Piccola proposta per rendere tutto più chiaro
Sono stato nei giorni scorsi a Camaldoli all’incontro del gruppo di lavoro Economia Disarmata, da cui torno con l’idea mettere in ordine i pensieri maturati in questi due giorni raccontando della differenza fra Luigi Meneghello e Teresio Olivelli (e fra Antonio Giuriolo e Dietrich Boenhoffer) e della relazione fra insurrezione e renitenza, ma in realtà non è di questo che voglio parlare.
Il fatto è che a un certo punto è intervenuta una signora, rappresentante di un gruppo del quale non avevo mai sentito parlare, le Mamme no-Pfas, e ha raccontato una storia che non avevo mai sentito.
La quale storia più o meno fa così: sei una mamma, forse hai sentito che nella tua zona ci sono preoccupazioni per certi fatti di inquinamento ambientale e forse no, ma un giorno arriva a casa una cartolina che ti dice che la ASL ha selezionato tuo figlio per dei controlli a campione e gli vogliono fare gli esami del sangue.
E poi arrivano a casa i risultati e scopri che tuo figlio ha nel sangue questi fantomatici Pfas, che sono sostanze scarti di lavorazione di certi processi industriali, che tramite l’acqua si accumulano negli organismi biologici – cioè nella frutta, nella verdura, negli animali, e alla fine in tuo figlio – e queste sostanze interferiscono col sistema endocrino, quindi chi ne ha troppi in corpo ha il colesterolo alle stelle, si ammala di tiroide, probabilmente soffrirà di sterilità, avrà la crescita compromessa e non è escluso si ammali di tumore (o magari di Alzheimer o di Parkinson).
Nella zona rossa, quella più inquinata, vivono circa novantamila persone. In tutta l’area del possibile contagio, sono 350 000. Ma la situazione è molto peggiore: la falda acquifera, la seconda per estensione d’Europa, è compromessa e gli effetti dell’inquinamento si manterranno per diverse decine d’anni. Potenzialmente, ci saranno conseguenze per l’intero ecosistema del Po a valle del vicentino.
Paradossalmente, sono le persone con lo stile di vita più sano quelle ad avere sofferto di più: quelli che mangiavano molta frutta e verdura, bevevano l’ottima acqua locale e non quella in bottiglia, acquistavano a chilometro zero.
Tutto perché un’azienda chimica, pare, ha sversato rifiuti nel torrente dietro lo stabilimento. Per quarant’anni.
Quarant’anni.
La linea di difesa dei manager, sostanzialmente, è che lo fanno tutti. Soprattutto le aziende della concia dell’alto vicentino.
Devo dire che sentivo la storia e sbalordivo. E a un certo punto emergeva con una certa chiarezza il fatto che tra chi doveva controllare c’è stato chi sapeva e ha taciuto, stretto nell’imbarazzo del fatto che prendere atto della situazione avrebbe compromesso la prosperità della zona e, in definitiva, il nostro stile di vita e la qualità dei nostri consumi.
Cos’è, non volete più padelle antiaderenti? Piumini impermeabili?
La concia vale tre punti del PIL.
Tre punti. Si saranno chieste le mamme: e la vita di mo figlio, quanto vale?
E allora pensavo, ascoltando la storia, che bisognerebbe adottare il sistema che nei miti del Medioevo rendeva chiaro, chiarissimo a tutti, il prezzo della prosperità collettiva.
Si dedichi al centro di ogni capoluogo un altare al dio del PIL e si sacrifichi ogni anno pubblicamente un bambino estratto a sorte, in cambio della prosperità che ci è stata concessa.
Almeno così le cose sono evidenti.