Tutti si meritano gli auguri di Natale
Il giorno di Natale, dopo Messa, mi sono messo a fare gli auguri di Natale.
Ho molta ammirazione per quelli bravi e organizzati che già tre giorni prima ti mandano gli auguri, soprattutto perché io non sono capace e corro sempre il rischio, casomai, di fare gli auguri in ritardo, però l’organizzazione non è precisamente il mio forte e poi ho ho sempre un vago imbarazzo a muovermi troppo in anticipo – se sono auguri di Natale bisognerà farli a Natale, giusto? Lo dice la parola stessa: di Natale, non della vigilia, no?
D’altra parte, se vivessi ancora all’epoca nella quale gli auguri di Natale si spedivano per posta i miei auguri di Natale sarebbero regolarmente auguri dell’Epifania, quindi quelli bravi e organizzati hanno senz’altro ragione loro.
Comunque, dicevo, mi sono messo a fare gli auguri di Natale e mi è venuto in mente che su WhatsApp si possono inviare gli auguri a tutti i contatti in un colpo solo, e quindi perfetto, facciamo così.
In realtà, ho scoperto, WhatApp ti chiede di scegliere i destinatari uno per uno e quindi ho cominciato a smarcare tutti i miei contatti, solo che più bello sono stato informato che puoi mandare il messaggio solo a duecentocinquantasei persone per volta; la mia rubrica ne contiene facilmente tre volte tanto e quindi mi sono trovato un pochino in imbarazzo. Non è tanto il fatto di riscrivere il messaggio (che per quello mi bastava fare incolla) quanto il fatto che in questi casi non mi ricordo mai a che punto sono arrivato e poi ho sempre il timore che, come Facebook, le applicazioni ogni volta ti mischino la lista degli amici e non capisci più a chi hai mandato il messaggio e chi no.
E quindi ho doverosamente deselezionato tutti i duecentocinquantasei già scelti e ho cominciato a cliccare solo su quelli, diciamo così, importanti, per creare una lista degli eletti che rispettasse i limiti di WhatsApp. Ne ho scelto una trentina e poi ho deciso che non mi andava: tutti hanno diritto agli auguri di Natale, ho pensato.
E quindi ho fatto tre gruppi e mezzo, tutti con lo stesso messaggio inviato anche a indicazioni esoteriche della rubrica come: Eusebio Lucca Comics, Gianni autista Dedoni, Nanni chitarristi di strada e Caterina B&B Potenza (dove si capisce che non ho memoria per i cognomi e mi costruisco la rubrica in modo che poi dopo capisco chi cavolo è che mi sono segnato).
Perché tutti hanno diritto agli auguri di Natale. Anche tassista Palermo arrivo (il tassista della partenza, a quanto pare, non è pervenuto).
In realtà ho avuto un paio di altri andirivieni. Il primo è stato perché negli auguri non c’erano né icone né video divertenti, ma un testo di don Tonino Bello, fra l’altro non breve:
Amico mio, non aver paura. La speranza è stata seminata in te. Un giorno fiorirà. Anzi, uno stelo è già fiorito. E se ti guardi attorno, puoi vedere che anche nel cuore del tuo fratello, gelido come il tuo, è spuntato un ramoscello turgido d’attese. E in tutto il mondo, sopra la coltre di ghiaccio, si sono rizzati arboscelli carichi di gemme. È una foresta di speranze che sfida i venti densi di tempeste e, pur incurvandosi ancora, resiste sotto le bufere portatrici di morte. Non avere paura, amico mio. Il Natale ti porta il lieto annunzio: Dio è sceso su questo mondo disperato. E sai che nome ha preso? Emmanuele, che vuol dire: Dio con noi! Coraggio, verrà un giorno in cui le tue nevi si scioglieranno, le tue bufere si placheranno e una primavera senza tramonto regnerà nel tuo giardino dove Dio, nel pomeriggio, verrà a passeggiare con te,
e mi sono chiesto: saranno auguri che la gente vuole ricevere? Anche tipo il medico di famiglia o un paio di studenti che ho chiamato ai tempi del lockdown e che mi sono rimasti in rubrica perché mi sono dimenticato di scriverli come Maria laureanda Piras e adesso non mi ricordo più chi erano? Anche a loro il pistolotto cattolico?
Poi, però, mi sono detto che, in realtà, gli auguri che ciascuno si meritava, e che io volevo fare, erano esattamente questi e non altri. Auguri che, nel mio piccolo, facciano coraggio: una «foresta di speranze che sfida i venti densi di tempeste» è esattamente adatto ai tempi ed è l’augurio di cui anch’io sentivo il bisogno, e per quanto riguarda il pistolotto cattolico sono pur sempre auguri di Natale, non genericamente di buon anno – l’idea che mi sono portato via dalla lectio della settimana scorsa è esattamente che se è Natale si deve vedere, perché appunto la luce splende nelle tenebre, e il Natale è tutto qui, spezzare le vecchie catene, ricostruire Gerusalemme, far dormire il leone con l’agnello e dirci insieme che dalla foresta di arboscelli speranzosi si possono far erigere querce di giustizia.
E fasciare tutte le ferite, che è la cosa più importante oggi.
Questo è quello che voglio augurare loro, ho pensato, perché tutti hanno diritto agli auguri di Natale e anche al pistolotto cattolico.
Perché è Natale.
Anche per Cettina panificio Teramo.
Solo che, proprio al momento di spedire i primi duecentocinquantasei messaggi, mi è venuto un altro dubbio.
Anzi due.
Mi sono accorto che, lavorando in questo modo, un paio di persone avrebbero ricevuto il messaggio due volte: una volta al telefono personale e un’altra al cellulare di lavoro. Qualcuno magari tre.
Sarà poco garbato?, ho pensato. Si vede che sono auguri fatti in serie? E quelli che vedono che ho mandato gli auguri per circolare gli sembrerà che sono poco sentiti, che non c’è intenzione, che ho mandato una cosa uguale per tutti? È giusto fare gli stessi auguri all’amico e all’amica carissimi e a Raniero manutenzione lavatrice Piersanti?
Oh, è duro essere Roberto Sedda, come vedete. Anche per gli auguri di Natale si spacca il capello in quattro, com’è evidente. Anzi: in duecentocinquantasei.
In realtà, alla fine ho deciso che la frasetta che mi era venuta in mente, tutti hanno diritto agli auguri di Natale, risolveva uno dei due problemi. Non è che se faccio gli auguri a te e a quell’altro i tuoi sono meno sentiti. Per l’altro problema, quello dei cellulari di lavoro, ha prevalso la prudenza: se mi mettevo a rivedere la lista chissà cosa succedeva, e quindi ho lasciato così.
Perché tutti hanno diritto agli auguri di Natale.
Ero molto soddisfatto di me stesso.
Così soddisfatto, e così ripieno di questa sensazione di tuttosità dei miei auguri che non ho pensato che oltre a WhatsApp c’è Telegram, Facebook, Instagram, Twitter, LinkedIn, gli sms e, naturalmente, questo blog: perché tutti hanno diritto agli auguri di Natale, evidentemente, tranne gli utenti di tutti questi posti.
Scommetto che quelli bravi e organizzati queste gaffes non le fanno.
Rimedio adesso, per tutti: auguri, auguri, auguri. Siamo stati tutti feriti: deponiamo nella culla la gioia dell’annuncio della liberazione.
Buon Natale.