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Mantenere l’empatia

Non molto empatici, questi

L’altro giorno andando via dall’ufficio ho preso l’autobus. C’eravamo solo io e l’autista ma all’ultimo momento abbiamo imbarcato anche due dei tanti che frequentano viale Fra’ Ignazio perché usano la mensa.

Come hanno ripetuto più e più volte, ce l’avevano con uno, chissà chi. Il loro dialogo aveva un curioso andamento ciclico: partiva dal chiedersi quali fossero le intenzioni di quello, proseguiva con una serie di recriminazioni che via via si facevano più sprezzanti, arrivava alle minacce e alla decisione di far intervenire qualcuno che gli avrebbe dato una lezione per conto loro. Mugugnata un po’ di soddisfazione per la lezione che sarebbe stata presto impartita seguivano dieci secondi di silenzio, e poi il ciclo ripartiva.

Identico: domanda sulle intenzioni, recriminazioni, minacce, soddisfazione, pausa e via di nuovo.

Era un dialogo fantastico, pieno di manierismi ed espressioni impagabili, che nessuno avrebbe mai saputo inventare. C’era vigliaccheria, furbizia, protervia, la saggezza sballata di quelli incapaci di badare a se stessi, l’ossessione per tutte le cose sbagliate e molto altro.

E la ripetizione ossessiva: il dialogo si è ripetuto, parola per parola, da viale Fra Ignazio a piazza Repubblica. Per me, che pregustavo di raccontare la conversazione qui sul blog, era un vantaggio: l’ho memorizzata interamente, con tutte le varie espressioni, le inflessioni, il gioco delle parti fra i due, la reazione orripilata della signora della parrocchia di passaggio a un paio di parolacce vaganti.

Finché, proprio in via Alghero prima di scendere mi sono reso conto che erano sbronzi. Sbronzi secchi, magari senza avere bevuto da qualche ora, ma con quel tipo di ideazione coatta di chi da tempo si è bruciato il cervello. Lucidi in apparenza, tanto lucidi da ingannare, ma fatti.

Improvvisamente non mi è sembrato più divertente. Ho deciso di non farlo, l’articolo.

***

L’altro giorno ero al CAF per fare il 730. Avevo l’appuntamento e aspettavo di entrare, con quel minimo di ritardo che ho imparato a considerare normale nell’occasione.

E mentre aspettavo è entrata una signora. Di quelle che si informano se hai l’appuntamento. Se stanno chiamando. Se c’è una lista per quelli senza appuntamento. Di quelle come mai non c’è la lista che allora io come faccio a segnarmi e sapere quando tocca a me.

Di quelle signore, sopratutto, che la risposta a tutte queste domande in realtà ce l’hanno già, in buona parte perché se la sono inventata da sole: non è vero che stanno riprendendo ora dopo la pausa pranzo, perché le ho viste le signorine che si mangiavano il gelato, che erano fuori a fumare, che se ne fregano, e noi come possiamo fare, nelle mani di queste qua.

Tanto che, alzando lo sguardo dal videogame sul cellulare, sono stato tentato di dirle che ci sono tanti altri CAF, e magari se quello non le andava bene poteva pure cercarsene un altro.

Io, da semplice cliente senza alcun interesse in un CAF come un altro. Perché la signora, davvero, era molto fastidiosa.

In realtà poi siamo entrati tutti assieme. Io, la signora e un’altra che aveva l’appuntamento dopo il mio, a tre scrivanie appaiate con tre impiegate diverse.

E quindi si sentivano benissimo i fatti degli altri, compreso il fatto che la signora aveva fatto casino coi figli a carico e il bonus Renzi e ora doveva restituire millecinquecento euro.

E ho pensato, lo ammetto: «Ben le sta».

Una roba meschina, e di nuovo mi sono vergognato molto. Solo che proprio la compassione, davvero non mi veniva. Ho deciso di farmi bastare la vergogna, che dopotutto serve proprio quando la compassione non ce l’hai spontanea.

***

P.S. Di fine dell’empatia ho parlato qui. Per semplificarvi la vita, il riferimento era poi a questa fonte.

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