Tarzan e le scimmie a “Oggi parliamo di libri”
La ventiquattresima puntata di Oggi parliamo di libri era dedicata a Tarzan (volevo anche parlare un po’ dei “tarzanidi”, cioè di tutti gli epigoni a vario titolo presentati al cinema e nei fumetti, ma come al solito mi è passato il tempo).
Sto rileggendo in questo periodo tutta la saga di Tarzan e devo dire che il giudizio dato nella puntata risale proprio a questa fase recente di letture: sia per la descrizione progressivamente meno credibile dell’Africa, che si avvicina man mano a un caravanserraglio e poi un guazzabuglio di ambienti e situazioni – in trasmissione ho citato l’Isola-che-non-c’è di Peter Pan, che si presta, ma un altro riferimento che viene alla mente è il Phantom di Lee Falk – sia soprattutto per l’estrema rozzezza del trattamento della storia, che poggia su coincidenze e meccanismi narrativi poco credibili: così poco credibili che Burroughs candidamente lo ammette lui stesso e ne fa un punto di forza della narrazione (pensate, lettori, che coincidenza! che meraviglie fa il destino!, già, il destino, proprio).
Non l’ho detto in trasmissione ma parte importante del modo con cui lavora Burroughs è quello di muoversi con grande attenzione dentro gli schemi culturali del pubblico popolare delle rivistine pulp: certe idee sull’uomo bianco e il nero, sui rapporti fra uomini e donne, l’ignoranza del suo pubblico sullo stile di vita delle classi privilegiate o sugli europei aiutano lo scrittore a farla franca in molte situazioni in cui un pubblico più smaliziato lo avrebbe messo nell’angolo (sospetto, anche, che questo pubblico più smaliziato comunque leggesse il pulp e gli perdonasse parecchie cose in cambio di un po’ di emozioni forti e di sensualità a buon mercato: me li immagino anziani colonnelli soffusi di rossore metre cercano di immaginarsi Meriem, la nuora di Tarzan, che si lancia completamente nuda da albero ad albero).
Dopo la puntata ho scoperto con stupore un giudizio piuttosto tagliente di Kipling su Burroughs (uno non pensa mai che questi grandi scrittori leggessero la stessa cattiva letteratura che lo hanno accompagnato da adolescente): «Burroughs ha scritto Tarzan per vedere fin dove poteva farla franca nello scrivere un brutto libro». Ecco: farla franca, appunto.
Perché d’altra parte non si può negare il fascino della narrazione, l’abilità di Burroughs nell’evidenziare i punti di forza della sua storia e del suo personaggio e confondere serenamente le acque rispetto alle sue debolezze, e Tarzan rimane una figura a tutto tondo molto influente nella letteratura avventurosa e continuamente ripresa in varie forme, staus al quale per esempio il molto più complesso Mowgli di Kipling, purtroppo confinato alla letteratura per ragazzi, non è riuscito ad accedere: non è un caso che anche Baden-Powell e gli scout abbiano saccheggiato da Il libro della jungla praticamente tutto… tranne Mowgli.
Percorsi di lettura
Proprio per questa capacità di Tarzan di fare da punto di riferimento avrei dovuto dedicare una intera puntata ulteriore ai libri che ci hannoa che fare, anche per contrasto, e che si possono consigliare a chi abbia lo abbia letto e voglia proseguire il percorso. In trasmissione ho controbilanciato il fatto di avere dedicato l’intera puntata a uno scrittore un po’ buzzurro citando un classico indiscutibile, cioè il Robinson Crusoe, ma dal punto di vista dell’uomo costretto a “farsi” dentro la natura il riferimento più preciso e il confornto più diretto è certamente quello col citato Libro della giungla di Kipling (a cui purtroppo non posso dedicare una puntata, ma che certamente merita una rilettura).
Un’altra pista, molto immediata, è quella di continuare a leggere le storie di Tarzan: dopotutto la serie conta ventiquatttro volumi. E finito Tarzan chi fosse ancora avido di storie pulp al loro massimo livello di rappresentatività può passare a John Carter di Marte, dello stesso Burroughs (oppure confrontare Tarzan con un altro grande bruto, il Conan di Howard – secondo me Conan ne esce vincente, ma ognuno può farsi il suo parere).
È però nel fumetto che si apprezza pienamente l’influenza di Tarzan. Non ho soltanto in mente le rese grafiche, molte davvero eccezionali, che sono state fatte del personaggio, e neppure la vastissima schiera dei tarzanidi tipo Akim. Ho già parlato di Phantom, ma quel che ho davvero in mente, in realtà, è Zagor: proprio perché il collegamento con l’eroe di Burroughs è chiaro ma contemporaneamente Bonelli si è dedicato a una interessante opera di reinterpretazione del mito, con uno spostamento nello spazio e nel tempo e una caratterizzazione individuale del personaggio – grazie a Dio, per esempio, in Zagor non ci sono animali che accompagnano l’eroe. In questi giorni è in edicola un numero speciale di Zagor in grande formato, La storia di Betty Wilding, e può essere una buona prima occasione per avvicinarsi al personaggio.
In trasmissione ho già detto che ho voluto parlare di Tarzan non solo per l’interesse intrinseco del personaggio e la sua importanza, ma anche perché rappresenta uno dei primi esempi di ciò che si può trovare nel laboratorio di un artigiano dell’avventura che abbia raccolto tutti i vari materiali, più o meno sviluppati, consegnatigli dai grandi narratori dell’Ottocento e li ricombini in maniera seriale per offrire al suo pubblico prodotti più o meno coerenti: un discorso che spero di riprendere fra un paio di puntate, quando parlerò di Corto Maltese.
Mi congedo da Tarzan col brano che abbiamo usato in trasmissione come pausa musicale – probabilmente incongruo, ma qualche volta ci vuole; non è farina del mio sacco, ma non ricordo chi me l’abbia suggerito, quindi con mia vergogna non so chi ringraziare.