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La contesa dello scialle

Siccome ultimamente controllo spesso il sito del Guardian per vedere gli aggiornamenti sul coronavirus allora di questi tempi Facebook e Google si comportano come se si trattasse dell’unico quotidiano al mondo e mi propongono editoriali di ogni genere, compresi quelli ai quali normalmente non dedicherei particolare attenzione.

È così che mi sono stati segnalati, uno dopo l’altro, due brevi editoriali di taglio completamente opposto, che prendono spunto entrambi dalla polemica sollevata da Rose McGowan (una delle principali accusatrici di Harvey Weinstein e fondatrice del movimento #MeToo) contro Natalie Portman, a proposito del vestito indossato da quest’ultima alla cerimonia degli Oscar, sul quale erano ricamati, come omaggio, i nomi di registe colpevolmente ignorate dalla competizione.

Se avete un attimo di vertigine su questa polemica sulla polemica della polemica, non vi do torto; mentre cercavo di spiegarlo, qui sopra, ero incerto anch’io.

Ma trovo l’episodio interessante, e per questo motivo ho tradotto gli articoli qui sotto (anche con quelli di cronaca che spiegano cosa sia successo), perché l’attenzione dedicata dal Guardian alla cosa (e da molti altri siti, ho poi controllato) testimonia di un certo rovello ricorrente che, per dire, non capita nemmeno quando le varie correnti del Labour si scannano, e che fondamentalmente attiene al fatto che, come raccontavo l’altro giorno, le categorie culturali con cui maneggiamo i problemi sociali che riguardano le minoranze, quelli che sono diventati oggi i diritti civili e gli altri argomenti collegati non sono, fondamentalmente, adeguati: quando due attivismi confliggono tutta la politica dell’identità va in cortocircuito, e c’è bisogno di chiamare in campo gli editorialisti che rimettano insieme i cocci.

Il che magari è anche un peccato, considerando che faticosamente il dibattito, dietro alla conta un po’ buffa di chi ha fatto più film diretti da donne e perché, testimonia che faticosamente si prova a spostarsi su piani economici e produttivi magari più interessanti.

Non ci sono particolari note di traduzione, se non che ho mantenuto i link originali contenuti negli articoli. Per vederli in originale, cliccate sui titoli. Ho messo gli articoli in ordine cronologico, perché ovviamente è significativo. Ci sono diverse ripetizioni, delle quali mi scuso, perché si ricama (il gioco di parole è voluto) su dichiarazioni reciproche di quattro-frasi-quattro che ciascun articolista commenta ma che in effetti sono sempre le stesse.

Rose McGowan: la protesta messa in scena da Natalie Portman col suo abito per gli Oscar è profondamente offensiva

di Andrew Pulver (12 febbraio)

McGowan ha criticato aspramente Portman, che ha risposto dicendo: «Sono d’accordo con la signora McGowan che sia inesatto definirmi coraggiosa»

L’attivista e attrice Rose McGowan ha definito Natalie Portman una frode per avere indossato un abito alla cerimonia degli Oscar ricamato con i nomi di registe, comprese Greta Gerwig and Lulu Wang, che sono state ignorate nelle nomination per miglior regista.

In un post su Facebook, McGowan ha scritto che Portman ha fatto «il tipo di protesta che ottiene reazioni entusiastiche da parte dei media dominanti» ma che si trattava di: «poco più di un’attrice che recita la parte di qualcuna a cui importa. Come fa la maggior parte di loro».

MGowan ha aggiunto: «Trovo il tipo di attivismo di Portman profondamente offensivo per quelle di noi che effettivamente si danno da fare».

La vincitrice dell’Oscar ha risposto alle critiche di McGowan con una dichiarazione.

Ha scritto: «Sono d’accoro con la signora McGowan che sia inesatto definirmi coraggiosa per avere indossato un indumento con sopra i nomi di alcune donne, Coraggiosa è un termine che io associo con maggior forza a azioni come quelle delle done che hanno testimoniato contro Harvey Weinstein nelle ultime settimane, affrontando una pressione incredibile».

McGowan ha accusato Portman di aver mancato di sostenere le autrici cinematografiche sia lavorando con loro sia assumendole tramite la sua compagnia di produzione. Ha dichiarato che Portman è stata diretta solo due volte da registe (compreso il film da lei diretto Sognare è vivere). Per la precisione, Portman ha lavorato con Mira Nair nel suo cortometraggio New York, I love you e in Planetarium, diretto da Rebecca Zlotowski.

Portman ha replicato: «È vero che ho fatto pochi film con donne [registe]. Nella mia lunga carriera, ho avuto la possibilità di lavorare con registe poche volte… Sfortunatamente. i film non portati a termine che ho provato a fare sono una storia di fantasmi».

La società di Portman, Handsomecharlie Films, ha partecipato in sette produzioni concluse, al momento, compresa la commedia romantica Amici, amanti e… e il thriller Orgoglio, pregiudizio e zombie. Sognare è vivere di Portman è l’unico film diretto da una dona del suo catalogo, dato che Lynne Ramsay ha lasciato Jane got a gun ed è stata sostituita da Gavin O’Connor.

«Ho avuto qualche volta l’esperienza di aiutare delle registe assunte per progetti dai quali sono state costrette a uscire a causa delle condizioni di lavoro che hanno dovuto affrontare», secondo Portman. «Dopo essere stati prodotti, i film diretti da registe hanno difficoltà a essere ammessi ai festival, a essere distribuiti e a ottenere premi, a causa della presenza di barriere all’ingresso a ogni livello. Sebbene io non abbia avuto successo, spero che stiamo facendo il nostro ingresso in un nuovo giorno».

McGowan, che ha pubblicato nel 2018 un’autobigrafia, Coraggiosa, riguardo alla sua presunta esperienza con Harvey Weinstein, ha scritto riguardo a Portman: «Tu sei il problema. Le azioni puramente di facciata sono il problema… Me la sto prendendo con te specificamente perché sei l’ultima di una lunga serie di attrici che recitano la parte di donne che hanno a cuore le altre donne. Attrici che apparentemente si schierano dalla parte delle donne, ma che in realtà non fanno assolutamente niente»

L’attacco di Rose McGowan a Natalie Portman è uno schiaffo gradito in un’epoca di coccole

di Ryan Gilbey (13 febbraio)

L’ira di McGowan è rinvigorente – e fastidiosa da sentire. In un’epoca nella quale il #MeToo viene annacquato dal sostegno delle stelle, abbiamo bisogno di lei

Ci sono mosche nella panna proprio in questo momento, che sono irritate da Rose McGowan. Ci sono mosche là fuori che si dicono l’una l’altra: «Non può starsene zitta per cinque dannati minuti e lasciarci gustare la panna?». Rose McGowan è fastidiosa fino a questo punto. E speriamo che lo rimanga a lungo.

Il suo ultimo bersaglio è l’attrice Natalie Portman, che ha partecipato alla cerimonia degli Oscar domenica in un abito ricamato coi nomi di registe che sono state trascurate nelle nomination dei premi di quest’anno, fra le quali Greta Gerwig (Piccole donne), Mati Diop (Atlantique) e Alma Ha’rel (Honey Boy). Le solite domande sul red carpet hanno dato a Portman la possibilità di spiegare la sua particolare scelta di abbigliamento: «Volevo dare un riconoscimento alle donne che non lo avevano avuto nonostante il loro incredibile lavoro, nel mio modo discreto».

Questo sfoggio di solidarietà ha fatto veramente perdere le staffe a McGowan. In un post su Facebook l’ha definito: «il tipo di protesta che ottiene reazioni entusiastiche da parte dei media dominanti», quando in realtà era: «poco più di un’attrice che recita la parte di qualcuna a cui importa. Come fa la maggior parte di loro». E ha proseguito: «Trovo il tipo di attivismo di Portman profondamente offensivo per quelle di noi che effettivamente si danno da fare». Ora l’obiettivo dell’ira di McGowan ha replicato, scrollandosi di dosso con indifferenza qualunque sospetto che una protesta fatta con ago e filo possa essere coraggiosa («Coraggiosa è un termine che io associo con maggior forza a azioni come quelle delle done che hanno testimoniato contro Harvey Weinstein nelle ultime settimane, affrontando una pressione incredibile») e controbattendo all’accusa di avere lei stessa raramente promosso il lavoro delle registe nelle sue scelte di carriera: «Sfortunatamente. i film non portati a termine che ho provato a fare sono una storia di fantasmi».

Se io provassi a valutare se le azioni di Portman corrispondono a: «gesti puramente di facciata» come suggerito da McGowan, starei stabilendo dei nuovi record di mansplaining. Ciò che credo è che gli attacchi di McGowan sull’autocompiacimento della cultura delle celebrità sia più necessario che mai ora che il movimento #MeToo è divenuto una parte normalizzata del nostro vocabolario collettivo. La sua ira era rinvigorente due anni fa, quando ha accusato Meryl Streep di ipocrisia, dichiarando che la plurivincitrice degli Oscar era a conoscenza del comportamento predatorio di Harvey Weinstein, un’accusa che Streep ha negato con veemenza – sebbene se fosse vero o falso è meno importante del dibattito che ha originato riguardo alle complicità e collusioni a Hollywood. C’erano moltissime persone, e molte donne fra loro, che sapevano di Weinstein, anche se Streep non era una di loro.

L’ira di McGowan è altrettanto vitale adesso. È profondamente fastidiosa da ascoltare – fastidiosa come Joaquin Phoenix che usa la sua vittoria all’Oscar per sollevare il problema della inseminazione forzata dei bovini – e molte persone cercheranno di liquidarla, esattamente come cercheranno di liquidare l’attore come un persoanggio bizzarro o un piantagrane. Se c’è qualcosa che ha provato da quando le sue accuse contro Weinstein hanno lanciato in orbita il movimento #MeToo (lei ha dichiarato che lui l’ha violentata, e poi ha distrutto la sua carriera; lui ha risposto con un accordo extragiudiziario) è che non solo sarà capace di dire la verità al potere, ma che continuerà a dirla molto più a lungo di quanto il mondo provi in ogni modo a non ascoltarla.

Il femminismo è qualcosa di più dell’affermazione fatta sul palco degli Oscar da Sigourney Weaver, Brie Larson e Gal Gadot che: «tutte le donne sono supereroine» (come? tutte le donne? Katie Hopkins? Asma al-Assad?). Se vogliamo sentirci caldi e coocolati ci sono cliniche di bellezza, per quello. Per il confronto col mondo reale, c’è Rose McGowan.

L’eroe ammantellato: chi è il vero bersaglio della rispsota di Natalie Portman a Rose McGowan?

di Catherine Shoard (14 febbraio)

Sotto attacco per fare attivismo con le frange agli Oscar, Portman ha mostrato misura e orgoglio nella sua risposta – e rispetto consapevole per le sue colleghe

È difficile predire quali episodi degli Oscar si riveleranno essere le storie di maggior rilievo. La vittoria di Parasite è stata una piccola sorpresa – ma non un terremoto. Non c’era bisogno della palla di vetro per immaginare che Elton John ci avrebbe dato una canzone o Joaquin Phoenix avrebbe messoin gioco i grossi calibri a favore del veganismo.

Le gioie della notte sono nelle palle curve. Scorsese che guarda con tanto d’occhi Eminem; Janelle Monáe che si fa saltare un bottone della camicia mentre lotta con un Mr Rogers da cardiopalma. Diane Keaton.

Ed è una delle notizie piovute da chissà dove riguardo agli Academy Awards d quest’anno che si è rivelata il successo maggiore in termini di coinvolgimento del pubblico del Guardian: l’attacco di Rose McGowan alla decisione di Natalie Portman di indossare uno scialle ricamato in modo discreto con i nomi di registe ingiustamente messe da parte.

Esattamente perché questo duello all’alba a base di oggetti di sartoria abbia catturato così tanto l’immaginazione è ancora in qualche modo un mistero – uno potenzialmente non edificante. Potrebbe essere che alla gente piaccia l’idea della guerra fra due seducenti attrici di primo piano e femministe? O c’è qualcosa di irresistibile riguardo al mettere in piazza l’apparente ipocrisia dei molto famosi?

Certamente il grosso dell’opinione, sia su Twitter che su questo giornale, sinora è stato fedelmente pro-Rose. Quel piccolo saggio di ricamo sulla giaca di Portman era solo un’esibizione, un tentativo da privilegiata di saltare sul carro dal quale sinora si era ben guardata dal salire. Giusto?

Naturalmente. Nemmeno Portman nega che si sia trattato di un attivismo superficiale. Ciò che è stato trascurato a proposito della sua risposta fredda e misurata – che non conteneva niente che minimamente potesse assomigliare a una scusa a McGowan – era un’accusa di rimando.

Portman ha scritto: «Sono d’accoro con la signora McGowan che sia inesatto definirmi coraggiosa per avere indossato un indumento con sopra i nomi di alcune donne, Coraggiosa è un termine che io associo con maggior forza a azioni come quelle delle done che hanno testimoniato contro Harvey Weinstein nelle ultime settimane, affrontando una pressione incredibile».

Questa non è semplice modestia a tutti i costi né omaggio di facciata all’argomento di attualità delle ultime due settimane [si sta aprendo il processo contro Weinstein, NdRufus]. È un’allusione al fatto che McGowan ha preferito incassare piuttosto che salire al banco dei testimoni. Il suo accordo da 100 000 dollari con Weinstein in relazione alla presunta molestia sessuale del 1997 comporta che non può testimoniare contro d lui in giudizio; naturalmente, ha fatto sentire ampiamente la sua voce altrove.

Portman avrebbe potuto andare oltre. Il suo curriculum in materia di lavoro con le colleghe registe è stato messo in discussione e considerato carente. Avrebbe potuto rivolgere le stesse accuse a McGowan, che ha lavorato con una regista quattro volte su ventisette lungometraggi completati. Si tratta del 15% in più rispetto alla maggior parte delle persone – ma ancor amolto lontano dall’avvicinarsi alla parità.

Portman avrebbe potuto citare altri elementi: che McGHowan in un film uscito da poco nelle sale è stata diretta da un pedofilo e pedopornografo riconosciuto, a proposito del quale McGowan ha detto: «Non ho capito fino in fondo la questione o la storia in questo caso, e preferisco di no, perché in realtà non sono affari miei. Ma è un uomo incredibilmente dolce e gentile».

Che una delle registe con le quali ha lavorato, Kari Skogland, ha dovuto dissociarsi pubblicamente dopo che McGowan ha dichiarato che: «sarebbe stata nell’IRA al “100%» se fosse cresciuta a Belfast. «Mi si è proprio spezzato il cuore per la causa».

Portman non l’ha fatto. Ha citato progetti che non sono decollati, dicendo: «Ho provato, e continuerò a provare. Sebbene io non abbia avuto successo, spero che stiamo facendo il nostro ingresso in un nuovo giorno». È stata una risposta matura da parte di qualcuno che è stata nel giro sin da quando era una bambina; una bambina i cui personali venire a patti con il consenso professionale (riguardate Léon e Beautiful girls) possono essere stati essi stessi ambigui.

Riconoscere le proprie mancanze, senza nel frattempo puntare il dito verso la persona che di punto in bianco ha definito noi una frode e la nostra giacca profondamente offensiva non è una cosa da poco.

Tutti quelli che hanno mai fatto campagne sociali sanno quanto possa essere insopportabile il sostegno di facciata. Ma McGowan sta facendo a brandelli al donna sbagliata, quando in giro c’è abbondanza di cattivi da mettere alla frusta.

Rose McGowan dice di essere pentita dei commenti a proposito dell’abito degli Oscar di Natalie Portman

di Andrew Pulver (18 febbraio)

McGowan twitta di avere «perso di vista il quadro d’assieme» dopo avere definito l’altra attrice una frode

Rose McGowan ha espresso rincrescimento per il suo attacco a Natalie Portman riguardo al vestito di protesta per la cerimonia deOscar di quest’ultima, che si riferiva all’esclusione delle donne dalle nomination per il premio della Academy per miglior regista.

In un post su Twitter, McGowan no si è scusata esplicitamente né ha citato Portman per nome, ma ha scritto: «La mia critica si sarebbe dovuta rivolgere alla cultura del silenzio che continua a permanere a Hollywood. Mi rendo conto che nell’attaccare qualcuno personalmente ho perso di vista il quadro d’assieme».

Ha aggiunto: «Tutte le voci, comunque parlino, sono valide. Continuiamo a allargare i confini in qualunque maniera possiamo, è tempo di farci sentire».

McGowan aveva acceso la miccia della polemica una settimana fa con un post che accusava Portman di essere una frode, dove diceva: «il tipo di attivismo di Portman [è ]profondamente offensivo per quelle di noi che effettivamente si danno da fare». Questo seguiva l’ampio risalto dato al vestito indossato da POrtman alla cerimonia degli Oscar del 2020, che era ricamato coi nomi delle registe che non erano state nominate per il premio di quest’anno.

Portman aveva risposto con una dichiarazione che difendeva la sua storia di lavoro con altre registe, dicendo: «Sono d’accoro con la signora McGowan che sia inesatto definirmi coraggiosa per avere indossato un indumento con sopra i nomi di alcune donne, Coraggiosa è un termine che io associo con maggior forza a azioni come quelle delle done che hanno testimoniato contro Harvey Weinstein nelle ultime settimane, affrontando una pressione incredibile».

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