Politici in treno
Ieri ero a Roma per una riunione di Banca Etica.
Sul treno che di mattina presto da Fiumicino porta a Termini ho due tizi seduti vicino. Uno chiama la moglie per sapere se è riuscita a smontare, alla fine. Quella evidentemente c’era riuscita, perché stava già dormendo: ma lui le suggerisce comunque cose da fare, una bella tazza di latte, e poi così ti metti a dormire… (ma stava GIÀ dormendo!!), quella deve avere un buon livello di sopportazione, comunque. Si salutano con bacetti.
Anche io vorrei chiamare mia moglie, ma decido di lasciarle un altro po’ di tempo per prepararsi con calma per uscire.
Davanti abbiamo un altro signore, un bel vecchio con fluenti capelli bianchi. Si attacca al telefono, parla con un collaboratore. Vuole che dia un’occhiata a un’intervista che ha rilasciato a un qualche giornale di Brescia, l’intervista è andata bene, la giornalista faceva parlare, ma vuole riscontri.
Capiamo che è un qualche uomo politico. Mi chiedo se ci sono ancora lavori parlamentari, ma un qualche motivo per essere a Roma in questo periodo non manca.
Il collaboratore richiama. Intervista ottima. Poi avvisa di una serie di altre notizie.
A un certo punto il bel vecchio chiede: «E per lei quali sono le imputazioni, quindi?», e ride.
Sente la risposta, e ride.
Poi continua: «E di me che dicono?». E ride.
«Certo! Per me è meno, perché io ho duecento euro in meno…». E ride.
Io e l’altro pensiamo alle nostre mogli.
***
La sera, al ritorno, stesso treno in direzione contraria. Guardo sospettoso i vicini. Il tizio certamente non elegante (vestito come me, quindi non elegante), intento alla lettura dell’iPad non desta sospetti.
La ragazza molto fine, molto di classe, firmata da capo a piedi, con la minigonna e le gambe di fuori, suscita qualche dubbio in più: potrebbe essere una deputata? È giovanissima, mi pare strano. Poi mi rendo conto che la cosa potrebbe non voler dire. Poi mi insulto da solo per aver ceduto a stereotipi maschili.
Prendo il palmare per leggere, ma questo mi mette le sue gambe direttamente sotto gli occhi. Cambio posizione, ma sto scomodo. La vita è difficile, l’esperimento fallace, le gambe delle ragazze in treno molto lunghe…
Al tizio dimesso squilla il cellulare: una distrazione opportuna.
«Non so niente», dice. «mi ha mandato un sms Minniti all’ora di pranzo dicendo che la cosa dovrebbe essere fatta, ma poi non ho più sentito niente».
Squilla ancora il telefono. «Guarda, non so. Minniti mi ha mandato un messaggino alle tre, poi niente. Adesso vedo un’agenzia che la direzione ha approvato le liste all’unanimità, ma non mi ha dato conferma nessuno».
La scena si ripete un altro paio di volte. Una telefonata è un po’ più lunga, si parla di polemiche a Bergamo, di Gori che non è passato alle primarie e adesso è in lista lo stesso. Il refrain è lo stesso: «Dovrebbe essere sicuro, ma…».
A un certo punto chiama un numero sconosciuto. Il tizio si illumina: «Pronto… ECCOMI!! Ah, no, adesso sono a Roma in treno, la richiamo domani…».
Siamo in stazione. La ragazza elegante si snoda languida su dal sedile e con cura si infila i guanti.
Quando scendiamo dal treno l’omino imbarazzato è ancora lì: «Niente, non so ancora niente. Cioè, all’ora di pranzo Minniti…».