fino all’affermazione finale, che invita ad andare verso una fede comune slegata dai formalismi e dai ritualismi settari:
Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
Ma, come Pilato (Gv 18,38), «che cosa è la verità?», si è chiesto il gruppo di studio biblico. In realtà la risposta è nelle parole di Gesù riferite dallo stesso Vangelo di Giovanni (14,6): «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me», ma Elizabeth (e il documento ecumenico che commentava) per arrivarci ha scelto una via più lunga ed è qui che, a un certo punto, arriva la politica.
Accuse reciproche
«Che cos’è la verità?»: secondo il racconto che ne faceva Elizabeth, oggi il cammino ecumenico non ha (più) rilevanti ostacoli dottrinali – la teologia, insomma, è più o meno comune – quanto etici, con divisioni che riguardano per esempio l’aborto e il fine-vita, la sessualità, i temi sociali, l’accoglienza degli stranieri e così via. Per la verità il documento di riferimento continua a indicare nella ecclesiologia (e in particolare sulla questione se le chiese protestanti possano essere definite… chiese in senso proprio) ma il riferimento ai temi etici è certamente preminente:
Fin dall’antichità sono state le questioni dottrinali, talora con implicazioni politiche, a provocare le maggiori divisioni tra le chiese. Con l’avvento del movimento ecumenico, soprattutto in questi ultimi cinquant’anni, il contenzioso dottrinale tra le diverse chiese e confessioni è stato ampiamente rivisitato e dibattuto in una serie imponente di dialoghi. Le divergenze sui nodi teologici principali continuano a sussistere, anche se su molte questioni non sono più avvertite come laceranti. Tuttavia, mentre la tensione sulle questioni dottrinali sembra essersi almeno parzialmente (o forse solo provvisoriamente) allentata, in questi ultimi decenni si sono manifestate profonde divergenze su questioni etiche di varia natura, dai rapporti tra le etnie a quelli tra i sessi, dall’impegno per la pace
e la nonviolenza alla posizione della chiesa nella società e alla sua azione nell’arena politica. Su alcune di tali questioni le chiese sono divise anzitutto al loro interno; su altre sono divise tra di loro, e non solo per una differenza di presupposti culturali, ma anche sulla base di diverse comprensioni delle Scritture e del messaggio cristiano.
Siccome era uno studio biblico, le accuse reciproche sono state descritte in riferimento a passaggi del Nuovo Testamento. Da una parte agli uni viene rivolta l’accusa di libertinismo, come il rimprovero che Paolo indirizza alla chiesa di Corinto
Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani (1Cor 5,1).
Dall’altra agli altri è rivolta l’accusa di legalismo:
O stolti Gàlati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? Tante esperienze le avete fatte invano? Se almeno fosse invano! Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione? (Gal 3,1-5)
Questo è un brano più difficile, vero? Il tema è: pensate che vi salverete perché avete rispettato la legge (la legge ebraica. quindi la circoncisione, le purificazioni, i riti…) o perché avete creduto col cuore? È interessante (ci torneremo) che qui Paolo metta il rispetto di regole, rituali e comandamenti fra le opere della carne: noi siamo abituati a pensare che agire secondo la carne sia, boh, tipo andare a donne e ubriacarsi, invece lo è anche il porre la propria speranza esclusivamente in un corpus di prescrizioni religiose.
Ora, è facile immaginarsi – e negli anni ’80 nei quali ho fatto le prime esperienze ecumeniche sarebbe stato probabilmente esatto – le due posizioni come appartenenti, rispettivamente, ai protestanti (secondo i cattolici) e ai cattolici (secondo i protestanti): da una parte una cristianità secolarizzata che insegue l’ultima bandiera della sinistra, dall’altra una fede devozionistica e conservatrice, chiusa ai problemi del mondo. Sarebbero state in entrambi i casi letture semplicistiche e ingenerose, ma contemporaneamente con quel tanto di briciolo di verità da potercisi riconoscere – negli accusatori, intendo, non negli accusati.
Il tema, però, è che questa analisi che mette intere confessioni da una parte e dall’altra non è più attuale: non so se avete notato il passaggio ma il documento nota che questo tipo di sconfessione (il gioco di parole è voluto) reciproca riguarda le chiese al loro interno:
Su alcune di tali questioni le chiese sono divise anzitutto al loro interno.
E mentre ascoltavo Elizabeth mi sono chiesto: «Come è potuto succedere che le linee di confine che un tempo separavano comunità distinte ora siano diventate trasversali?».
In realtà io lo so, com’è successo. Ed è qui che (finalmente?) arriva la politica.
E ultimo viene il corvo
Facciamo un passo indietro, negli anni immediatamente successivi all’89. Sino a questo momento il dibattito politico e culturale europeo – e italiano – è stato prevalentemente, beh, europeo. Vale per la politica – con la presenza forte di partiti comunisti e socialdemocratici, che negli USA non esistono, con una tradizione culturale propria e autonoma che, casomai, si impone agli USA, con una presenza religiosa cattolica – via i democristiani – che condiziona il campo politico e culturale in modo impensabile oltreoceano. Questo particolare humus permette, in generale, che le persone si possano definire rispetto a una pluralità di centri: la famiglia, l’appartenenza territoriale, il lavoro, la religione e anche la politica. Di volta in volta uno o l’altro è, per ciascuno, preminente: e quindi è pienamente possibile che uno possa descriversi prima per le sue posizioni religiose e poi per le posizioni politiche; il che non vuol dire che non ci siano contaminazioni e sovrapposizioni fra fede e politica: ho appena menzionato i democristiani, ma non sarei un vecchio cattocomunista (ops!) se non sapessi che le sovrapposizioni in questo momento stanno da tutte le parti e del resto, in un mondo diviso in blocchi, non potrebbe essere diversamente. C’è dom Franzoni e dalla parte opposta c’è don Giussani ma, ed è importante sottolinearlo anche per il rispetto dovuto al rigore personale di compagn…ehm preti che sbagliano come questi, il nucleo generatore di molte narrazioni, analisi e letture del mondo che influenzano fortemente la vita del paese è situato nel campo religioso ed è autonomo dai meccanismi della politica.
Solo che tutto sta per cambiare. La caduta del Muro ha risucchiato con sé una parte delle posizioni che costituivano il panorama così specifico europeo e nel vuoto che si è venuto a creare altre forze sono pronte a riversarsi. Occhetto pensa che col crollo del Muro finalmente un partito di sinistra riformista potrà governare autonomamente in Italia: invece arriverà Berlusconi e con lui, fra i tanti mali, perfino il neoliberismo e i teocon d’oltreoceano; e, come ho raccontato un’altra volta, il cardinal Ruini che è intelligentissimo ha fiutato l’aria e vagheggia (o vaneggia) di riconquiste cristiane della politica. In realtà quello che succederà è la Chiesa non colonizzerà ma sarà colonizzata: attraverso il bipolarismo e Forza Italia e la sua forza mediatica dentro il cattolicesimo si insedierà saldamente una sensibilità religiosa di tipo fondamentalista protestante americano – quindi eretica: anche questo l’ho raccontato, parlando di Halloween. Se il sonno della ragione genera mostri, il sonno della fede genererà gli atei devoti, che per qualche anno saranno quasi più ascoltati nelle parrocchie del Papa (dopo, rimarranno comunque in pochi capaci di ascoltare).
Non è che a sinistra, fra i cattolici progressisti – e fra molti protestanti – le cose vadano molto meglio: già avevano i loro problemi, ma sganciata la riflessione dai temi della giustizia sociale, e accettata la possibilità di dividere diritti sociali e diritti politici, quel che rimane è un’adesione cieca a una forma di sinistra dell’ideologia di mercato, un liberalismo amorale ed emotivo; poi via via basterà uno starnuto in una qualche università americana per creare in Italia ortodossie politicamente corrette.
Facciamo un esempio, così ci capiamo. Potrei citare il creazionismo, un tempo tema considerato esotico e ora inopinatamente oggetto di discussione, ma prendiamo l’aborto. Negli anni ’70 la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza è stata un compromesso che la società italiana ha stipulato fra le sue diverse componenti; che fosse un compromesso è dimostrato dal fatto che le parti estreme dello schieramento promossero immediatamente due referendum abrogativi di taglio esattamente opposto: e, come è noto, i referendum furono bocciati, a riprova che il compromesso era saldamente stabilito dentro la società italiana, tanto è vero che nessuno pensò più di riproporli.
Il che non vuol dire che, nella sensibilità cattolica, il tema non fosse presente e che i cattolici, nel complesso, non rimanessero contrari: ma l’impegno per la vita non andava a toccare l’esistenza della legge, quanto le sue conseguenze – e quindi ecco i consultori cattolici, le opere di carità per le madri, la campagna parallela per l’affido e le adozioni, eccetera, nonché l’invito, anche molto forte, a non abortire né a favorire l’aborto. Ma a livello personale: la legge – il compromesso – in sé non era in discussione.
Oggi si vede che ci sono posizioni politiche conservatrici, più o meno accreditate ai margini della comunità ecclesiale, che tendono a sostituire al classico impegno per la vita un tipo di posizione pro life che è esattamente di derivazione americana e che è molto più dichiaratamente abolizionista: ed è attraverso questa posizione politica che il tema conosce un rinnovato dibattito dentro la comunità cattolica – non è un problema di ortodossia religiosa, perché i Vescovi non hanno manifestato segni di voler rimettere in discussione l’antico compromesso; il centro propulsore è politico e, via le suddette frange conservatrici, tende a condizionare i fedeli di base e, di conseguenza, la gerarchia. E, oltretutto, è un dibattito del tutto polarizzato: si può essere solo internamente pro life o pro choice, le posizioni intermedie non sono (più) ammesse.
Colonialismi religiosi
Qual è il meccanismo che questo tipo di polarizzazione fra due scelte secche, o da una parte o dall’altra, tende a replicare? Evidentemente, è quello tipicamente americano fra due posizioni, una globalmente liberale e una globalmente conservatrice. Meglio: come raccontava l’altro giorno lo studio che ho citato parlando di politicamente corretto, le due posizioni estreme del ventaglio di opinioni americano, l’attivismo progressista da una parte e il conservatorismo di stretta osservanza dall’altra.
Il cedimento al dibattito politico globalizzato, il cui centro propulsore sta oltreoceano, comporta che le possibilità di scelta siano quelle americane; è questa polarizzazione pervasiva, tipica del contrasto fra le due grandi alleanze contrapposte di repubblicani e democratici, che fa sì che, come raccontava Elizabeth, le chiese siano divise anche al loro interno: perché non è possibile che in una chiesa tutti siano o di sinistra o di destra, e quindi dappertutto ci sono maggioranze e minoranze.
In realtà il problema non è solo questo. Da sola, l’esistenza di diverse posizioni politiche all’interno delle comunità non sarebbe necessariamente un problema. Se uno è prima cristiano, come dovrebbe essere, e poi di una determinata convinzione politica, questo non pone ostacoli nella vita di comunità (ok, diciamo che ne pone meno). È quando uno ascolta prima il segretario del partito e poi il Papa – ancora meglio: il Vangelo – che nascono i problemi.
E questa è esattamente la situazione nella quale ci troviamo, perché il taglio del dibattito che abbiamo importato da oltreoceano è quello di un ventaglio di posizioni religiose che, come è tipico della società americana, sono fortemente secolarizzate, cioè dipendenti non da preminenti visioni religiose (ciò che ci sembra che lo Spirito suggerisca alle Chiese, secondo l’espressione dell’Apocalisse) ma da una aderenza a valori laici, transeunti, dipendenti da situazioni contingenti e da interessi storici determinati. Oh, stiamo parlando di americani, eh? Un paese che si dichiara orgogliosamente laico e poi dove prima di aprire le sedute del parlamento si alzano a pregare, altro che crocifisso nelle scuole. Dove la confusione fra dimensioni esteriori della fede e vita pubblica della comunità è ovunque.
Se le chiese avessero mantenuto una propria capacità autonoma di elaborazione – o, magari, una maggiore fedeltà al Vangelo – ovviamente questo tipo di polarizzazione e di confusione avrebbe meno presa e avrebbero più spazio prese di posizione terze delle quali peraltro ci sarebbe, nel dibattito politico attuale, un gran bisogno. Ma di volta in volta i pastori o i fedeli o entrambi sono caduti nella trappola nella quale già erano caduti i Galati: hanno creduto che le opere della carne – cioè la fedeltà all’una o all’altra posizione politica, per quanto altisonante o attraente possano apparire – fosse più importante della fedeltà a ciò che è trascendente.
È quel che gli rimproverava Paolo (Gal 4,1-9; i grassetti sono miei:
Ecco, io faccio un altro esempio: per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.
Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono; ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire?
Un paio di conseguenze, fra religione o politica
La maggior parte delle cose che ho raccontato le penso da parecchio tempo, ma senza la bella riflessione di Elizabeth e del gruppo dello studio biblico – e se questa non l’avessi ascoltata poco dopo aver tradotto l’articolo sul politicamente corretto – probabilmente non avrei avuto occasione di rimettere in fila questi pensieri, e alcuni altri che farò fra un attimo.
Prima, però, vorrei provare a dire due cose che penso, e che sono in qualche modo delle conseguenze di tutto quello che ho raccontato. Sono due, e una riguarda la politica e l’altra la dimensione religiosa e l’ecumenismo.
L’osservazione politica è questa: che non sarebbe male, perlomeno a sinistra, riflettere sul male che fa, ai corpi sociali intermedi come le comunità religiose, la tribalizzazione e la pervasivizzazione (sarà una parola?) del dibattito politico. La spinta all’arruolamento di tutti ed ognuno è una tentazione fortissima, tanto più all’epoca dei social, però è possibile che ci siano forme di costruzione del consenso che riescano ad essere sia vincenti che rispettose dell’autonomia dei corpi intermedi? Lo studio sul tribalismo in politica citato nell’articolo sul politicamente corretto, per esempio, sembra suggerire che ci siano negli USA tribù politiche che si sentono a un tempo profondamente sottorappresentate ed esauste rispetto al dibattito politico statunitense, e che magari accoglierebbero con piacere proposte politiche meno polarizzate (che non vuol dire moderate, sia chiaro). E al contempo non sarebbe male se i corpi intermedi – o quel che ne resta – cominciassero a chiedere a gran voce che la politica resti fuori dalle scelte etiche, e pretendessero autonomie decisionali: lo so che è un pio desiderio, però non sarebbe, probabilmente, un cattivo investimento per il futuro, se si vuole evitare, per dirla con Paolo, di essere schiavi, e non padroni.
L’osservazione religiosa, in qualche modo, è analoga a quest’ultima: forse andrebbero in qualche modo depotenziate le scelte etiche. In campo religioso è un discorso difficilissimo, perché la testimonianza è indissolubilmente legata alla fede. Come dice l’apostolo Giacomo (Gc 2,18):
Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.
E però l’idea che le scelte etiche siano così profondamente divisive, e che sia così forte la possibilità che si tratti di dibattiti eterodiretti – seducentemente eterodiretti, come sono le opere della carne – potrebbe suggerire una qualche forma di fermo biologico in materia, o quantomeno il provare a guardare con occhio critico i propri processi di discernimento in proposito: si possono produrre sulle scelte etiche documenti sofferti fin che si vuole, ma se il cuore che ha governato quei processi non era libero allora tutto è stato viziato alla base, per quanto ci si sia pregato sopra, si siano consultati i testi biblici e ci si sia confrontati in comunità; avrei in mente come esempio un paio di pronunciamenti cattolici, ma in generale il sospetto di secolarismo – in versione libertina o legalista – potrebbe riguardare un buon numero di documenti riguardanti l’etica, sia in campo cattolico che protestante.
E per finire, due santi russi
Mentre mettevo in fila tutti questi pensieri mi sono ricordato di due santi russi (e ortodossi), uno che mi sta molto simpatico, san Nilo Sorskij, e uno che mi sta molto antipatico, san Giuseppe di Volokolamsk. Ci ho pensato perché la conclusione del percorso di riflessione di Elizabeth e del gruppo biblico era sulla linea della famosa frase di Sant’Agostino: «Ama e fa ciò che vuoi», anche se il riferimento biblico utilizzato era, credo, sempre in Galati, e faceva riferimento alle opere dell’amore (Gal 5,22-23):
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è legge
Biblicamente la sede dello Spirito, il luogo dove alberga il suo frutto, è il cuore. È per questo che mi sono ricordato di Nilo e del suo avversario Giuseppe, e della loro visione diversa del cuore e della fede. Sono entrambi due riformatori monastici del XV secolo ma Giuseppe era portatore di una visione che potremmo definire, seguendo i termini usati in questo articolo, legalista. Secondo Giuseppe l’importante è l’adesione pedissequa alle regole della vita comunitaria, la completa sottomissione all’abate: l’interiore, diciamo, procede dall’esteriore. Come dice un passaggio della sua regola:
Per prima cosa occupiamoci del nostro aspetto esteriore, il perfezionamento interiore verrà solo dopo
Il monachesimo di Giuseppe non è senza conseguenze etiche: i monasteri aderenti alla sua riforma divengono luoghi di propulsione culturale, di formazione del clero, di elemosina e di attività sociali.
La visione di Nilo è del tutto opposta: il suo insegnamento ha caratteristiche a un tempo mistiche e psicologiche, con soluzioni raffinate per tenere il cuore libero dal peccato: l’esteriore procederà dall’interiore, i monaci della scuola di Nilo praticheranno una povertà rigorosa e rifiuteranno l’idea degli avversari che, mediante la ricchezza e l’opulenza dei monasteri, si possa fare del bene. L’importante è la fedeltà a Dio, il resto verrà da sé. Giuseppe vuole mettere il cuore in prigione perché non pecchi, Nilo vuole che sia libero dai pensieri cattivi in modo che governi tutto il resto.
Avevo un dubbio e sono andato a rivedere: nella disputa dell’epoca fu l’influente e ricco Giuseppe che prevalse. Illuminati dalla luce dei roghi che estirparono gli eretici nei primi anni del XVI secolo, grazie all’alleanza decisiva fra Giuseppe e lo zar, i monasteri russi conobbero un secolo di splendore e magnificenza, sociale e culturale, ma poi vennero rapidamente istituzionalizzati e in qualche modo statalizzati, per non parlare del fatto che gli estesi possedimenti che Giuseppe aveva salvaguardato a fin di bene si rivelarono corruttori della vita monastica, come sempre accade. Orbene, la cosa interessante è che a Giuseppe si deve un appoggio decisivo al – se non l’invenzione del – cesaropapismo degli zar. Ne ebbe in cambio esattamente la tutela delle proprietà dei monasteri e il risultato fu la sottomissione, da allora e fino a oggi, della chiesa ortodossa russa al potere politico: in termini di quel che abbiamo discusso, una chiesa secolarizzata finisce sempre per essere sottomessa alla politica, qualunque sia la posizione etica dalla quale parte.
Vedo, peraltro, che oggi la posizione di vescovo di Volokolamsk è occupata dal Metropolita Hilarion, responsabile dell’ecumenismo per la chiesa ortodossa e uno fra i principali affondatori del Grande e Santo Concilio ortodosso del 2016. Vedi come tutto torna?
Aggiungo due cose che nell’articolo non ci stavano, ma che altrimenti mi dimentico.
Una è un ricordo piuttosto vivo di un campo adulti dell’Azione Cattolica, negli anni ’90, nel quale Giorgio Astara durante una relazione disse, en passant, che sia l’integralismo alla Comunione e Liberazione che molte posizioni del campo dei “cattolici progressisti” erano entrambe forme di secolarismo. La cosa era interessante perché normalmente i ciellini si descrivevano come nemici del secolarismo, ma in sé sembrava comunque un’osservazione piuttosto banale: invece molti degli adulti presenti si offesero moltissimo, sentendosi pizzicati nel vivo: una cosa piuttosto sorprendente considerato che l’Azione Cattolica aveva ufficialmente una posizione mediana fra CL e i progressisti e propugnava una “scelta religiosa” che doveva mettere al riparo dal secolarismo: ma probabilmente quelli che si offesero avevano la coda di paglia e si sentirono scoperti nei loro intrecci fra fede e politica.
La seconda cosa riguarda invece la politica: non sarebbe male se le forze di sinistra si ponessero il problema di una ripresa di una elaborazione culturale e politica di taglio più spiccatamente europeo. Voglio dire: è normale che forze antisistema e minoritarie europee cerchino l’alleanza di Steve Bannon e della alt-right americana; non è detto però che anche a sionistra si debba fare lo stesso e che la richiesta speculare a Sanders di fornire spin doctor per la campagna delle elezioni europee a favore di raggruppamenti di forze di sinistra sia una buona idea.
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