Nel deserto o con Aggeo? Sassolini nelle scarpe
Ieri sotto la doccia improvvisamente ho pensato al deserto.
Non a un deserto specifico – del resto non ne ho mai visitato nessuno – ma al deserto come concetto. Biblico.
Era il 2001 e nell’Azione Cattolica ero in disgrazia, tanto per cambiare. La forma specifica della disgrazia era del tipo “maneggiare con cura” – una forma lieve rispetto ad altre successive – e quindi, anche se con qualche preoccupazione, mi affidarono il coordinamento della commissione che doveva preparare il documento assembleare per il triennio successivo: la base per il lavoro associativo dal 2002 al 2005.
Ero un po’ stufo di un certo stile omiletico che si era usato in precedenza nei documenti associativi – stile in cui peraltro avevo versato personalmente fiumi d’inchiostro – e quindi proposi e feci passare l’idea di un documento piuttosto essenziale, per tesi puntuali: facciamo questo, ci poniamo questo obiettivo, cose così, dette in non più di tre righe ciascuna.
Ma la proposta a cui tenevo di più era quella di mettere una premessa legata al deserto.
Il viaggio nel deserto è l’esperienza fondativa del popolo d’Israele e pervade di sé la Bibbia: è nel deserto che una accozzaglia di straccioni diventa un popolo, si dà regole di convivenza, capi e sacerdoti e impara a ragionare come un ente collettivo. Più e più volte nel prosieguo della Bibbia è nel deserto – luogo arido, inospitale, che mette per forza davanti a se stessi – che Dio si rivela al suo popolo. È nel deserto che si va per trovare Dio.
Successivamente per i cristiani il deserto diviene metafora della morte e resurrezione di Gesù: il deserto è come il battesimo, immersione totale in una dimensione altra da cui si riemerge purificati, e il battesimo è figura della resurrezione. Nella spiritualità cristiana sono stati tanti coloro che hanno ripercorso l’itinerario di scoperta di Dio vissuto dall’antico Israele nel deserto, per ultimi personaggi che hanno molto influenzato la spiritualità della mia generazione, come Carlo Carretto o Raul Follereau.
La mia idea era abbastanza semplice: la crisi dell’Azione Cattolica diocesana era abbastanza evidente, si annunciava un periodo di vacche magre senza precedenti. Un viaggio nel deserto avremmo dovuto farlo per forza, e quindi tanto valeva affrontarlo in una prospettiva di fede corretta, lasciando che le inevitabili privazioni ci insegnassero come rigenerare l’associazione, invece di subirle come un castigo incomprensibile della storia.
Non andò proprio bene. Il materiale uscito dalla commissione preparatoria fu puntualmente stravolto: le tesi brevi furono rese un po’ meno brevi, un po’ più declamatorie – si vede che qualcuno non poteva vivere senza omelie – e l’idea di tesi puntuali e verificabili scomparve.
L’altro stravolgimento riguardò il brano biblico di riferimento: non ricordo cosa avessi proposto, ma doveva essere qualcosa sul genere del profeta Osea, che se ne andò nel deserto a fare la pace con la moglie:
Perciò, ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
Le renderò le sue vigne
e trasformerò la valle di Acòr
in porta di speranza.
Là canterà
come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì dal paese d’Egitto.
E avverrà in quel giorno
– oracolo del Signore –
mi chiamerai: Marito mio,
e non mi chiamerai più: Mio padrone.
Disse l’assistente diocesano: «Nooooo, ci sono brani molto più bellini». E tirò fuori il profeta Aggeo.
Ora, il libro di Aggeo è un testo brevissimo in cui un sacerdote si lamenta perché il popolo non è abbastanza sollecito nel ricostruire il tempio di Gerusalemme, al tempo del ritorno dalla cattività babilonese, e fra minacce e blandizie lo spinge al lavoro.
Così parla il Signore degli eserciti: Questo popolo dice: «Non è ancora venuto il tempo di ricostruire la casa del Signore!». Allora questa parola del Signore fu rivelata per mezzo del profeta Aggeo: «Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre questa casa è ancora in rovina? Ora, così dice il Signore degli eserciti: riflettete bene al vostro comportamento.
Ai tempi mi dispiacqui parecchio: e insomma mi pesava che un’associazione laicale come l’AC preferisse identificarsi, invece che nella storia di due amanti, nel clero che riscuote la decima – lo so che il tempio di Gerusalemme in quel contesto può essere preso a rappresentare l’edificazione del Regno di Dio, ma allora meglio Francesco, che va e ripara la casa di Dio, di un testo in cui Aggeo dice:
L’argento è mio e mio è l’oro, dice il Signore degli eserciti
che magari ci vuole un po’ per spiegarlo ai fedeli, insomma. Che poi, anche Aggeo è parola di Dio, e illumina la vita del credente. Solo che non era utile per illuminare quella vita e quel momento della vita dell’AC. Sostituiva a una prospettiva in cui tutti insieme ci assumiamo una situazione di fragilità e vediamo di sortirne insieme, cresciuti e migliorati, con una visione in cui per uscire dalle difficoltà basta dare ordini al popolo. Una visione ecclesiale comunitaria contrapposta a una visione gerarchica.
Per non parlare del fatto nei dieci anni successivi il viaggio nel deserto ce lo siamo dovuti fare lo stesso. Però senza bagagli, perché non ci eravamo preparati. Forse era meglio lasciar perdere Aggeo, quella volta. Forse: sarà per questo che sono ancora in disgrazia.
Minzi Roby… dove te la fai la doccia?
Il viaggio nel deserto ce lo siamo dovuti fare? E quando siamo tornati? 🙁
No, come associazione non ne siamo tornati. Le ossa dell’AC biancheggiano nel deserto, in attesa che passi Ezechiele (37, 11-14, ma dovresti leggerlo con Nm 14,33-35, perché per le nostre infedeltà fummo condotti nel deserto a morire):
Poi magari qualcuno individualmente nel deserto è sopravvissuto, e vi ha pure gustato il miele selvatico 😉
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