Morte all’ipotenusa!
Contrariamente a quel che può sembrare dal titolo, questo articolo non parla di geometria. Inoltre, questo articolo contiene un numero esorbitante di spoiler relativi a opere narrative di decenni fa: siete avvertiti .
La donna bruna deve morire
Uno dei modi tipici coi quali inizio a proporre le idee dei Fabbricastorie sulle narrazioni è suggerire che le storie siano divise in grossi pezzettoni, combinabili fra loro come se fossero dei Lego.
L’idea base, che è purissima farina del sacco dei Fabbricastorie e anche molto caratteristica del modo con cui la nostra generazione ha imparato a confrontarsi con le narrazioni popolari, è quella che trovate nella slide qui sopra: io penso che raccontare storie voglia dire imparare a maneggiare una serie di elementi narrativi standard – temi, situazioni, trame, personaggi, di volta in volta archetipici o stereotipici; più ci si esercita a manipolarli, più si diventa bravi (o perlomeno spigliati). Per un approccio base è più che sufficiente: ad approfondire ci sarà sempre tempo, ma intanto bisogna imparare a avere confidenza e a giocare con le storie, liberandosi anche di quel tanto di rispetto reverenziale per i Grandi Scrittori e i Grandi Romanzi che viene da cattive pratiche scolastiche e pessime abitudini culturali.
Tanto per mettere subito le mani in pasta, l’ultima volta ho iniziato con un esercizio/domanda:
Ponendo la domanda avevo in mente vaghi ricordi di Partita d’azzardo (nell’originale Destry rides again, con James Stewart e Marlene Dietrich, e scusate se è poco): lo Sceriffo è fidanzato con la Maestrina, bionda, alta, elegante, ma quando va al saloon ci trova la Donna Bruna (coi capelli neri come il peccato, formosa, disinibita e peccatrice), che magari è anche la Donna del Boss ma che naturalmente, essendo lo Sceriffo un Vero Uomo, non può rimanere indifferente al suo rude fascino. Quindi all’interno del normale andamento avventuroso della trama si crea un secondo motivo d’interesse dato da questo triangolo amoroso irrisolto. Ebbene, alla fine la Donna Bruna deve morire. Deve. Per forza. Infallibilmente. La domanda è: perché?
Il gruppo ha trovato abbastanza rapidamente la risposta. Prima di tutto la Donna Bruna deve morire, banalmente, perché deve togliersi di mezzo in modo che l’Eroe possa sposare la Maestrina senza problemi. Certo, la morte è una soluzione abbastanza drastica, ma d’altra parte la Donna Bruna è una Peccatrice (si è data al Cattivo, e comunque cantava nel saloon) e, nella mentalità moralista dell’epoca del film, non può cavarsela tanto a buon mercato (giustamente qualcuno mi ha fatto notare che non è solo questione di mentalità: l’arco narrativo tipico dell’eroe richiede che si lasci del tutto alle spalle tentazioni e oscurità, spogliandosi del Peccato; simbolicamente la morte della Donna Bruna è la morte dell’uomo vecchio perché l’Eroe sia lavato interiormente ed esteriormente eccetera eccetera). Oltretutto nel caso preso ad esempio Marlene Dietrich si sacrifica per salvare James Stewart, quindi è perfetto: redime col il sacrificio estremo una vita di peccato.
Il gruppo è arrivato con abbastanza naturalezza anche alla “domanda polemica”, che voleva dire chiedersi se debba andare per forza così o si possa invece salvare la donna bruna a spese della bionda: io avevo pronto il caso di Gwen Stacy, fidanzata bionda dell’Uomo Ragno ben presto eliminata a favore di Mary Jane Watson, rossa esplosiva di cui si è sempre intuito che fosse abbastanza libera sessualmente, e altrettanto pronta avevo la risposta: a un certo punto gli autori hanno imparato – appunto – a manipolare le storie e diventati padroni del meccanismo hanno provato a vedere cosa succede a violare le regole. È come col cubo di Rubik: una volta che sai il trucco poi puoi fare le facce come ti pare.
B come Bibliografia e come Blog
Alla fine delle slide metto sempre una serie di riferimenti e indicazioni che ho avuto in mente mentre preparavo l’incontro o che sono emersi in passate discussioni (si chiama compostiera per motivi che saranno spiegati un’altra volta e sì, c’entra Neil Gaiman e c’entra anche la sacra scuola del rigurgito cara ai Fabbricastorie).
Questa volta le varie discussioni sono state piuttosto interessanti e io tornando a casa ho continuato a pensarci sopra; e poi ancora sono andato a controllare alcune cose per chiarirmi le idee (e confermarmi di non avere detto sciocchezze). Al momento di pubblicare sul nostro Discord le slide e la bibliografia avevo anche intenzione di mettere un po’ di note a commento raccontando le mie riflessioni e ricerche ulteriori: poi ho pensato che potevano cose interessanti anche per altri lettori del blog,e quindi eccoci qui.
Incesti e ipotenuse
Western famosi e ipotenuse
Partiamo intanto da Partita d’azzardo: ho rivisto il film e ho scoperto con sorpresa che la ragazza bionda non è una maestrina, è la sorella di un allevatore; non è poi questa gran differenza. Un po’ più significativo è il fatto che Marlene Dietrich non è… bruna, ma bionda pure lei; d’altro canto è una delle attrici con all’attivo più interpretazioni di donne perdute che ci siano mai state, quindi è bruna ad honorem. Probabilmente mi ero confuso con Mezzogiorno di fuoco, dove la donna bruna c’è davvero ma il triangolo amoroso si è in realtà concluso nel passato: in quel caso lo sceriffo è già sposato con la maestrina (che comunque è Grace Kelly, non proprio una sciacquetta insignificante) e la bruna è stata in sequenza amante sua, del cattivo e del vicesceriffo (che è anche un vicecattivo). Questo fa sì che la bruna salvi la pelle al solo prezzo di prendere il treno per non tornare mai più e di contribuire a rappacificare l’eroe e la maestrina: tutto sommato le va di lusso. Già che c’ero sono andato a rivedere la trama del gemello cattivo di Mezzogiorno di fuoco, cioè Rio Bravo: è interessante che in un film serenamente reazionario, ma privo delle sovrastrutture morali di Mezzogiorno di fuoco, non ci sia triangolo amoroso: lo sceriffo si mette con la cantante da saloon senza troppi problemi e buonanotte.
Quado ho preparato l’esercizio ero convinto che a parte Partita d’azzardo ci fossero centinaia di film con lo stesso tipo di contrasto. In realtà dopo la lezione trovare altri esempi non è stato proprio semplicissimo. È vero che l’ottimo TvTropes (il catalogo, anzi il catalogo degli elementi base delle narrazioni popolari contemporanee) ha un nome specifico per questa situazione, e cioè lo scioglimento del triangolo amoroso tramite la morte dell’ipotenusa; viene trattato come un sottocaso del meccanismo del Gramo Mietitore della trama. Su un altro versante, sempre su TvTropes c’è una interessante discussione del dualismo Betty/Veronica (anche se probabilmente la voce più adatta è un’altra; qui invece si suggerisce che la devianza è tutta del giudice, non della peccatrice). Come sempre su TvTropes ci si può divertire a seguire i link e le ramificazioni; se si sta studiando, si devono seguire le ramificazioni.
Talvolta si trovano siti che questo lavoro l’hanno già fatto per te, come questo interessante articolo che affronta il triangolo amoroso dal punto di vista del narrative design; però diciamocelo: farsi i propri giri, trovare i propri esempi e costruirsi i propri schemi è più divertente – e si impara sicuramente di più.
Incesti
La sera dopo, tornando a casa, mi sono ritrovato a pensare alle variazioni sul tema e ai casi in cui a morire è la bionda, e improvvisamente mi è venuto in mente un esempio bellissimo e adattissimo, che è Star Wars. Nel primo film c’è un evidente triangolo amoroso: Luke, Leia e Han. Leia non è certamente uno sceriffo ma è certamente una Tutrice dell’Ordine, ma Luke e Han sono costruiti come l’equivalente maschile dell’alternativa bionda/bruna (essendo uomini, il dualismo è: eroe solare/simpatico mascalzone). All’epoca dell’uscita del film lo spettatore abituato alle normali convenzioni narrative doveva per forza supporre che Leia fosse la Damigella in Pericolo destinata a essere la ricompensa per l’eroismo di Luke, che dopotutto è il protagonista della storia. Invece nella scena finale Leia fa l’occhiolino a Han e tutto prende improvvisamente un altro aspetto: compreso il passaggio da Damigella in Pericolo a Donna Volitiva. Sull’altro lato Han è molto più riuscito come personaggio di Luke, così come Harrison Ford è molto più iconico di Mark Hamill, solo che a questo punto Lucas ha il problema di togliere di mezzo Luke dal triangolo, cioè di ammazzare l’ipotenusa; solo che Luke è l’eroe e non si può eliminare e perciò gli viene riservato un destino peggiore della morte: si scopre che è il fratello di Leia, e quindi buonanotte – dalla morte si può perfino tornare (vedi Ghost o Il paradiso può attendere), ma l’incesto è ancora un no-no assoluto.
Mentre poi scartabellavo film western che riproponessero lo stesso tema di Partita d’azzardo, ho scoperto con sorpresa un film, L’occhio caldo del cielo, in cui lo sceneggiatore si esibisce in un pezzo di bravura, cioè l’assassinio seriale di ipotenuse dell’uno e altro genere. Inizialmente ci sono due rivali, il bandito e lo sceriffo, innamorati della stessa donna (il bandito è un ex amante); la donna però è sposata con un ubriacone. L’ubriacone non è abbastanza virile, per definizione, perché non è in grado di contenere le sue passioni, e quindi non merita di vivere: infatti viene tolto di mezzo in una rissa da saloon. A questo punto i due hanno campo libero con la vedova, salvo che lo sceneggiatore mette in mezzo anche la figlia, creando due triangoli sovrapposti: bandito-vedova-sceriffo e figlia-bandito-madre. Al momento dello scioglimento viene messo in campo, pesantemente, l’espediente narrativo dell’incesto: la vedova rivela infatti che il padre della figlia è il bandito – in un colpo solo i due triangoli vengono sciolti, eliminando prima di tutto la figlia e poi anche il bandito, che a questo punto non solo è assassino ma pure padre snaturato: e infatti nel duello finale si lascia uccidere dallo sceriffo, per pagare il fio dei suoi peccati.
Dalton Trumbo, sei il mio eroe.
La vendetta dell’ipotenusa
Facendo le mie ricerche ho visto che fra i casi relativamente recenti di morte dell’ipotenusa c’è Downton Abbey, nel quale l’influenza spagnola elimina opportunamente l’insipida Lavinia per liberare la strada al sospirato matrimonio fra Mary e Matthew. Lo sceneggiato utilizza lo stesso sistema anche per altre coppie, ma in questo caso quel che è interessante è una sorta di vendetta postuma. Dalla vicenda Matthew, che è in generale caratterizzatissimo come eroe positivo tutto d’un pezzo, non esce benissimo: non solo in fondo è un fedifrago che non è mai stato veramente innamorato di Lavinia, ma utilizza l’eredità del padre di lei per salvare le fortune della sua nuova famiglia (uno dei marchingegni narrativi più improbabili della serie). Per gli aristocratici inglesi i soldi contano più del sesso, come si sa, quindi Lavinia, che pure aveva dato il suo morente beneplacito alla nuova coppia, non deve averla presa bene: una macchina di passaggio provvede quindi a redimere Matthew della sua mancanza di buon gusto – definitivamente.
Melodrammi
Durante la discussione qualcuno mi ha fatto notare che fra le donne brune famose che ci lasciano la pelle c’è Carmen. Sono andato a rivedere un po’ di cose, perché non ero sicuro, e direi che la differenza – uso ancora TvTropes – è che sinora abbiamo parlato di femme fatale (spesso sottovariante chanteuse) mentre tecnicamente Carmen, almeno nell’opera, è una vamp (glamourizzata, ma questo è un altro discorso).
Nel caso di Carmen anche il triangolo amoroso è gestito diversamente: muoiono sia l’ipotenusa che i cateti. Comunque sia Mérimée che Bizet e i suoi librettisti alla fine Carmen l’ammazzano, quindi la regola perbenista che vuole la donna perduta pagare con la vita il fio dei suoi peccati è confermata. D’altra parte a proposito di Carmen ho osservato che nell’opera per tutte le donne perdute vige la pena di morte, vedi alla voce Violetta; dev’essere magra consolazione che comunque muoiano pure le eroine, tipo Tosca o Liù, e perfino le innocenti, come Desdemona, Mimì o Madama Butterfly – d’altra parte è melodramma, e deve finire male.
Appena finite di scrivere queste righe mi sono reso conto che in realtà nella Boheme c’è una donna perduta che la fa franca, e cioè Musetta, e che lo stesso Puccini ammazza l’ipotenusa Liù ma poi offre un bel lieto fine a Turandot e Calef. Misteri delle associazioni di idee: mi sono immediatamente anche ricordato che Santuzza se la cava mentre compare Turiddu finisce, com’è noto, ammazzato. Non ho presente la cronologia delle varie opere per capire se il gusto e il modo di raccontare si sia evoluto nel tempo o se il panorama dell’opera e del melodramma sia sempre stato più variato di quanto credessi, me lo appunto per ricordarmi di controllare in futuro (e sto lasciando da parte Wagner, perché davvero davvero non ce la posso fare).
Delinquenti che non si godono la pensione
Dopo l’esercizio iniziale questa roba che in un certo tipo di storie qualcuno deve per forza morire è tornata poi anche successivamente. A un certo punto, per esempio, ho detto che nelle storie di pirati, e in senso lato di delinquenti, c’è sempre il tema di potersi finalmente godere il maltolto in una serena vecchiaia, e che invece poi non ce la fanno mai. Avevo in testa sicuramente il racconto delle vite dei pirati fatto da Black Sails (il libro, non la serie); e anche se il racconto che l’altro giorno ho fatto al gruppo della morte di Edward Teach, il pirata Barbanera, è molto inesatto, il tema era posto correttamente. In realtà proprio la repubblica pirata delle Bahamas ricorda che fra la morte e la serena pensione c’è una terza via, che è quella di passare dalla parte della legge e dare la caccia agli antichi compagni – un destino che unisce molti pirati, per esempio, a certi briganti meridionali.
Narrativamente, comunque, l’alternativa è più secca della verità storica, e il delinquente deve morire – o perlomeno, non godersi la pensione, se no non c’è contrappasso. L’amico Marco, che è sempre molto attento, mi ha citato The Irishman. Io, che sono un boomer, ho fatto notare che il punto di riferimento è molto precedente ed è C’era una volta in America, anche se Max ci mette molto a pagare e Noodles in fondo se la cava, ma a prezzo di un destino peggiore della morte, cioè andare a letto presto per anni e anni.
Era un’osservazione un po’ pignola: per farmi perdonare segnalerò a Marco (e ovviamente anche a voi, amabili lettori) che la pensione del criminale è ovviamente anche il tema dell’imperdibile Carlito’s way, per chi non l’avesse mai visto, mentre fra le cose recenti ci sono due libri di Winslow: uno – andamento classico – è L’inverno di Frankie Machine, mentre l’altro – versione frizzante e postmoderna – è ovviamente Savages. Poi, è chiaro che coi film sulla mafia si può andare avanti per un po’: diciamo che ci sono sul tema almeno Quei bravi ragazzi e entrambi gli Scarface; perfino la serie del Padrino finisce con lui roso dal rimorso, ma quello è moralismo da quattro soldi di una serie che non riesce a mantenere le premesse. Il rischio di non mantenere le premesse lo corre continuamente anche John Wick: è costruito sullo stesso tema ma purtroppo la serie ha avuto successo e quindi lui alla fine non muore mai, contro tutte le evidenze, e dopo un po’ il gioco si fa rischioso, anche se le invenzioni delle ambientazioni spesso compensano la debolezza.
Mentre raccoglievo le idee sulla impossibilità per i criminali di godersi la vecchiaia, mi è venuto in mente un esercizio che magari proporrò in un’altra occasione, e che è: perché il gangster non può godersi la pensione mentre l’anziano guerriero invece può spesso appendere serenamente l’ascia al chiodo? Fanno eccezione, ovviamente, quelli che per tutta la vita hanno desiderato di morire con un’arma in mano, tipo Beowulf, e quelli che hanno la sfiga di dover allevare il giovane eroe, per i quali, come dice Tv Tropes, la morte fa parte della descrizione delle mansioni lavorative (tipo Obi Wan Kenobi). Ma per il resto, quando sei lì a curare l’orticello e arriva il tuo antico compagno d’armi per proporti un’ultima grande avventura, o quando l’antico male che non hai sistemato per bene l’ultima volta si risveglia, puoi guardare al futuro con una certa serenità – salvo che non abbiano scelto Sean Bean per interpretarti (quello, e altri 24 segnali che stai per morire).
In parte la differenza, ovviamente, è che il criminale ha delle cose da farsi perdonare e il vecchio guerriero invece no; ma secondo me c’è anche qualcosa di più, e quindi vi lascio con la domanda, e magari riprenderemo il discorso un’altra volta.