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Sulle regole

Il mio amico e compagno Antonio Messina mi ha segnalato su Facebook una disamina dal punto di vista legale di alcuni fatti legati alla nota vicenda della Sea Watch fatta da Fabio Sabatini (che non conosco). Le argomentazioni riportate sono convincenti, corrispondono alle cose che so e che ho studiato e sono certamente appropriate al dibattito in corso, quindi ho deciso di ripubblicarle qui, però con una curiosa avvertenza, e cioè che è tutta roba che mi appassiona pochissimo, nel senso che mi pare che le cose siano davvero molto oltre e quindi che queste siano discussioni certamente importanti ma anche un po’ di retroguardia, come cercherò di argomentare alla fine. Ho anche il dubbio che la parte finale sul ruolo di Lega e 5Stelle a Strasburgo tolga un po’ di peso al ragionamento complessivo, ma questo è meno importante. Intanto il testo di Sabatini è questo:


10 cose che gli italiani dovrebbero aver imparato dalla immediata scarcerazione della comandante #CarolaRackete.

1) La Convenzione di Amburgo del 1979 obbliga chi effettua soccorso in mare a scortare i naufraghi in un “porto sicuro” nel minore tempo possibile.

2) Nel 2004, l’agenzia delle Nazioni Unite per la navigazione ha integrato le regole di soccorso in mare stabilendo che un porto è “sicuro” se: “la vita dei sopravvissuti non è minacciata, se possono essere soddisfatte le necessità umane di base e definite le modalità di trasporto verso la destinazione successiva o finale, tenendo conto della protezione dei diritti fondamentali nel rispetto del principio di non respingimento”. Non tutti i paesi accettano tale definizione: Malta, per esempio, no (https://bit.ly/2xoRIbW).

3) Come scrive Vitalba Azzollini, per l’Art. 117 della Costituzione un trattato internazionale ratificato e reso esecutivo nell’ordinamento italiano è al riparo da possibili ripensamenti del legislatore, e condiziona la produzione legislativa successiva, che a esso dovrà dunque conformarsi. Nel prendere la decisione di accostarsi a Lampedusa, la comandante Rackete ha obbedito a una legge di rango superiore al decreto sicurezza bis (https://bit.ly/2YwDK3Y).

4) Il decreto sicurezza bis fa acqua da tutte le parti, perché, nel tentativo di prevaricare norme di rango superiore, invoca una “presunzione di colpevolezza” dei soccorritori, per definizione rei di favorire l’immigrazione clandestina, che non può essere stabilita a priori dal potere esecutivo. Di nuovo, consiglio di leggere attentamente Vitalba Azzollini (https://bit.ly/2XoubYf).

5) Chi presta soccorso ai naufraghi al largo della Libia ha meno opzioni di quanto sembri e si trova a dover fare scelte difficili. È obbligato dalle convenzioni internazionali sia a salvare i naufraghi sia a portarli nel porto sicuro più vicino. I porti più vicini non sono necessariamente sicuri, e i porti sicuri non sono necessariamente vicini.

6) La Libia non è un porto sicuro.

Secondo l’Onu e le testimonianze unanimi di giornalisti e sopravvissuti, in Libia i migranti sono detenuti arbitrariamente in campi di prigionia, dove sono ridotti in schiavitù e sistematicamente oggetto di stupro e torture.

Secondo testimonianze, le torture sono riprese con degli smartphone e inviate ai parenti delle vittime a scopo di estorsione. L’Onu riferisce anche che le autorità locali collaborano con gli aguzzini (https://bit.ly/2WjvXG1).

Quando sono recuperati dalla Guardia costiera libica, i naufraghi sono riportati nei campi di concentramento dove ricomincia l’inferno (https://bit.ly/2Rx3dKc).

Inoltre, in Libia è in corso una guerra civile. Ieri sono morti almeno 40 migranti, e altri 80 sono rimasti feriti, a causa del bombardamento di un campo di detenzione (https://bbc.in/2XEqxsJ).

Riportare un naufrago in Libia spesso significa condannarlo a morte (per avere un’idea dell’orrore, si veda per esempio questa testimonianza https://bit.ly/2FD4to7).

7) La Tunisia non è un porto sicuro.

Come scrive Luca Gambardella sul Foglio, in Tunisia manca una legge che permetta di presentare richiesta di protezione umanitaria. Pertanto i richiedenti asilo rischiano di essere respinti, in aperta violazione delle convenzioni internazionali (https://bit.ly/2XfZ249).

Per esempio, più di 30 migranti del Bangladesh salvati da un cargo mercantile il 31 maggio e approdati in Tunisia, sono stati rimpatriati con la forza.

La Tunisia non soddisfa quindi la definizione di porto sicuro in cui “possono essere soddisfatte le necessità umane di base e definite le modalità di trasporto verso la destinazione successiva o finale, tenendo conto della protezione dei diritti fondamentali nel rispetto del principio di non respingimento” (https://bit.ly/2JdzYGm).

8) Malta è spesso più lontana di Lampedusa dai luoghi di soccorso, e comunque non è un luogo adatto all’accoglienza dei migranti, per ragioni sia politiche sia giuridiche.

a) È un paese minuscolo, che in proporzione alla superficie, alla popolazione e al Pil, accoglie già molti più migranti dell’Italia. b) Non è dotata di strutture di accoglienza. Chi arriva senza documenti viene chiuso in un centro di detenzione, dove può rimanere in attesa di asilo politico fino a 18 mesi. Secondo le testimonianze dei giornalisti e dei reduci, i centri sono delle carceri, in cui i naufraghi sono detenuti in condizioni disumane (https://bit.ly/300zklY). c) Le autorità maltesi negano spesso i porti alle Ong.

Altri paesi, come la Grecia, la Spagna e l’Olanda, sono più lontani dell’Italia, e trasportare i naufraghi fin lì costituirebbe una violazione delle convenzioni internazionali (https://bit.ly/2xinDLb).

9) La comandante Rackete quindi non poteva riportare i naufraghi in Libia, né approdare in Tunisia, né attraversare l’oceano per giungere in Olanda. Non aveva altra scelta che dirigersi verso il porto sicuro più vicino, Lampedusa, per portare a compimento l’operazione di soccorso in ossequio a leggi di rango superiore a quelle italiane (https://bit.ly/323txOy).

Come scrive Vitalba Azzollini, la decisione della gip di Agrigento Alessandra Vella conferma che la scelta della comandante era obbligata e che il decreto sicurezza bis, su cui il ministro dell’Interno ha fondato la chiusura delle acque alla Sea Watch 3, non è applicabile alle azioni di salvataggio (https://bit.ly/2YwDK3Y).

10) Poiché nel Mediterraneo non c’è più alcuna forma di soccorso sistematico all’infuori delle iniziative dei volontari, la vicenda della Sea Watch è destinata a ripetersi. C’è bisogno di una soluzione politica e per realizzarla è necessario che il governo collabori attivamente con il resto d’Europa. Ma il governo, per il momento, alcuna intenzione di collaborare.

Come scritto dal Post, un primo passo avanti potrebbe essere il superamento del cosiddetto Accordo di Dublino, che obbliga il paese di arrivo dei migranti a valutare sul proprio territorio le richieste di asilo (https://bit.ly/2xinDLb).

Tuttavia, quando il Parlamento europeo ha proposto una riforma dell’accordo che avrebbe consentito il ricollocamento automatico dei migranti nel resto d’Europa, Lega e 5 stelle hanno votato contro. I 5 stelle hanno sostenuto che la riforma fosse troppo poco ambiziosa (https://bit.ly/2ZWa0xC).

Secondo la testimonianza di Elly Schlein, (all’epoca eurodeputata di Possibile), confermata da Pagella Politica, la Lega ha invece disertato tutte le 22 riunioni informali dei gruppi parlamentari in cui si è svolto il negoziato per la riforma (https://bit.ly/2WsEpFy).

L’opposizione alla riforma di Dublino è una scelta politica legittima, che tuttavia intralcia il ricollocamento dei richiedenti asilo nel resto d’Europa.

Lega e M5S auspicano che ciascun paese europeo sia vincolato ad accogliere una quota di richiedenti asilo e si dicono detrattori dell’accordo di Dublino, ma per il momento hanno scelto di ostacolare la riforma dell’accordo rendendo di fatto più difficile l’istituzione di quote vincolanti.


Sono sicuro che quelli che passano per questa pagina lo trovano convincente, quindi perché sono freddo?

Boh, detto in due parole perché ragiona come se agissimo ancora in una repubblica ideale ricca di bilanciamenti di poteri e contrappesi, nella quale queste argomentazioni strettamente legali effettivamente chiuderebbero il discorso. Il problema è che questa non è la situazione dell’Italia, nella quale decisioni politiche extralegali si incarnano poi in situazioni giuridiche abnormi: siamo il paese, giova ricordarlo, nel quale il Parlamento ha votato serenamente per dichiarare che Ruby era la nipote di Mubarak.

Al di là delle battute, la nostra democrazia è in crisi conclamata da almeno trent’anni e procede per collassi successivi: quello recente è grave perché agisce su un corpo già molto malato e mette in fila cose obiettivamente sinora inaudite.

Per esempio: abbiamo un Governo (e un Parlamento) che ha emanato, scientemente, delle norme di dubbissimo valore giuridico, e però le ha fatte, sapendo che la loro illegalità (per esempio, rispetto alla Costituzione, alle norme internazionali…) è in pratica molto difficile da sfidare.

Abbiamo pezzi del Governo che governano con atti anch’essi sospetti dal punto di vista della legittimità (circolari interpretative di norme che non esistono, per esempio), oppure extraprocedurali (Twitter non è ancora fonte del diritto). Quando Salvini dice (cioè ordina) che i migranti possono sbarcare solo se la Rackete viene arrestata e la nave sequestrata sta compiendo azioni, in senso stretto, illegittime: perché né l’arresto né il sequestro competono a lui personalmente e in realtà neanche ad apparati del suo Ministero. Eppure sono atti, finché non sfidati in tribunale, vincolanti, in quanto provenienti da autorità legittime: gerarchicamente gli apparati di sicurezza hanno l’obbligo di bloccare la nave. Questo mette chiunque – non solo la Rackete e non solo sul tema dei migranti – nel continuo dilemma di cosa fare: obbedire alle leggi? Quali leggi, esattamente? E questo prima ancora di dover discutere del dissidio fra legge e coscienza.

Ci sono però, palesemente, pezzi dello Stato che non vivono affatto questo dilemma ma che invece di questa efficacia sospetta delle leggi si fanno scudo per giustificare azioni che sono, anch’esse, estremamente sospette dal punto di vista della legittimità (non solo sulle questioni migranti, basti vedere il ruolo che vanno spesso assumendo i prefetti sulle più disparate questioni genericamente legate alla sicurezza; anzi, sarebbe interessante che qualcuno si preoccupasse di mettere in fila le notizie che si vedono giungere un po’ dappertutto sull’improvviso protagonismo di certi prefetti). Il preteso ruolo dei funzionari pubblici di servire lo Stato e non interessi di parte è sempre meno credibile, soprattutto ai vertici (ok, forse sono io un’anima bella e non me n’ero mai accorto, ma tengo il punto).

C’è un apparato mediatico che abdica – o scientemente preferisce la mistificazione – al proprio ruolo di informazione, limitandosi a legittimare le opinioni espresse da pezzi del Governo, anche quando non suffragate da prove (appunto: opinioni), costruendo nell’opinione pubblica consapevolezze che non corrispondono ai fatti – questo fa sì che se e quando finalmente la legittimità di quelle azioni viene sfidata da altri pezzi dello Stato (la Magistratura, ma mesi fa la Marina Militare e qui e là i sindaci) queste resistenze sono sostanzialmente incomprensibili: «com’è possibile che non sia un crimine che una nave pirata speroni una nave della militare?». Perché i fatti non corrispondono, ma vaglieli a spiegare ora, se non li hai voluti spiegare prima.

Non sono cose del tutto nuove. Per esempio, e per citare atti di un Governo di diversa parte politica, da anni l’Italia vende armi a paesi in guerra o dittature. Eppure c’è in Italia una legge che lo vieta, e ci sono elementi di diritto internazionale ai quali l’Italia sarebbe vincolata che lo vieterebbero anch’essi. Eppure le necessarie autorizzazioni sono state rilasciate e questi sono atti governativi che hanno anch’essi certamente valore legale e che, sinora, non è stato possibile portare davanti a un giudice (probabilmente non c’è nemmeno un giudice che possa essere chiamato a dirimere la questione). E di questa incertezza/certezza del diritto una marea di funzionari pubblici, sindacalisti e politici si fanno scudo per evitare, alla fin fine, di far rispettare la legge e fermare questo commercio, preferendo perseguire la propria convenienza o convincimento personale.

Non sono storie così lontane: i meccanismi di base sono gli stessi. Quello che differisce, casomai, è che sinora si trattava di azioni in qualche modo collettive: decidere di vendere armi all’uno o all’altro, adottare certe politiche ambientali o altre sono decisioni collettive, che mettono assieme più attori: ministri, funzionari, politici, industriali. Quello che è nuovo è che adesso, invece, in qualche modo Salvini esprime un’idea monocratica del modo col quale si giunge alle decisioni di governo: in senso preciso direi monarchica.

Che Salvini dica che non è d’accordo con la giudice passi. Tutti i politici prima o poi lo fanno. Il problema, come per Riace e diverse altre cose, è che Salvini lo dice da una posizione nella quale si pone come fonte del diritto, cioè sostituisce la sua volontà e la sua opinione al processo formale di formazione delle leggi e di gestione della cosa pubblica. Prima viene la sua volontà, e poi si forma lo strumento legale o operativo per portare a termine la sua volontà. È come col Re Sole: DArtagnan andava da Madame Rackete e le diceva: «Signora, per volontà del Re dovete seguirmi alla Bastiglia». La volontà del Re bastava e avanzava: al massimo al Governatore della Bastiglia si mostrava un biglietto di pugno del Re: è mia volontà che Madame sia rinchiusa per tutto il tempo che mi piacerà. Se D’Artagnan avesse detto al Re: «Maestà, il Governatore della Bastiglia dice che il mandato d’arresto non è valido e ha liberato Madame Rackete», Luigi XVI sarebbe sbalordito. Salvini sbalordisce allo stesso modo, solo che lui governa non per grazia di Dio ma per volontà della nazione. E perché non dovrebbe sbalordire? Ha prodotto sia gli strumenti giuridici appropriati (i decreti, le circolari) che l’interpretazione dei fatti necessaria perché l’apparato dello Stato sappia perché e come agire (migranti illegali, rifiuto di sottostare al blocco navale, speronamento, arresto, sequestro). E infatti subito ha minacciato la riforma della magistratura, secondo una logica che ai tempi del De Andrè di Sogno n. 2 sembrava distopica:

Ascolta
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice 
e subito dopo 
la legge. 

Naturalmente, anche qui non sono cose nuove: da Berlusconi a Renzi la governabilità è stata usata per deprecare i lacci e i laccioli di questa fastidiosa democrazia parlamentare che impedisce a noi sovrani illuminati di fare quel che ci pare, con discussioni che ogni volta ripartivano dal gradino più basso. Oggi, però, si scende di botto di un’intera rampa di scale.

L’opposizione invoca, da tempo, lo spettro del fascismo. Devo dire che, come sapete, sull’argomento mantengo i miei dubbi. Ma non c’è bisogno di essere fascisti per essere autoritari o, come il Re Sole, direttamente assolutisti: è esattamente l’evoluzione naturale degli ultimi trent’anni.

Del resto la storia insegna che l’esito delle oligarchie è sempre monarchico, e a livello mondiale siamo pieni di oligarchie.

Come mantenere le repubbliche nella crisi delle oligarchie, questo è il problema.

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