Banchetti di nozze
L’altra sera, di ritorno dall’Assemblea di Banca Etica ci siamo trovati in tre, io, Bonaria e l’Inossidabile, su un aereo che tornava a tarda notte da Milano. A bordo, a parte noi e poche altre persone normali, squadre sportive, squadre sportive ovunque, a perdita d’occhio: ragazzine che giocano a calcio, ragazzini che giocano a calcio, ragazzine che giocano a pallavolo, ragazzini che giocano a hockey, dirigenti accompagnatori e un po’ di altro caravanserraglio.
C’era anche la nazionale di pallavolo maschile, col piglio dei gentiluomini simpatici e fascinosi che risollevava l’assieme, ma quelli, poveretti, erano ristretti in sedili costruiti per gente di almeno trenta centimetri più bassa, e quindi ridotti all’insignificanza.
Intorno a loro, e a noi, un delirio che avrebbe fatto sembrare la gita scolastica di un gruppo di orchetti di Mordor un tranquillo tè domenicale di vecchiette inglesi. Oltretutto in contemporanea col volo c’erano le partite del campionato di calcio e quindi al vociare generale si aggiungeva anche tutto un incrociarsi di aggiornamenti in diretta, sfottò e dichiarazioni da ultras, anche con qualche leggerissima esagerazione: per esempio al decollo si vedeva benissimo che c’era uno che teneva in alto il tablet con la Juve in diretta, in modo che tutte le file successive potessero seguire comodamente – lo stewart, che aveva il fisico del lottatore e l’aplomb di Vito Corleone, gli si è fiondato sopra come uno strangolatore malese, peraltro senza troppo successo: appena ha voltato le spalle quelli hanno continuato col tablet solo un po’ più basso. Solo cenni evidenti che preludevano al taglio delle manine li hanno dissuasi definitivamente.
Nel mentre le ragazzine urlavano.
Di fronte al tutto io ho scelto l’unica linea di difesa possibile: ho dormito. Maria Bonaria, invece, ha cercato di capire di che parlassero le giovani calciatrici e all’arrivo, perplessa, mi ha chiesto: «Cos’è questa storia del matrimonio di Pamela Prati?».
Grazie al fidato aggregatore ero pronto alla domanda e in grado di non fare brutta figura ma, diciamo, sapevo il giusto. Ieri, complice una birra di più, mi sono documentato un po’ di più e ne ho tratto un paio di idee (paio alla sarda) che appunto qui, non tanto sul caso in sé (mi pare appurato che fosse una montatura) quanto sullo scenario circostante, consapevole di essere l’ultimo arrivato e che magari voi sapete già tutto.
La prima idea è che non c’è miglior prova da trovare di cosa sia la pax televisiva. Se si segue cronologicamente l’andamento della notizia, come ho fatto io ieri, si vede che il progetto comunicativo passa da una trasmissione all’altra, da una rete all’altra, da una conduttrice all’altra, in maniera perfettamente coordinata. Non è che c’è uno che ha scoperto la notizia e gli altri si accodano, per ritagliarsi un pezzetto di pubblico: stanno giocando a rilanciarsi la palla, anzi, probabilmente seguono una sceneggiatura (forse solo implicita, ma magari esplicita). Se si segue con attenzione, si vedono anche i siti della rete che fanno da giunzione fra le varie trasmissioni televisive, costruendo il materiale che poi viene legato e mandato in onda e fornendo i comprimari (giornalisti, commentatori) per i dibattiti. E non c’è uno che si dissoci, o che decodifichi la storia, neppure fra coloro che apparentemente sono rivali editoriali, neppure fra gli organi di stampa seri che avrebbero tutto da guadagnare dal far risaltare la loro diversità. Ieri ci siamo molto divertiti, in birreria, a leggere resoconti della vicenda col tono di voce che si potrebbe riservare a fatti di cronaca gravissimi o alle vicende della politica: poi ci siamo resi conto che era il Corriere, e abbiamo avuto un certo mancamento.
Nella lettura, un certo mancamento l’ho avuto anche quando mi sono reso conto che la costruzione della narrazione di tutta la vicenda è esattamente la stessa con la quale vengono raccontate le vicende di omicidi efferati e irrisolti, misteri di cronaca e altre vicende sospette. La s-t-e-s-s-a. E non è perché chi fa gossip prende a prestito gli stilemi di chi fa inchieste di cronaca o aiuta a ritrovare assassini ormai dimenticati: casomai è il contrario o, perlomeno, sono mestolate prese da pentole diverse ma destinate a nutrire le stesse bocche. Trasmissioni apparentemente di servizio e gossip seguono le stesse logiche, il che giustificherebbe, magari, un po’ più di sospetto e meno aperture di credito nei confronti delle prime .
La vicenda del mancato matrimonio non è in sé interessante, ma i personaggi che compaiono lo sono molto di più, e svelano che tutto quel sottobosco fra televisione da una parte e politica, mondo del giornalismo e spettacolo dall’altra che si è costruito nei primi anni ’90 è ben vivo e vegeto: i veri protagonisti sullo sfondo, del resto, sono sempre gli stessi.
E, infine, che è un peccato davvero che tutti ciancino di fake new ma nessuno si dedichi a decrittare queste macchinette (o macchinone) di costruzione di narrazioni; casomai, anche quelli che non sono complici si prestano al gioco perché porta lettori, audience, o per semplice voglia di sfessarsi. Non è la questione di un matrimonio fra famosetti, del quale tutto sommato chi se ne importa: è che con la stessa potenza di fuoco, con la stessa rete di mezzi di comunicazione attivabili, con le stesse complicità non dichiarate sono possibili costruzioni di narrazioni potenzialmente tossiche, si possono costruire mitologie e rendere credibili insicurezze collettive, creare capacità di ricatto potenziale, o darsi la possibilità di sviare temporaneamente l’attenzione dell’opinione pubblica: tutte cose che dovrebbero impensierire di più, molto di più.