Sintesi? Scienze naturali e umanistiche
L’altro giorno dentro un altro articolo ho detto en passant che mi era molto piaciuto un thread dello storico Andrea Mariuzzo nel quale, fra l’altro:
Mariuzzo trova lo spazio per fare a fettine (elegantemente) Odifreddi, con argomentazioni che mi hanno fatto pensare all’introduzione di un libro di critica letteraria che ho letto proprio oggi, ma questa è una segnalazione che mi riservo per un altro momento.
Per la gioia e la felicità di tutti l’altro momento è adesso. In realtà però sono stato frettoloso: l’articolo che elegantemente polemizza con Odifreddi non è di Mariuzzo, ma di Marco Grimaldi. C’è tutta una parte nel quale l’argomento del contendere è una teoria, per altro abbastanza sballata, che Dante non sia l’autore dell’ultima parte della terza cantica, teoria che mi ha fatto piacere scoprire perché è equivalente ai vari cospirazionismi che in Inghilterra tentano continuamente di provare che in realtà le opere di Shakespeare le hanno scritte quello o quell’altro e quindi prova che ci sono eruditi che fanno lo stesso tipo di danni a tutte le latitudini.
Come sempre queste teorie sono abbastanza facili da demolire se ci si rifiuta di farsi attirare nella nebbia teorica ma si va dritti al sodo:
Per esempio che se gli ultimi canti li ha scritti Iacopo lo ha fatto esattamente come avrebbe fatto il padre, con quella stessa abilità tecnica che qualsiasi lettore riconosce all’autore della Commedia e che è comprovabile nel dettaglio da molti punti di vista; mentre quando scrive la sua opera in versi, il Dottrinale, Iacopo fingerebbe di trasformarsi in un poeta mediocre.
Il centro dell’articolo, però, è la polemica contro le premesse di Odifreddi, che sostanzialmente scrive di Dante come pretesto per bersagliare la cultura letteraria a favore della sua visione scientista e materialista (bersagliare Dante ha il vantaggio, oltretutto, che si può fare anche polemica antireligiosa, che è l’altro caposaldo di Odifreddi).
Raramente mi è capitato di vedere una distruzione delle posizioni altrui così garbata e contemporaneamente intenta a non lasciare pietra su pietra. L’unico punto che manca – probabilmente perché Grimaldi è un filologo e non uno storico – è la confutazione di una delle premesse di Odifreddi, cioè che il Medioevo fosse un’epoca oscura e superstiziosa, attraversata da cupi millenarismi e da isterie religiose, una posizione ingenuamente romantica che era già vecchia quando abbiamo fatto il liceo e che adesso è certamente priva di ogni credibilità fra gli specialisti. Grimaldi si concentra invece, in maniera più basilare, sul fatto che la contrapposizione fra il letterato Dante e lo scienziato Galileo è del tutto priva di fondamento e che entrambi vivevano l’idea del sapere come un concetto non settoriale:
Innanzitutto, che cos’è una mente scientifica? E che cos’è una mente letteraria? Se Newton credeva nell’alchimia (e credeva pure a una cronologia geologica basata sulla Bibbia), si può dire che avesse una mente scientifica? E uno come Dante, che apre una sua poesia con una perifrasi astronomica che nessuna persona di media cultura scientifica saprebbe oggi interpretare senza un commento, che inserisce nel Convivio lunghe digressioni sulla struttura del cosmo e che, se la Questio de aqua et terra è opera sua, interviene autorevolmente in una disputa accademica sul rapporto tra i mari e le terre emerse, ebbene dovremmo credere che uno come Dante avesse una mente letteraria e basta? Dante aveva invece un’ottima conoscenza osservativa dei cieli, con tutta la precisione consentita dal sistema tolemaico; insomma, possedeva i dati sperimentali, ovviamente quelli disponibili a occhio nudo. E forse oggi pochi laureati in Fisica potrebbero competere con lui in questo campo. Ma tutto questo a Odifreddi non importa: la distinzione tra mente scientifica e letteraria gli serve per sostenere la superiorità tout court di quella scientifica e della sua mente, in particolare.
e sucessivamente:
Ma Odifreddi ama il paradosso e deve auspicare che il Dialogo sopra i due massimi sistemi prenda il posto della Commedia. E lo fa perché non riesce a uscire da un sistema di pensiero in cui la mente letteraria e la mente scientifica devono essere in conflitto. Per questo crede che la Commedia sia patrimonio di «sedicenti uomini di cultura» e che gli uomini di cultura veri, quelli come lui insomma, debbano smettere di perdere tempo con Dante per dedicarsi a Galileo e a Newton. Ebbene, questa conflittualità tra le due menti è tutta moderna: Odifreddi manca il bersaglio proprio perché né in Dante né in Galileo esiste una netta separazione tra scienza e letteratura. Dante non era uno scienziato, eppure sapeva di scienza; Galileo era uno scienziato, ma anche un fine letterato che annotò l’Orlando Furioso e la Gerusalemme Liberata e studiò la topografia dell’inferno descritto nella Commedia; e per le sue stesse ricerche scientifiche la lettura di fonti antiche fu un impulso fondamentale. Ma allora Galileo aveva una mente scientifica o una mente letteraria? E dobbiamo quindi rinunciare a Dante o a un’idea del tutto inattuale del conflitto tra le due culture come quella fatta propria da Odifreddi?
Dato che l’articolo, che invito a leggere interamente, mi era piaciuto, ho messo il sito di provenienza nell’aggregatore quotidiano di notizie. Manco a farlo apposta il giorno dopo ho trovato un articolo di Franco Moretti che presenta un libro da lui curato e la nuova collana editoriale di critica letteraria che la pubblicazione di questo libro inaugura:
Nottetempo ha inaugurato ieri “Extrema Ratio”, una nuova collana in cui appariranno alcuni tra i più importanti testi di teoria e critica letteraria usciti nel Novecento, accanto a saggi inediti scritti da grandi figure della critica contemporanea e a opere importanti di giovani studiosi e studiose. La collana – diretta da un comitato editoriale formato da Federico Bertoni, Francesco De Cristofaro, Daniele Giglioli, Guido Mazzoni, Donata Meneghelli, Simona Micali, Franco Moretti, Pierluigi Pellini – parte con un saggio di Franco Moretti intitolato Falso movimento. La svolta quantitativa nello studio della letteratura.
Ora: da quel che leggo nell’introduzione del volume, è esattamene una roba adatta a me: confronto fra studio quantitativo della letteratura e digital humanities, stato dell’arte di un certo tipo di critica letteraria, mantenimento o recisione nella critica letteraria postmoderna del legame con le teorie novecentesche della forma: se dovete decidere cosa regalarmi per il mio compleanno (10 maggio, non per dire) questo potrebbe essere un libro gradito. Ma quello che mi ha colpito, rispetto all’articolo che avevo letto il giorno prima, è la prova che il dialogo fra l’una e l’altra cultura, fra letterati e scienziati, la possibilità di essere gli uni e gli altri, rimane:
Vent’anni fa, lavorando alla Letteratura vista da lontano, feci una sorta di scommessa: sulla base di ricerche empiriche ancora agli inizi, avanzai l’ipotesi che la statistica, la geografia e la teoria dell’evoluzione – i “modelli astratti” menzionati nel sottotitolo dell’edizione inglese – avrebbero potuto trasformare dalle fondamenta la storia della letteratura […] Per quel che mi riguarda, è ormai da molto tempo che l’ispirazione principale mi viene dalle scienze naturali. All’inizio fu soprattutto la teoria dell’evoluzione, che gettava una luce nuova su come pensare ai generi letterari e alle trasformazioni morfologiche; più tardi, nel riflettere sui risultati raggiunti, sono passate in primo piano l’epistemologia e la storia della scienza. E così, i nomi di Georges Canguilhem e Alexandre Koyré, Ernst Mayr e Thomas Kuhn si incontreranno in queste pagine più spesso di quelli di molti critici letterari.
Dante fa anche una brillante e precisa osservazione di ottica: la brillantezza di una sorgente luminosa è la stessa indipendentemente dalla distanza a cui viene osservata, allontanandosi diventa solo più piccola. Pd II, 97-105.