Costruttori di mondi benefici
Charities anglosassoni un po’ nerd
Oggi vorrei segnalarvi un articolo di Wired, dare una scossetta alle vostre convinzioni e discutere di fantascienza e fund raising.
Tutto in una volta.
Wow.
L’articolo
Cominciamo dalla parte più facile: l’articolo di Wired racconta come un certo numero di appassionati di fantasy e di fantascienza, illustri o meno, siano impegnati in attività benefiche. Non ho tempo di tradurlo ma è abbastanza breve e facile: dategli un’occhiata, lo merita.
Le sconvolgenti rivelazioni
En passant l’articolo rivela alcune cose: per esempio che negli USA ci sono organizzazioni nazionali di persone dedite al cosplay.
Questa notizia in sé non dovrebbe risultare particolarmente sorprendente per i visitatori abituali di questo blog. Più significativo, casomai, il fatto che queste organizzazioni sono estremamente settoriali: per dire, ce n’è una dedicata al Dr. Who e una dedicata a Firefly. Diverse. Addiritura gli appassionati di Star Wars ne hanno due: una per vestirsi da Stormtroopers imperiali e una per gli Jedi. Non sia mai che ci si debba cambiare negli stessi spogliatoi e scoprire cosa c’è realmente sotto quelle corazze di plastica bianca… Il focus dell’articolo di Wired però non è tanto questo, quanto il fatto che tutte queste associazioni hanno come punto centrale della loro attività la raccolta di fondi.
Anche qualcosa di più inquietante, a dir la verità.
Ma torniamo alla raccolta fondi. Non la classica raccolta di fondi occasionale locale per comprare l’ambulanza, ma una collaborazione strutturata con enti no profit anch’essi di dimensione nazionale. Per esempio Can’t stop the Serenity (che organizza proiezioni del film di Whedon a scopo benefico) ha raccolto più o meno 100.000 dollari all’anno per Equality Now, un’organizzazione che si occupa dei diritti delle donne.
Giustamente Wired si concentra su Patrick Rothfuss (incidentalmente, uno degli autori fantasy che attualmente mi interessano di più, e un tizio di rara simpatia): il quale non si occupa direttamente di beneficenza, ma ha fondato Worldbuilders, una organizzazione no profit che ha come unico obiettivo quello di raccogliere fondi per Heifer International, una ONG che si occupa di acquistare bestiame per le comunità rurali del Sud del mondo. Negli ultimi quattro anni Worldbuilders ha raccolto 1,7 milioni di dollari per Heifer. Come dice Wired, sono un sacco di capre.
Come hanno fatto Rothfuss e Worldbuilders a raccogliere tutti questi soldi? Chiedendo ad altri scrittori fantasy di regalare copie autografate dei loro libri da mettere in palio, per esempio. Organizzando partite di Dungeons & Dragons alle convenzioni in cui puoi trovarti a giocare con Rothfuss stesso o con Joe Abercrombie, e via di questo passo.
Ci sono anche cose più fini: puoi decidere il nome della prossima vittima del giallo di un autore famoso, per esempio. O ottenere il diritto di comparire tu stesso fra i comprimari di un libro di prossima uscita.
In generale, però, la regola è questa: ciò che viene messo in palio è basato sullo stesso elemento costitutivo della comunità degli appassionati del genere: i libri, i giochi, il cosplay, i gadget (qui a fianco ne vedete una serie).
E in Italia?
Leggendo l’articolo la prima riflessione che ho fatto è che questo dimostra quanto la comunità USA del genere fantascienza/fantasy (autori, giocatori, commentatori, organizzatori di eventi) sia molto più socialmente radicata e socialmente responsabile che da noi.
Mi sono chiesto: ma perché non ho mai visto niente del genere in giro? Forse l’asta-tosta di Modena era a scopo di beneficenza (non sono sicuro), ma in generale non mi pare che siano piste che in Italia sono mai state percorse.
Non è questione di numeri: il radicamento sociale di quelli là dipende prima di tutto dal fatto che si riconoscono come entità e che, pur con tutti i litigi che inevitabilmente ci saranno, sono comunque coesi, al contrario della situazione italiana.
Facciamo un esempio? Immaginate una raccolta di libri autografati qui da noi, analoga a quella di Rothfuss. La prima a donare una sua opera è Licia Troisi. Il blog dell’iniziativa ne dà notizia. Immediatamente è subissato di commenti ironici. Partono le polemiche. Ed è finita.
Secondo: una bella partita a D&D con un paio di celebrità. Mettiamo insieme un tavolo di autori, bloggers e recensori. Auguri.
La controprova è data dal confronto con una comunità affine alla nostra, quella dei fumettisti: dove non sono tutte rose e fiori (una polemica a caso), però sono a un altro livello (diciamo: ci si dà del tu con facilità, ci si riconosce): e infatti dopo il terremoto dell’Emilia si sono organizzati senza troppi problemi (due esempi? Uno e due).
Mettiamoci dal punto di vista dell’economia sociale
Però, ragionando anche dal punto di vista di chi fa Banca Etica e si occupa di economia sociale, ho l’impressione che la difficoltà a fare qui un tipo di fund raising come quello non stia solo fra noi appassionati di genere me anche fra noi attori dell’economia sociale.
Un po’ perché forse il mondo del no profit è magari un po’ serioso, un po’ legato a meccanismi culturali appesantiti (Telethon si ferma alla musica e alla televisione, mi pare, ho l’impressione che i nerd – coi loro videogame, libri, giochi, roba elettronica – siano fuori del suo orizzonte).
Un po’ perché lo strumento della raccolta fondi forse non è ancora del tutto maturo: le grandi organizzazioni hanno un merchandising generalista (magliette, matite, quaderni) in cui conta moltissimo il marchio di chi chiede il finanziamento e pochissimo l’utilità percepita legata all’oggetto che viene ceduto, o il senso di comunità e il legame identitario fra chi fa la donazione e chi la riceve.
Non è sempre così, naturalmente: un giorno vi racconterò della divertentissima asta fotografica di prima dell’ultimo Natale organizzata da Save the Children di Cagliari; però è spesso così.
Ed è strano, perché ampliando un pochino l’orizzonte l’esempio di Rothfuss mi sembra percorrible in altri ambiti. Per esempio, sono socio del Teatro Valle, che ha una strategia di raccolta fondi basata su richieste agli spettatori che ci vanno per i vari spettacoli (io son diventato socio così). Eppure si potrebbe chiedere a tanti attori, anche famosi, di donare periodicamente un copione autografato, un cimelio di scena, registrare un video di dieci secondi in cui ringraziare pubblicamente un donatore…
Oppure Liberos, che ha giustamente esultato per aver vinto 100.000 euro in palio per un progetto culturale innovativo (tra l’altro, ha sconfitto il Teatro Valle e io ero molto combattuto): cosa non potrebbe fare la comunità degli scrittori in termini di sostegno? Un obiettivo come 100.000 euro sembra eccessivo, ma se anche fossero molti meno… sarebbero sempre guadagnati.
Per quanto riguarda l’Asta Tosta non era un mercato di beneficienza, ma piuttosto un mercato dell’usato. In italia stando al sito anche la 501a fa attività di beneficienza http://www.501italica.com/collaborazioni/
Ciao Ataru, mi ricordavo che fosse un mercato dell’usato, ma avevo il dubbio che i proventi non tornassero ai proprietari ma andassero da qualche altra parte (anche al TreEmme per autofinanziamento, magari). Comunque anche su Facebook mi hanno fatto notare l’errore.
Sulla 501 non immaginavo che ci fosse un chapter italiano: però non mi pare che questo infici il mio discorso, almeno penso.
Pingback: Quella mano sulla culla
Pingback: Io amo quest’uomo
Pingback: Una bella storia d’inverno (con Patrick Rothfuss e Neil Gaiman)