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Io e la Gerusalemme liberata

Gesrusalemme liberataSto leggendo la Gerusalemme liberata e (sorprendentemente?) mi sta piacendo moltissimo: l’ho iniziata in modo del tutto casuale in un momento di noia in cui cercavo qualcosa, qualsiasi cosa, che fosse disponibile sul palmare e ho scoperto che il programma di lettura ne aveva una copia in libera circolazione. Dopo i primi versi mi sono trovato del tutto preso all’amo – appena finisco inizio l’Orlando Furioso!

Trattandosi di un testo così famoso non mi metto certo a farne la recensione; appunto però tre note di lettura che mi sono venute in mente in questi giorni.

Ottonari cyberpunk

Non sto facendo per nulla fatica. Il ricordo scolastico che avevo di questo tipo di poesia era indissolubilmente legato a una sensazione di fatica, causata da un linguaggio “diverso” che si doveva continuamente decifrare. La lettura era così divisa in fasi (lettura – faticosa ricostruzione del significato – comprensione), era lenta e macchinosa e alla fine del tutto insoddisfacente.

Adesso non è per niente così e sono convinto che è proprio la sensazione di leggerezza che ho provato nei primi versi che mi ha colpito piacevolmente e mi ha spinto a continuare. Dato che non credo che il mio lessico o la mia conoscenza dell’italiano rinascimentale sia aumentata nel frattempo, mi chiedo da cosa dipenda.

In parte, probabilmente, è perché il bellissimo seminario sulle filastrocche con il compianto Gabriele Ferrari mi ha insegnato ad apprezzare la metrica e aiutando il gusto della lettura l’ha resa meno ostica, ma questa è una spiegazione alla fine marginale.

Credo piuttosto che dipenda dal fatto che da allora mi sono abituato a leggere in altre lingue diverse dall’italiano e, per forza di cose, a lasciare che la comprensione di alcune espressioni sia affidata semplicemente al contesto. È un po’ come quando leggi un libro di fantasy o di fantascienza ricco di espressioni esoteriche: se sei furbo le prendi come sono e aspetti di capire più avanti. È un trucco che ho imparato quando mi sono appassionato al cyberpunk, perché ci trovi cose come questa, all’inizio di Conte Zero

Bobby pianta una wilsonata

Era una cosa tanto facile, la morte. Adesso lo sapeva. Succedeva e basta. Un errore infinitesimale, ed eccola lì, gelida e inodore, che si alzava dai quattro stupidi angoli della stanza, il soggiorno di sua madre a Barrytown.

Merda, pensò. Due-al-giorno si piscerà addosso dal ridere. La prima volta che esco, e vado a piantare una wilsonata.

Che uno si chiede cosa sarà mai una wilsonata. Solo che non devi chiedertelo. Una wilsonata è una wilsonata. E non è una bella cosa. Se pianti una wilsonata muori. Quindi la wilsonata è male. È brutta. Non ti serve sapere altro. E dov’è Barrytown? Non lo vuoi davvero sapere. È un posto dove le madri tengono i loro soggiorni, posti incongrui dove mor… piantare una wilsonata.

Per l’italiano di Tasso è lo stesso. Confesserò che solo al quinto canto ho capito improvvisamente che fero/fer vuol dire “fiero”. Sino a quel momento ogni volta che trovavo “fero guerrier”, “cavaliero fero”, “fer circasso” l’avevo catalogato come qualcosa di bestiale, ferino, oppure indomabile, oppure duro come il ferro. Sbagliato, ovviamente, ma di fatto non c’è nessun problema. L’unico guaio sarebbe se dovessi fare la versione in prosa, ma la scuola grazie a Dio è finita e una volta liberato dal senso di colpa posso anche stabilire per il mio piacere di lettura che Argante è fero come un lupo e capire che nessuno mi arresterà per questo. Una volta fatto questo passaggio, la lettura diventa molto più scorrevole: forse potrebbero provare anche a scuola.

Contenuti modernissimi

A proposito di letteratura di genere. Sarà perché la Gerusalemme liberata ne è forse il corrispondente dell’epoca, ma l’altra cosa che mi ha colpito è la modernità del materiale narrativo: a un certo punto mi sono sorpreso a ragionare su come dividere la vicenda in puntate per un serial in più stagioni capace di fare concorrenza a Game of thrones. Le possibilità ci sono tutte: amori contrastati, combattimenti, inimicizie personali, tradimenti, una galleria di personaggi non banali e un trattamento della narrazione ricco di colpi di scena, cambi di prospettiva, perfino flashback.

La Gerusalemme liberata si presta, oltretutto, a trasposizioni innumerevoli in altri contesti: se ai cavalieri si sostituissero dei gangster, alle spade gli AK-47 e alla conquista di Gerusalemme un sogno mistico di successo (come in un manga alla Sanctuary) la storia funzionerebbe lo stesso, forse anche meglio. Alla fine la storia (almeno per dove sono arrivato) è quella della persistenza nonostante tutte le difficoltà in un progetto idealistico e grandioso da parte di un capo, attorniato da compagni e avversari dotati di più testosterone che cervello, e con una spruzzata di dark ladies traditrici, consigliori astuti e ricchi di assi nella manica, un paio di ragazze pure e virginali e perfino l’immancabile spadaccina capace di dare del filo da torcere agli uomini. Una cosa così si può mettere in scena praticamente ovunque.

Certo, si perderebbe (probabilmente) il contenuto specificamente cristiano. Ma l’unica cosa che stride, per dir la verità, è proprio l’impostazione religiosa della narrazione. Sono inutilmente fiero di me stesso per aver riconosciuto l’influenza dell’Iliade (sono andato a sbirciare nella critica letteraria in merito per avere conferma),  ma lì la lotta fra gli dei, gli uni a favore degli Achei e gli altri dei Troiani, è un elemento di suspence essendo tutti, in linea di massima, di uguale potere; qui invece il fatto che Dio sia, per definizione, più potente delle potenze infernali che gli si oppongono causa delle acrobazie nella trama non da poco o, almeno, l’equiparazione di un Dio onnipotente a uno Zeus distratto qualunque, e la cosa non sempre appare del tutto riuscita.

E comunque Dante…

L’ultima cosa che ho notato è che leggendo poesia così in maniera continuativa (cioè non come un brano che estrai da una raccolta a caso) si colgono meglio le differenze fra poeti e anche la qualità di ognuno. È in parte una sensazione che ho avuto anche leggendo, recentemente, I canti di Castelvecchio di Pascoli come se fosse un libro, pagina dopo pagina, ballata dopo ballata; lì ho rivalutato Pascoli, un’esperienza che a scuola era stata del tutto negativa, qui pur nel gran piacere che sto provando nella lettura noto però che ogni tanto Tasso deve infilare nell’ottava un verso “inutile” per rimanere nello schema delle rime, o si deve concedere una licenza poetica, o fare qualche altro magheggio per non uscire dalle regole (un’altra cosa di cui non mi sarei mai accorto se non avessi fatto il corso con Ferrari). Per quel che mi ricordo a Dante questo non capita mai, e per questo la lettura così continuativa della Gerusalemme liberata per contrasto mi fa apprezzare di più la Commedia e ritenere che, alla fin fine, Dante sia un poeta migliore del Tasso – sempre considerando che ci muoviamo fra pesi massimi, eh!

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