Hashtag #sentiamoci
Stamattina, nella lista WhatsApp condivisa dai componenti del gruppo La Pira e dai loro amici, un’amica dal cuore grande ha lanciato il suggerimento: sentiamoci.
Siamo tutta gente che è abituata a vivere di riunioni, di incontri, conferenze, convegni, seminari, celebrazioni comunitarie, e improvvisamente questa dimensione della nostra vita viene meno, proprio nel momento in cui, come tutti, abbiamo paura, soffriamo l’incertezza o non sappiamo come meglio proteggere i nostri cari.
Ciascuno di noi ha mandato un messaggino vocale: non potendo incontrarci, l’idea era quella di potere almeno sentire le voci degli amici come rimedio alla loro mancanza fisica.
Perfino io, che odio quando mi mandano i messaggi vocali, sono stato felice.
Molto felice.
Stasera, non potendo fare altro, abbiamo deciso di fare Compieta insieme su Hangout. Non è che questo voglia dire mantenere un’abitudine: in più di dieci anni di esistenza, probabilmente non è mai capitato di dire Compieta in gruppo. È un fatto specifico: in altri momenti eccezionali avremmo avuto l’impulso di pregare assieme fisicamente (e in un’altra ora, magari coi Vespri), qui ci riuniamo nello spazio digitale. E non è solo un modo di mantenere fede a una identità religiosa, come i sacerdoti che vedo iniziano a condividere i link delle loro celebrazioni eucaristiche in diretta; casomai è un modo di confortarsi e farsi un po’ di coccole a vicenda, di sentirsi vicini, espresso in un modo che, per la nostra identità religiosa, ci è congeniale.
Domani il gruppo di coordinamento dei soci locali di Banca Etica fa riunione, sempre su Hangout. Un’altra riunione, del Centro Italia, l’abbiamo fatta ieri. Uno di noi era in quarantena perché positivo. Non lo sapevamo, ci siamo un po’ stretti attorno, si sentiva nel clima della riunione.
Riflettevo, dopo i messaggi di stamattina, che il distanziamento, in realtà, è meglio che non sia sociale, ma solo fisico.
Sono abbastanza avvertito, ovviamente, che creare distanza fisica fra le persone, soprattutto se prima si frequentavano e erano parenti o amici stretti, non può che avere conseguenze anche sul piano sociale. È ovvio.
Però c’è modo e modo, nel senso che mantenere un fascio di relazioni variegato e emotivamente caldo non è come passare un mese di seguito su un divano con un libro come sembrano suggerire certi. E fra i contatti per iscritto e sentire la voce viva delle persone ovviamente c’è un mondo di differenza, anche se si tratta solo di un messaggio registrato.
E penso anche che, nel prossimo paio di mesi che ci aspettano (lo so, sono pessimista) la tenuta psicologica dipenderà molto dal sentirsi, dal potersi sentire. E anche dal poteri dare strutture di relazionalità sfruttando gli strumenti digitali.
Non è qui il punto di riprendere il dibattito – spesso sterile – di reale contro digitale, di qualità dell’insegnamento a distanza contro relazione diretta, di relazionalità diretta o mediata da strumenti e così via. Il punto, casomai, è evitare di sprofondare dal livello dell’eccezionalità a quello dell’abbandono e dell’impotenza. Anche ammettendo che la relazione personale diretta, con pieno coinvolgimento fisico, sia necessariamente migliore (il che non è sempre facilmente dimostrabile) qui non stiamo parlando di questo: stiamo scegliendo se non avere relazioni o se arricchire le possibilità limitate dall’isolamento fisico grazie alla tecnologia, e io sul punto non ho dubbi.