Pantaloncini di moda
Per motivi imponderabili il fidato aggregatore quotidiano di notizie mi ha proposto due notizie separate che in qualche modo però mi sembrano collegate.
La prima notizia è (secondo Business Insider) i proclami di vittoria della Levi’s, che dichiara di essere riuscita a imporre gli shorts dei 501 come una sorta di uniforme di rigore per Coachella.
Lo so che in questo momento la maggior parte di voi sta invocando il grande capo indiano Estiqaatsi, però è una notizia interessante perché la Levi’s ha una storia di grandissimo successo dal punto di vista della creazione e difesa del brand e della capacità di produrre campagne pubblicitarie di grande efficacia comunicativa (qui trovate un articolo addirittura encomiastico sull’argomento), e questa mossa non sembra proprio esattamente su quello stile.
Coachella è, per chi non lo sapesse, un grande happening musicale nel deserto che sta più o meno a Woodstock come il Club Mediterranée sta al campeggio libero; però è famoso, ci vanno le celebrità a giocare a fare gli hippie e quindi da un punto di vista pubblicitario ha sicuramente molta attrattiva. La campagna di Levi’s inizia nel 2018, quando Beyoncé si è presentata sul palco coi loro calzoncini. Quest’anno hanno deciso di dare la spallata, regalando 1000 paia di pantaloncini a vari partecipanti e assicurandosi la certezza che una serie di testimonial, in testa Hailey Baldwin e Emily Ratajkowski, mostrassero come ci si deve vestire – uniforme di rigore, appunto.
E boh. La Levi’s ha una storia di sintonia con la cultura pop, i sentimenti profondi e le tendenze culturali emergenti. Perfino, qualche volta le ha anticipate prima che diventassero dominanti: qui mi pare un po’ specchiarsi nella camera dell’eco (Business Insider riferisce anche del lancio di una linea dedicata a rispecchiare il look da Stranger Things in occasione dell’inizio della terza stagione, e anche questo è un po’ cavalcare le mode, non crearle), ma comunque sicuramente hanno ragione loro: le vendite dei pantaloncini sono andate benissimo, nel primo trimestre dell’anno, anche se in realtà l’azienda non ha raggiunto gli obiettivi di reddito complessivi e pochi giorni fa, all’annuncio dei risultati deludenti, ha perso il 6%, quindi forse non hanno proprio del tutto ragione, insomma.
Un’altra azienda che ha visto aumentare le vendite di un suo prodotto diretto al pubblico femminile, invece, è la Nike. La maglia della nazionale USA femminile di calcio è la singola casacca – di squadre maschili o femminili – più venduta di sempre dal sito della Nike in una singola stagione (la Nike, peraltro, vestiva la grande maggioranza delle nazionali partecipanti agli ultimi mondiali femminili). Forse perfino più interessante il fatto che l’azienda è ora la principale venditrice di reggiseni sportivi degli Stati Uniti, a dimostrazione che la strategia di aprirsi al vastissimo e finora non del tutto sfruttato pubblico femminile paga. Mi è sembrato interessante il confronto con la Levi’s, perché anche la Nike ha una storia di straordinaria capacità pubblicitaria e però qui sembra, lei sì, capace di anticipare i tempi e i gusti del pubblico: è vero che i mondiali sono stati una grande operazione mediatica studiata a tavolino con molta cura, però rimanevano comunque una scommessa in termini di ritorno pubblicitario molto più rischiosa di un Coachella.
Naturalmente poi la cosa ha degli strani ritorni inaspettati: per esempio con l’occasione si è scoperto che la Nike ha (aveva) una clausola che prevedeva una penalità nei contratti pubblicitari per le atlete che fossero rimaste incinte. La cosa è venuta fuori a traino delle notizie mirabolanti sulle vendite e ha costretto l’azienda ad annunciare che avrebbe abolito la clausola, e di questo possiamo essere contenti pure noi.