Davvero
Ho conosciuto il progetto di Davvero a Lucca, anche se un po’ en passant, come credo di avere già raccontato.
Arrivati adesso al terzo numero credo che si possa provare a tracciare un bilancio: naturalmente, considerato che io sto seguendo l’edizione in edicola mentre on line il fumetto è andato molto più avanti (ma io mi rifiuto di leggerlo là per non rovinarmi la sorpresa: vado solo ogni tanto a vedere come è variata la sceneggiatura fra le due versioni), mi espongo consapevolmente al rischio di dire cretinate: fa parte delle regole del gioco, dopotutto.
Davvero, di Paola Barbato
Allora, per chi non è molto addentro al mondo del fumetto la storia è questa: Paola Barbato, che è una sceneggiatrice Bonelli abbastanza affermata (per esempio ha fatto uno dei numeri delle Storie Bonelli, quelle del boia di Parigi, di cui ho parlato) l’anno scorso ha intrapreso un progetto molto personale: un fumetto pubblicato on line, tavola dopo tavola, affidato a disegnatori volontari trovati con annunci sul web, per una storia molto fuori dai canoni soliti del fumetto italiano: una specie di diario di una ragazzina che improvvisamente si trova a vivere la vita da sola, fuori del contesto borghese a cui si era abituata.
Il progetto ha successo e si trasferisce in edicola. Credo che originariamente dovesse essere (e anche questo era molto interessante) un progetto transmediale (si dirà così?), con forti intrecci con il pubblico: sul sito sarebbero rimasti i blog dei protagonisti, e le vicende sarebbero state ambientate nello stesso tempo soggettivo del lettore: nel numero che esce a gennaio si doveva raccontare cosa avevano fatto i protagonisti per Natale, e così via. Ora la casa editrice, la Star Comics, ha trasformato la periodicità delle uscite in bimestrale (una scelta che spero non preluda a una crisi della serie) e di trasmedialità sul sito non ne trovo, ma dopotutto sono cose secondarie. E rimane, comunque, l’interesse di un percorso che è veramente collettivo: sia perché a ogni numero cambia il disegnatore, sia perché l’interprete di ogni numero dialoga, in un certo senso, con gli autori “stabili” delle copertine (un bravissimo Andrea Meloni) e dei frontespizi.
Che è Davvero?
Come dicono quelli che ne sanno, Davvero è costruito sul modello degli shōjo manga, cioè dei fumetti giapponesi destinati al pubblico femminile: storie con una prevalenza di temi sentimentali, o comunque quotidiani, e con una scarsa dimensione avventurosa – o meglio, più avventure dell’anima e delle relazioni che dei corpi. Non dubito che la Barbato possa avere in mente quel tipo di modello, ma a me che ho una certa età Davvero ricorda anche certi vecchi fumetti argentini, per esempio Helena del duo Wood-Garcia Seijas, un paragone su cui tornerò più avanti (e in ogni caso il fumetto italiano ha già avuto l’esempio di Valentina “Mela Verde”, anche se certo qui siamo lontanissimi).
In ogni caso, la storia di Davvero è abbastanza semplice: Martina ha diciannove anni ed è una deficiente. O, considerando le cose da un altro punto di vista, un’adolescente perfettamente normale: una ragazzina borghese un po’ viziata e molto controllata dai genitori. Solo che i genitori (il padre in particolare) a un certo punto si stufano del disastro che loro stessi hanno creato e hanno un colpo di genio: o mangi la minestra o salti la finestra, solo che qui l’uscita dalla finestra comporta di essere messa alla porta di casa in maniera permanente con ventimila euro per imparare a cavarsela da sola. Loro credono che sia una provocazione, il problema è che Martina accetta, e sparisce. Con ventimila euro. Senza, presumibilmente, avere mai passato un giorno fuori casa prima di allora.
Il fumetto seguirà le peripezie di Martina in questo suo strano viaggio fuori di casa in un paese alieno che, guarda caso, è l’Italia. Proprio l’Italia-Italia, esattamente riconoscibile, anche se per il momento il fumetto si è tenuto molto alla larga dalla politica – e forse anche da notazioni sociali esplicite – perché il focus della storia sono le relazioni, e i microcosmi che si costituiscono attorno a Martina: colleghe, amici, coinquilini.
Esattamente quale modo di raccontare?
Paola Barbato sceglie di raccontare la storia dal punto di vista della stessa Martina, senza però il racconto in prima persona. O meglio, sulla pagina ci sono due flussi narrativi: uno affidato alle vignette, che esprimono un punto di vista da “narratore onnisciente”, e uno affidato alle didascalie che, senza arrivare al flusso di coscienza di Martina, ne commenta ed esplicita gli stati d’animo. Da un certo punto di vista è una specie di trattamento alla Tarantino: un continuo chiacchiericcio privo di senso degli altri protagonisti e le loro azioni quotidiane sono il tessuto su cui si ricamano gli alti e bassi di umore di Martina (per il momento: più bassi che alti). Da un punto di vista fumettistico è una roba antimoderna da non credersi: sembra di essere tornati al Prince Valiant, in cui c’erano le vignette con le azioni e sotto le didascalie che spiegavano quel che si vedeva nella vignetta; qui in fondo la situazione è la stessa, se Hal Foster si fosse ubriacato, avesse disposto didascalie e vignette in maniera disordinata sulla tavola e avesse deciso di utilizzare le didascalie per suggerire i pensieri e gli stati d’animo dei personaggi, che sono, ovviamente, “invisibili” nella vignetta.
Tra parentesi: come stile di racconto a me sembra molto occidentale, o almeno distante da quegli shōjo che conosco.
Tutto a tinte forti
Davvero è un fumetto che spinge parecchio sul patetico, sui contrasti a forti tinte dei caratteri e dei sentimenti. Anche il disegno, in cui si sfrutta spesso e volentieri il chiaroscuro, contribuisce a questa dimensione radicale, creando una drammaticità che spesso va oltre ciò che esattamente si vede sulla pagina. Un po’ questo è un problema: qualche volta le vicende di Martina e degli altri personaggi non hanno oggettivamente l’impatto che disegno e didascalie sembrano suggerire. Facciamo un esempio? Nell’ultimo numero si annuncia nell’introduzione che sarà trattato il tema della violenza (il titolo della puntata è: Scherzare col fuoco). «A posto», ho pensato, «Martina la violentano». Spero di non fare spoiler se rivelo che questo non succede. E allora? Va bene che ci sono tanti tipi di violenza, va bene tutto, ma alla fine della puntata si rimane un pochino perplessi: per il fatto “violento” accaduto, per la reazione sopra le righe di Martina, per il modo enfatico (inutilmente enfatico?) in cui tutto è descritto. Funziona finché si legge, si va avanti, ci si continua a muovere: ma se ci si ferma, se ci si desse come metodo quello di rileggere ogni volta la pagina prima di procedere, si penserebbe, giustamente, che i personaggi sono tutti isterici, o che Barbato gli fa iniezioni di Prozac prima di mandarli in scena.
Il problema non è il patetico: Wood è stato pateticissimo con Helena, poi con Amanda, e la cosa funziona. Anzi Wood è molto più retorico e magniloquente di Barbato. Il problema è più nel fatto che Martina è, sinora, un personaggio centrale debole, il che costringe la sceneggiatura a una serie di acrobazie non da poco, e qualche volta a delle forzature, per farci capire ciò che lei vive ma che, se non ci fossero le benedette didascalie, non capiremmo mai.
Un bel cast di comprimari che vuoi ritrovare
La debolezza di Martina è accentuata, mi pare, dal fatto che tutti gli altri personaggi sono interessanti, ben delineati (anche se talvolta solo abbozzati) e ricordano ciascuno irresistibilmente persone che davvero conosciamo: palesemente quando parla di gggiovani la Barbato ha ben presenti i suoi polli.
Parentesi: Davvero è un fumetto straconsigliato, per questo motivo, a educatori, genitori, insegnanti e altra gente che per un motivo o per l’altro ha a che fare con gli adolescenti e i giovani, e si presta anche a letture collettive (ecco, io non mi spingerei proprio proprio fino al dibattito, magari). Fine parentesi.
Credo che stia qui la spiegazione della osservazione che ho letto da poco sul blog di Leo Ortolani (l’autore di Ratman), a proposito di Davvero (tutto l’articolo è molto divertente):
Ma una volta, ero a letto con Caterina, stavo leggendo fumetti.
Eh, sì, un grande latin lover.
Stavo leggendo fumetti, dicevo, e mi sono girato verso di lei mostrandole due albi: “Sai qual è la differenza tra questo fumetto e quest’altro? Che questo fumetto (e le mostro il primo) è lungo 98 pagine e non vedi l’ora che finisca. E questo fumetto (le mostro il secondo) è lungo 24 pagine e non vedi l’ora che continui”.
Ha ragione: Davvero è un fumetto di 96 pagine che vuoi continuare a leggere dopo avere finito l’ultima puntata. Secondo me dipende un po’ dallo spunto iniziale (l’idea di quella che sparisce con ventimila euro è un gancio perfetto: provate a raccontarlo così a vostra madre se non ci credete), molto dal gruppo dei comprimari e moltissimo dal tono di realismo perfetto che la Barbato mette nella sceneggiatura: la capacità di dare l’impressione di stare raccontando la storia capitata alla famiglia dei nostri vicini di casa. Proprio loro.
Per il momento Davvero è in equilibrio instabile: fra questi meriti e… il Prozac. Ma è una bella scommessa, e voglio vedere come va a finire. Tra due mesi, mannaggia.