Incroci
Non sapevo niente della Capra di Picasso. Ma oggi leggevo un vecchio romanzo giallo, nel quale Joe Leaphorn, ancora dolorante per la morte della moglie, si trova in una New York piovosa oh così lontana dal suo abituale New Mexico assolato, e ho trovato questo, e la capra è perfetta per tutto il racconto – la malinconia, il rimpianto, l’emozione e la testarda consapevolezza di vivere nonostante tutto – e non ho potuto fare a meno di cercarla su Google e mettere assieme le parole e le immagini.
Leaphorn passò il resto del pomeriggio ad aggirarsi per il Museo di Arte Moderna. Si sedette, infine, dove poteva vedere il patio delle sculture, il muro macchiato di pioggia al di là, e il cielo piovoso di sopra. Come tutte le persone che vivono in un paese desertico a Leaphorn piaceva la pioggia, quella rara, rinfrescante benedizione a lungo attesa che rende possibile il fiorire del deserto e la vita. Sedette con la testa piena di pensieri e guardò l’acqua scorrere giù lungo i mattoni, gocciolare dalle foglie, formare fredde pozzanghere sulle lastre di pietra e dare una finitura lucida alla capra di Picasso.
La capra era la favorita di Leaphorn. Quando erano giovani e lui frequentava l’Accademia dell’FBI, aveva portato Emma a vedere New York. Avevano scoperto la capra di Picasso insieme. Lui la stava già osservando quando Emma aveva riso, e l’aveva tirato per la giacca, e aveva detto: «Guarda. La mascotte della Nazione Navajo».
Aveva una strana sensazione mentre lo ricordava, come se avesse potuto vederli entrambi come erano stati allora. Molto giovani, in piedi vicino a questa vetrata che guardava all’esterno sulla pioggia autunnale. Emma, che era ancora più bella quando rideva, stava ridendo.
«Perfetta per noi Dineh», aveva detto. «È affamata, emaciata, ossuta, orrenda. Ma vedi! È dura. Resiste». E aveva afferrato il suo braccio deliziata della sua scoperta, la sua faccia piena della gioia, e della bellezza, che Leaphorn non aveva mai trovato altrove. E naturalmente era vero. La capra emaciata sarebbe stata un simbolo perfetto. Qualcosa da mettere su un piedistallo e esibire. Miserabile e morta di fame, davvero. Ma era anche incinta e orgogliosamente resistente – esattamente perfetta per sfidare il mondo all’ingresso dell’orrenda sala riunioni ottagonale del Consiglio Tribale a Window Rock. Leaphorn ricordò che avevano preso un caffè al bar del museo e poi erano usciti accarezzando la capra. La sensazione gli ritornò ora – freddo metallo bagnato viscido sotto la sua mano – del tutto reale. Si alzò e corse fuori del museo verso la pioggia, lasciando l’ombrello a pendere dimenticato dalla sedia.
[Tony Hillerman, Ladri del tempo – A thief of time]