Film che ho visto
Ovvero Lo Hobbit e Vita di Pi.
Li ho visti ormai qualche giorno (settimana fa), ma non ne ho parlato perché non mi pareva di avere niente di particolarmente intelligente da dire.
D’altra parte mi è comodo appuntare qualche pensiero, giusto per ricordarmi in futuro cosa ne ho pensato al momento della visione.
Lo Hobbit: un viaggio inaspettato
Diciamolo subito: mi schiero fa quelli a cui è piaciuto.
È vero; durante la lunga scena della fuga-combattimento dalle miniere degli orchetti ho pensato: «Sembra Il Signore degli Anelli». Ed era un pensiero che, pur ammettendo la bellezza delle scenografie e le invenzioni di ripresa aveva in sé un po’ di stupore e anche di rimpianto: perché come sanno tutti quelli che hanno letto con attenzione Lo Hobbit, sulla pagina scritta la distanza fra le due opere è enorme.
Però mi è piaciuto lo stesso, e credo che in qualche modo il fatto che questa trilogia, più che essere la trasposizione de Lo Hobbit, sia il prequel del Signore degli Anelli fosse inevitabile. Del resto l’opera stessa di Tolkien è diventata un corpus amplissimo e, considerandola come un tutto unico – come evidentemente fa Jackson – le differenze di tono fra le varie parti di fatto si perdono.
Mi rimangono due piccole obiezioni: una riguarda i nani, che fisicamente si pongono, nei movimenti e negli atteggiamenti, non come esseri con una struttura corporea diversa, ma semplicemente come “uomini piccoli”. È un fatto minore, ma un po’ mi ha disturbato (come, a quanto leggo, è successo ad altri per Radagast e i passerotti o cose del genere); d’altra parte era, credo, inevitabile.
La seconda è la riduzione della storia al tema della casa (chi ha visto il film ricorderà che è il punto in cui le visioni di Bilbo e di Thorin finalmente si incontrano). Non è tanto il fatto che tutta la diffidenza di Thorin nei confronti di Bilbo sia un po’ una forzatura rispetto al libro originale, quanto il fatto che si tratta di un tema un po’ banalotto e tipicamente da riduzione hollywoodiana di tematiche complesse: non arriviamo alla retorica, ma ci andiamo abbastanza vicini.
Probabilmente dipende anche dal fatto che, come osserva Roberto Recchioni
proprio come nel caso del SdA, anche Lo Hobbit ha tutti i grandi snodi drammatici nei posti “sbagliati”, in termini cinematografici. Di conseguenza, per riuscire a mettere tutto al suo posto, dando il giusto respiro drammatico alla storia, valorizzando i personaggi e le scene più spettacolari, si sia scelta la strada della trilogia. Tanto spazio, in modo di farci stare tutto comodamente
e, secondo me, questo non ha determinato solo la divisione della storia in tre parti, ma anche l’esigenza di far “girare” ogni parte attrno a un nucleo tematico, che in questo primo caso è il contrasto fra Bilbo che va via di casa e Thorin che vuole tornare alla sua. Un po’ ingenuo, ma funziona.
Vita di Pi
Al contrario de Lo Hobbit in questo caso non ho letto il libro: stava dimenticato nella libreria ed adesso è stato trasferito sul comodino, ma per il momento senza essere iniziato.
Visivamente Vita di Pi è straordinario, e la narrazione avvincente: molto leggera nella prima parte, indiana, tesissima ma contemporaneamente piena di sfumature nella parte del naufragio e della lunga peregrinazione in mare.
Emergono però ogni tanto piccoli accenni problematici. Alcuni riguardano l’improbabilità delle situazioni, ma questi trovano una soluzione elegante e convincente nel sorprendente scioglimento finale.
Le altre riguardano invece un po’ il tono da fiaba new age proposto nella prima parte («Le racconterò una storia che la farà credere in Dio») che invece non arriva proprio del tutto a destinazione: non so se questo dipenda da una debolezza dell’originale o dal fatto che Ang Lee si sia trovato in imbarazzo a gestire la materia (in alternativa, può essere che sia io troppo poco ricettivo, o troppo rigido).
Restano, comunque, mille invenzioni visive (e una bella prova d’attore del giovane protagonista) che rendono il film molto consigliabile.