Trasposizioni simboliche
Martin Eden (Marcello, Italia/Francia 2019)
Ho visto l’altro giorno Martin Eden, dal romanzo di London che, devo confessare, non ho mai letto. Avevo visto a suo tempo il vecchio adattamento della RAI e mi aspettavo qualcosa di simile a quell’approccio realistico-didascalico; questo adattamento invece, è del tutto diverso
Togliamo subito di mezzo una questione di attualità: Luca Marinelli è bravissimo e il film,, sostanzialmente, si regge completamente su di lui e sulla maturazione (o discesa agli inferi) progressiva che fa compiere al personaggio, cambiando impercettibilmente ma progressivamente postura, gestualità, tic ed espressioni. Non ho visto Joker ma, al di là delle questioni regolamentari, il premio di Venezia mi è sembrato strameritato.
Il motivo principale di interesse del film, però, sta nel processo di adattamento del romanzo, in quello che mi è sembrato uno sforzo non sempre riuscitissimo ma molto interessante di mostrare come possa essere significativo, contemporaneamente, per un pubblico attuale e per uno universale.
La messa in scena volontariamente violenta e stravolge qualunque ambientazione spaziale e temporale: il romanzo è ambientato alla fine del XIX secolo negli Stati Uniti, il film si svolge in una Napoli pochissimo napoletana nella quale tutti i personaggi mantengono i nomi anglosassoni originari, le classi popolari vivono in una cultura materiale da anni ’60 e’70, le classi abbienti sono ancora agli anni ’20 e il dibattito politico fra le varie denominazioni di socialisti e anarchici copre tre o quattro decenni del ‘900, mentre all’orizzonte si teme l’avvento del fascismo,
C’è un lavoro notevole di sceneggiatura che, se in qualche momento può apparire straniante, nel complesso risulta molto efficace. Un po’ meno efficace è tutto un apparato simbolico e anche onirico, di visioni, ricordi del protagonista, frammenti d’epoca e semplici (semplici?) rimandi extradiegetici. C’è un po’ di strizzatura d’occhio allo spettatore colto, o a quelli che amano dissezionare i film per trovarci dentro il significato nascosto che, se non proprio fastidioso, è quanto meno eccessivamente insistito (e un po’ autoriale).
Anche con questi difetti il film arriva molto a bersaglio: in un certo senso restituisce alla memoria collettiva sia un grande autore e il suo peculiare incrocio di riflessione politica e grande narrazione (direi: d’avventura), sia un paio di archetipi narrativi nelle figure di Martin e Ruth/Eelena – mi sono chiesto: è lei la prima di una galleria di personaggi femminili poi replicati infinite volte? L’ha inventata London? – sia, infine, a riportare al pubblico una discussione politica (movimenti dei lavoratori e ruolo dei sindacati, il dissidio a sinistra fra collettivismo e individualismo) certamente un po’ intellettuale, ma comunque interessante anche in chiave di attualità.