Il marketing sociale insegnato dai tifosi del Cagliari
Qualche anno fa, in occasione dell’assunzione di Carlo Usai come banchiere ambulante per la Sardegna, il gruppo dei soci di Banca Etica organizzò un’assemblea col Direttore della banca, Mario Crosta.
L’assemblea si teneva nel salone della parrocchia di Sant’Eulalia, alla Marina, di fronte alla sede degli Sconvolts. Alla fine dell’assemblea, mentre io e Carlo andavamo a recuperare le auto, Mario ebbe l’idea di avvicinarsi alla porta della sede: dopotutto chi ha passato l’infanzia al tempo di Gigi Riva ha motivo di avere simpatia per il Cagliari e pensava a un innocuo circolo di tifosi di quartiere.
Sulla porta c’era un barabba tatuato. Mia moglie, che accompagnava Mario, chiese: «Si può entrare?».
«Tsk».
«Ma il signore è continentale ma è tifoso del Cagliari…».
«Tsk».
A quel punto dal fondo del circolo emerse un altro barabba tatuato, solo grosso il doppio del primo, che si dava schiaffoni al petto come Tarzan prima di sbranare la tigre a mani nude.
«Cosa c’è?» SCIAFF!!
«Cosa c’è?» SCIAFF!!
«Cosa c’è?» SCIAFF!!
«E vaffanculo!!».
A questo punto già grattava il pavimento col piede come un toro di Pamplona pronto alla carica, e solo il provvido ritorno di Carlo Usai che caricò tutti al volo in macchina evitò che finisse in rissa.
Mario aveva notato la sede degli Sconvolts perché era tutta dipinta. Fuori, sulla strada, non dentro. Per diverse decine di metri a destra e sinistra, come documenta ancora un video su YouTube:
La sede venne chiusa nel 2009. Il giorno della partita col Catania una ventina di Sconvolts ne uscì per calare in via Roma. Lì trovarono un gruppo di studenti messinesi in gita scolastica e, come vere volpi, riconobbero l’accento siciliano e, facendo due più due, decisero che erano sostenitori dell’odiata squadra avversaria.
Così li caricarono di botte, che quelli non c’entravano niente, poveretti.
Non che se avessero caricato di botte dei catanesi la cosa sarebbe stata meglio, eh, ma almeno avrebbe avuto un senso.
A quel punto la città disse basta. Il Prefetto chiuse la sede, la Questura stilò un rapporto durissimo e, in un insolito sfoggio di tolleranza zero, il Comune fece ridipingere la via del Collegio cancellando ogni traccia visibile dell’esistenza del gruppo.
Da allora l’immagine del Cagliari si è forse un po’ appannata, con le storie dello stadio e le vicende giudiziarie, e anche degli Sconvolts si è parlato meno, se non forse per qualche manifestazione di solidarietà sotto Buoncammino.
Adesso, però, il colpo di scena. E di genio.
Perché la presenza visibile, grafica, degli Sconvolts in città si è trasferita sulle edicole. Che vengono progressivamente ridipinte, in accordo con gli edicolanti, con i colori rossoblu e una serie di slogan e simboli identici a quelli che caratterizzavano via del Collegio.
In apparenza è una situazione in cui vincono tutti: gli edicolanti ottengono gratis un chiosco attraente e su cui nessuno scriverà più «Chiara ti voglio tutta nuda», la città guadagna in arredo urbano e in dimensione identitaria – perché al Cagliari ci teniamo tutti e le nuove edicole sono obiettivamente piacevoli – e gli Sconvolts fanno uscire la loro immagine dal ghetto e la ripropongono – impongono? – alla città in una nuova veste, tale da suscitare simpatia e nuova identificazione fra popolazione e tifoseria. Poco importa che a suo tempo secondo la Questura un elemento caratteristico fosse «la tendenza del gruppo a marcare il territorio»: la cosa (che potrebbe essere preoccupante) passa in secondo piano.
Non male, direi. Anzi, un’operazione di marketing sociale da manuale.
Adesso resta solo da non menare più nessuno, ecco. Altrimenti mi chiedo cosa faranno gli edicolanti: per dissociarsi si faranno dipingere i supereroi, come a Sassari?