Lo Yin, lo Yang e… la fainé
Sono stato giovedì alla presentazione, presso la libreria Odradek di Sassari, del libro Davide e Golia. La primavera delle economie diverse (Jaca Boook 2013), uno studio a più voci su una serie di esperienze economiche di tipo alternativo (anche se ai curatori dello studio questa parola non piace), metà situate in Sardegna (Domus Amigas, Aghe, Pira Camusina e il DES di Nuoro) e metà in Veneto, a Verona e Padova.
È stata una serata molto intensa, grazie anche alle provocazioni iniziali di Enrico Lobina, (bravo) consigliere comunale cagliaritano in momentanea trasferta sassarese, e grazie anche alle riflessioni offerte da tre delle autrici, fra cui Antonia De Vita e Lucia Bertell, che avevo conosciuto ad Aghe diversi anni fa e che ai tempi ricordo di avere (tanto per cambiare) irritato oltremisura con una domanda impertinente durante un dibattito.
Ho comprato il libro e mi riservo di scriverne una recensione estesa appena l’avrò finito, ma anche questa volta bonariamente c’è scappata qualche scintilla. Alla fine il pubblico, non numerosissimo, era quasi tutto di addetti ai lavori, cioè di gente che l’economia alternativa, o solidale, o sostenibile, o quello che è, la fa in prima persona, e in qualche modo tutti ci siamo ritrovati in una visione da “fine del mondo”: si percepisce che le esperienze “storiche” – la cooperazione sociale oppure i bilanci di giustizia, le associazioni di promozione sociale oppure l’agricoltura biologica – sono giunti alla fine di un ciclo proprio mentre la crisi sfida maggiormente a trovare alternative compiute al sistema capitalistico dominante; è una posizione che raramente ho trovato data per assodata in maniera così serena da parte di persone provenienti da realtà anche molto diverse.
Rispetto a questo devo dire che non ho trovato molto convincente l’idea detta dalle autrici, e che forse è anche del libro, che il prossimo passaggio, la via che segna il futuro è rappresentato dai gruppi di acquisto solidale e in generale dalla galassia che si riconosce nel temine transizione: mi pare che il libro rappresenti appunto la visione e la voce di questo tipo di sensibilità, ma l’ho trovato troppo attenta a definire le differenze, a marcare le distanze, a rivendicare pagelle di alternatività, ritenendo tutto il resto (cooperazione eccetera) in fondo subalterno – o forse colluso – al sistema dominante. È una posizione che mi sembra singolarmente povera e sorprendente per persone di solito attente a una visione olistica della realtà: piuttosto che ragionare in bianco o nero, noi qui voi là, questi buoni gli altri cattivi, mi aspetterei una lettura più in stile yin e yang, che rileva in tutto questo nostro multiforme mondo – che oltre che le cose buone è anche pieno di difetti e talvolta di personaggi deprecabili – l’alternarsi di vuoti e di pieni, il compenetrarsi di forze e debolezze.
Ma aspetto il libro per decidere meglio. Nel frattempo, come mi capita ultimamente quando vado a Sassari per questioni di Banca Etica e alla fine sono un po’ depresso, sono andato a mangiare la fainé. Di solito, come in questa occasione, andiamo dal cosiddetto “genovese”, cioè da Sassu, luogo di delizie che vi invito caldamente a frequentare. Eravamo sei: abbiamo preso fainé di quattro tipi diversi, siamo stati benissimo insieme e accuratamente, sebbene ne avessimo gran voglia, abbiamo evitato di riparlare dei temi del dibattito: anche questo è yin e yang, credo, e una via più sicura per la giustizia sociale di molti altri tipi di transizione.