La Cagliari Unofficial Guide
È successo un po’ gradatamente e non tutti ce ne siamo accorti, ma Cagliari è diventata una città turistica. Che sia l’effetto di tutta quella gente che mentre se ne stava a Villasimius o Nora intanto se ne veniva a fare la spesa o passare una giornata in città (sentita da me a a San Benedetto: il pescatore taglia il tonno alla signora torinese e gli dice: «Glielo preparo per il sushi, signora?»… il sushi a San Benedetto!) e così ha imparato a conoscere Cagliari, o che sia a causa delle navi da crociera o di Ryan Air o per il passaparola degli studenti Erasmus o forse una combinazione di tutto, ma Cagliari di questi tempi è piena di visitatori, e non solo perché i cagliaritani, si sa, si vestono come turisti.
Certo, “città turistica” è una parola grossa, nel senso che comporterebbe, oltre che portare i turisti in loco, anche configurare la città attorno a loro, cosa che i cagliaritani, per molti aspetti, non vogliono assolutamente fare.
Leggo la Cagliari Unofficial Guide, appena uscita, come un tentativo intelligente di conciliare le due cose, cioè di offrire al turista un punto di vista e una “mappa” per orientarsi in città e fare, più meno, la stessa vita dei cagliaritani, visitando il luogo in maniera meno invasiva ma godendone lo stesso le peculiarità.
Il progetto in realtà va oltre la guida cartacea (che è in distribuzione gratuita in vari locali della città, io l’ho trovata all’ostello della gioventù alla Marina) e comprende un sito (mi pare di capire che sia solo in inglese), una pagina Facebook e parecchie incursioni multimediali fra Instagram e YouTube, per esempio il videoclip qui sotto, utilizzato per il lancio della guida
e che rivela un occhio acuto, da un punto di vista artistico, sulla città: la chiesa di Sant’Anna non l’avevo mai vista ritratta così. Siamo in linea con il fatto che la maggior parte o tutti i protagonisti della redazione sono anche lolloviani, ché l’occhio artistico da quelle parti è una costante.
Ma, andando al sodo, com’è la Cagliari Unofficial Guide? A prima vista mi verrebbe da rispondere: «Molto gggiovane», ma la cosa richiede qualche specificazione.
Arricchita da molte belle foto di Cagliari, qualcuna più convenzionale e altre inaspettate, e con una grafica molto curata, la guida è divisa grosso modo in quattro sezioni. Una presentazione dei quartieri storici di Cagliari e del borgo di Sant’Elia. Una collezione di posti da visitare; qui volontariamente si lasciano alle guide ufficiali i luoghi storici e artistici importanti e ci si concentra sui posti dove “stare”: ne esce un ritratto, secondo me corretto, di Cagliari come città di parchi e panorami e angoli da scoprire, il Bastione, Monte Claro, San Michele, Monte Urpinu, il Poetto, Terrapieno (e via San Saturnino), Calamosca e Sella del Diavolo, Giardini Pubblici – che uno a prima vista non direbbe che Cagliari è una città verde, eppure… (non dite a me: io lo sostengo da tempo che Cagliari è come la California, parchi e jogging sulla spiaggia, street food, terrazze sul mare e fenicotteri – forse quelli stanno a Miami, in realtà, ma ci capiamo).
Poi c’è una sezione sugli artisti di strada, cosa intelligente considerato che le altre forme di arte sono più facilmente coperte dalle guide ufficiali. Certo a me pare che l’hype sui graffittari sia un po’ esagerato, ai giorni nostri, e che dopotutto sono… graffittari, appunto, ma magari sono io: da poco li hanno anche esposti in mostre, quindi certo sono io che mi sbaglio, come no (che a uno a Radio X gli hanno chiesto: «Che effetto ti fa essere arrivato qui, all’ExMa?» e sembrava che stessero parlando del MoMA. Ma sono io, non preoccupatevi).
L’ultima sezione presente è quella dei negozi, locali e ristoranti consigliati, forniti di brevi descrizioni e segnali grafici per una migliore e più veloce comprensione. Su questa sezione sono un po’ combattuto: perché è chiaro che qualunque critica comporta un po’ il rischio di “fare il sardo”: come, c’è Stefino e non c’è Aresu? Non è segnata la Pizzetta d’oro??!! Nonononono, impossibile, inaccettabile. Però alcune scelte – anche scontando il fatto che tutti non ci possono stare, con un paio di pagine a disposizione – sembrano un po’ strane: per esempio sul cibo non c’è nemmeno una trattoria di pesce (ce ne sarà qualcuna che non comporta conti astronomici, bolsi rituali e schitarrate varie) e invece c’è Valburger. Cioè con tutto il rispetto: tanto vale McDonald’s, e a quel punto il turista oltretutto se lo trova da solo.
Su questa linea la cosa che mi ha colpito di più è che ci sono ben due caddozzoni, e tutta una storia insistita sui panini con dentro la carne di cavallo. Sulla qual cosa ho un’obiezione politico-culturale e una più spiccia.
L’obiezione politico-culturale è che questa storia del panino con la carne di cavallo – del quale io mi nutro rigorosamente a una stazione di servizio specializzata poco fuori Sassari e in un postaccio equivalente sulla 125, quando ci passo – è presentata, sotto sotto, come una specialità. O meglio: come una cosa molto caratteristica. C’è un po’ la stessa malcelata volontà di épater la bourgeoisie che c’è nei racconti di falso folklore del maialetto cucinato sotto terra o di qualche altro mito sardo posticcio: cose dalle quali la guida si tiene giustamente ben alla larga, salvo poi correre il rischio di riproporre le stesse dinamiche sotto altre forme, magari più urbane e meno rurali ma equivalenti.
L’obiezione spiccia invece è che, diciamolo, ai caddozzoni si mangia male, in condizioni igieniche deficitarie e con materiali sostanzialmente di bassa qualità, e io i miei amici a mangiare ai caddozzoni non ce li porterei mai. Siccome il tono confidenziale della Cagliari Unofficial Guide è affine a quello dei consigli da dare agli amici che vengono a Cagliari, io francamente i caddozzoni non ce li avrei mai messi. A meno che uno non abbia vent’anni, perché a quell’età si digeriscono anche i sassi.
E infatti in realtà questo sembra un po’ il limite dell’operazione, peraltro complessivamente molto buona, della guida: che è scritta da giovani i quali, anche se vogliono rivolgersi a un pubblico generale, in realtà hanno in mente più o meno i loro coetanei; non hanno figli e quindi non hanno pensato a mettere niente che possa interessare chi si muove a Cagliari coi bambini, hanno in testa dei dopocena in locali o discoteche, doverosamente dettagliati, in cui si raduni abbastanza gente per giocare la danza più antica che c’è, ma non pensano granché a chi i suoi balli li gestisce diversamente (la scena teatrale cagliaritana forse è un po’ decaduta, ma in tutta la guida non c’è nemmeno un riferimento a un teatro o a un cinema), abbondano in indicazioni di cibo cheap ma trascurano il consumo di qualità o le cose da portar via (c’è un Sapori di Sardegna ma non c’è Durke, per dire) e hanno un gusto nel vestire o nei consumi orientato in un certo modo: fra i negozi segnalati non c’è La Rinascente, dentro alla quale immagino che i redattori della guida non vorrebbero mai essere visti dagli amici, pena la vergogna perenne – ma per l’inglese o il tedesco medio quel grande magazzino è il paese di Bengodi.
Non sono critiche, ragazzi, o meglio è una critica costruttiva: ci sarà tempo sul sito per recuperare, immagino, però leggendo la guida un po’ si nota. Un po’ molto.
Questa specie di strabismo porta, forse involontariamente, la Cagliari Unofficial Guide a dire una parola interessante nel dibattito sottotraccia sullo sviluppo urbanistico di Cagliari. Perché leggendo la guida emerge un dualismo fra i luoghi indicati per la vita sociale e notturna, che sono grosso modo nel triangolo Piazza Yenne – piazzetta San Sepolcro – bastioni, e i luoghi da vedere (quelli della seconda sezione) che sono tutti periferici rispetto al centro città così individuato. E oltre questa seconda cerchia la città, semplicemente, sembra non esistere. È interessante, non ci avevo mai pensato, e sembra una variazione in atto rispetto a un modello di città policentrico che si era affermato fino a una mezza dozzina di anni fa: la guida descrive invece un centro chiaro (il triangolo), circondato da un altro cerchio addetto più o meno al tempo libero (il resto dei quartieri storici): più fuori le zone residenziali, con alcuni polmoni verdi disseminati in mezzo. E poi l’hinterland. È chiaro che non può essere una guida turistica a discettare di urbanistica, però la segnalazione è forte e precisa, e mi sembra una cosa su cui riflettere.
Aggiorno: solo la Home del sito è in inglese, il resto bilingue come la guida.
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