Treni passeggeri
Stamattina, mentre mi facevo la doccia, riflettevo sulla mia esperienza dentro una serie di organizzazioni politiche. È da quando ho passato i sedici anni che non sono più stato iscritto a un partito, ma da allora ho fondato un certo numero di associazioni culturali e una banca, ho fatto parte di innumerevoli comitati, organizzazioni, tavoli di lavoro, commissioni, gruppi, movimenti, assemblee, campagne, coordinamenti, cabale e congreghe e una certa esperienza me la sono fatta.
E stamattina, sotto la doccia, pensavo che è stata una settimana complicata in un paio di questi splendidi luoghi di impegno sociale, e mi dicevo: «Una campagna politica non è un treno passeggeri».
Cosa intendevo dire? Per rimanere nella metafora, che una campagna politica (poniamo: vogliamo che il Comune ci faccia potare il giardinetto sotto casa) è piuttosto come un treno merci: serve a portare a destinazione qualcosa. C’è un punto di partenza e uno di arrivo e un risultato da raggiungere, e finisce lì. Chi sale sul treno merci lavora per far raggiungere quella destinazione e la parola chiave è “lavora”: il viaggio lo deve fare la merce, le persone sono strumentali a quell’obiettivo.
Sul treno passeggeri, invece, si sale per mille motivi, tutti personali: per fare solo un pezzo di strada, per andare a trovare una persona cara, per andare a divertirsi, per fuggire, per fare incontri e perdersi negli occhi della compagna di viaggio, i suoi occhi il più bel paesaggio. Anche per andare a lavorare: ma il lavoro inizia quando si arriva, non durante, e anche chi apre il computer e inizia a lavorare in treno fa un lavoro che col viaggio non ha niente a che fare.
Ognuno sale col suo bagaglio, se le mette nella sua cappelliera e alla fine se lo riprende e se lo porta via. E nel viaggio ognuno si fa gli affari suoi e continua la vita che fa sempre: ci sono quelli che chiacchierano e quelli che si mettono a dormire, chi gioca col cellulare, chi chiama i parenti per fargli la telecronaca, chi è abituato a fare il cascamorto e attacca bottone con la ragazza di fronte, chi beve e si fionda al bar. Il viaggio sul treno merci invece è una parentesi: quello che fai di solito lo lasci a terra e casomai lo riprenderai quando arrivi.
Quando il treno merci arriva a destinazione, il viaggio è finito. Quando arriva il treno passeggeri, tutti scendono e comincia la vera avventura.
Naturalmente ci sono eccezioni: come per gli hobo americani, si può viaggiare sul treno merci da clandestini per farsi portare da qualche parte o semplicemente per andare via di là. Ci sono quelli che viaggiano sul tetto, in mancanza di meglio. Una certa quantità di queste storie finisce male, oppure non finisce, nel senso che il treno troppo carico è costretto ad andare a passo d’uomo e non arriva da nessuna parte. O magari si possono trovare delle combinazioni accettabili e limitate come quei personaggi conradiani che per cercare fortuna si trovavano a essere gli unici passeggeri su una bananiera liberiana diretta a Zanzibar. Ma sono eccezioni, ed è bene che sappiamo che noi, di solito, non siamo personaggi conradiani.
Certo, spesso i treni merci sono grandi e un po’ di posto per i bagagli personali c’è: uno spazietto per una borsa di sogni, uno zaino di desiderio di cambiare il mondo, quattro astucci con i miei obiettivi personali, perfino il necessaire per fare bella figura e passare per un gran figo e un leader insostituibile. Ma tutta questa roba funziona fin tanto che l’obiettivo del treno continua a essere quello di portare a destinazione la merce principale. Quei casi in cui ci affittiamo un treno tutti insieme per spostare da qui a là un certo numero di oggetti di ciascuno si chiamano cooperative e non sono movimenti politici, ma imprese economiche. Quelli in cui ognuno carica quello che gli pare e non c’è nemmeno un accordo preventivo sul percorso si chiamano assalti alla diligenza.
Per definizione i treni merci non sono belli e non sono poetici. Sono perfino bruttini, talvolta sgradevoli. Ci sono innumerevoli canzoni sui treni passeggeri, ma nessuno ha mai dedicato un’ode al treno merci. Ma le battaglie politiche si sono vinte quando si è stati capaci di portare a destinazione i treni merci.
Ragionare sulla politica in questo modo è necessario ma, ovviamente, problematico. Prima di tutto perché c’è il problema delle alleanze e dei desideri: c’è un sacco di gente che vorrebbe viaggiare sulla nostra campagna, e che in questo modo sembrerebbe tagliata fuori. Non è così, e fuori del treno ci deve essere posto per tutti: per quelli che lo riforniscono, per quelli che sorvegliano i binari, per chi aziona gli scambi, per chi costruisce i depositi d’acqua sul percorso, per chi mette i soldi per pagare il viaggio, per chi carica e scarica, per chi annuncia in stazione che il treno sta arrivando e perfino per quelli che vanno lungo i binari a fare ciao ciao con il fazzoletto. Dirò di più: anche per quelli che non hanno fatto nulla ma vogliono piangere di gioia al solo vedere una foto del treno mentre finalmente entra in stazione.
Le campagne hanno bisogno di reti e di alleanze e di incarnare gli ideali e le aspirazioni delle persone. Ma reti e alleanze e ideali e aspirazioni non possono sostituirsi al puro fatto materiale di una merce che si deve spostare da qui a lì. I treni merci, l’ho detto, sono bruttini, prosaici. Non sono adatti a tutti: c’è un sacco di gente che invece vorrebbe sostituire reti e alleanze e appartenenze e aspirazioni e ideali al prosaico spostamento fisico da là a qua. Quella gente, per le campagne, è un danno: che siano signorine sensibili, uomini del destino, maestrine dalla penna rossa, ribelli esistenziali, primedonne o commissari politici.
E l’altro problema è che anche tanto appello alla disciplina nasconde una tentazione e un pericolo. Che la merce diventi più importante delle persone, o che le persone diventino esse stesse merce: le pagine più vergognose della nostra storia recente sono esattamente legate a vagoni piombati e a treni merci che trasportavano persone che si voleva far diventare cose. È un pericolo grande, da cui guardarsi sempre, anche nel piccolo.
Ma niente può cambiare il fatto centrale: le campagne politiche non sono treni passeggeri.