Una giornata in Facoltà
Stamattina mi sono preso un giorno di ferie per una gita dal medico di famiglia e una sessione di tortura con la dietologa. Terminato il tutto erano appena le dieci e ho deciso di usare la mattinata rimanente per sbrigare un po’ di cose all’Università (sapete, no, che mi sono iscritto?).
Essere colleghi, esserlo dentro
Immagino conosciate il detto: in dom’e ferreri schiron’e linna, in casa del fabbro spiedi di legno. Le immatricolazioni scadevano il 18 e io, che per una cosa del genere avrei rimproverato (gentilmente, ma sempre rimprovero è) uno studente, mi sono guardato bene dal portare i documenti entro il termine. Ieri telefono (con il cellulare, non col telefono interno, affinché non mi riconoscano come un collega), e mi dicono, più o meno: «E quindi cosa fa? Viene subito o deve perdere ancora tempo?». Ahi.
Essendo un collega, potrei andare fuori orario, usare la posta interna, eccetera, ma mi sono ripromesso di fare lo studente semplice, quindi vado allo sportello come tutti, prendo il numero… merda, allo sportello c’è una collega che conosco, esattamente quel che volevo evitare.
Mi dice: «Che coraggio, che bravo, tu sì, io non avrei il tempo, la pazienza…». – ora sono fregato, non potrò saltare nemmeno un esame, che figura ci faccio? – passa un’altra collega: «Lo conosci, è il marito di Maria Bonaria, è un collega, pensa che bravo, si è iscritto all’Università». Ohi, adesso c’ho un’ansia da prestazione…
Carmen, facciamo finta che non mi hai visto, ok? Dimentica.
Regolamenti
Poi vado in biblioteca e mi iscrivo. Qui per fortuna non trovo nessuno di noto. A questo punto è ancora presto e mi dico che potrei perfino andare alla postazione di orientamento a chiedere un po’ di dritte per gli studenti non frequentanti e magari, se siamo in orario di ricevimento, potrei anche passare a fare le stesse domande ai professori degli esami del primo anno.
Mi serve il web, così controllo gli orari. Vado nella saletta di informatica.
La saletta è affidata a una signora, gentilissima, del servizio esterno. Dico che dovrei consultare degli orari, mi chiede il libretto universitario.
«Non ce l’ho», dico, «sono una matricola e me lo daranno fra un paio di mesi».
«Allora basta la carta d’identità». Porgo la patente, non va bene: il Regolamento (quante cose si fanno in tuo nome) chiede solo la carta d’identità. «Guardi che secondo la legge…», faccio io.
La signora, giustamente, ha delle istruzioni: se le hanno detto che deve prendere il libretto e in casi eccezionali la carta d’identità, lei che è l’ultima ruota del carro che ci può fare? Ha ragione ed è gentilissima, ma la cosa è un po’ kafkiana. Mi offro di mostrar la ricevuta delle tasse, chiedo di poter autocertificare il fatto di essere studente, secondo la legge. Sono offerte che il totem del Regolamento non può accettare.
Alla fine, essendo entrambi persone di buon senso, risolviamo. Però quando sto per andare via chiedo, sornione, se posso vedere il Regolamento. È introvabile, ma la signora mi indica un cartello con il nome del responsabile del procedimento. «Se vuole sentire lui…», lo sentirò, certo che lo sentirò. E poi mi dico: io sono adulto e del mestiere; ma uno studente appena maturato, quante cose del genere subirà, senza avere i mezzi per reagire? Molte, temo.
Non svegliare il can che dorme
Tra postazione di orientamento e servizi di Presidenza risolvo un paio di altre questioni. Una cosa che un po’ mi fa ridere è che all’Orientamento inizio a parlare con un tono di voce un po’ sonoro e la signora mi dice: «Sshhhh, parli più piano che disturbiamo il professore, qui a fianco». In effetti ci sono due studi partizionati con una parete sottilissima, ma lei lo dice come se il drago di Bilbo dormisse a fianco a noi.
Non a caso, quando chiedo se posso provare a passare a parlare coi docenti in orari diversi da quelli deputati al ricevimento – magari hanno un attimo libero lo stesso – lei impallidisce e mi dice: «No, fuori orario certamente no. Non è corretto, non si fa». Certo siamo lontani da Scienze Politiche, penso, un altro mondo.
Ho ancora un po’ di tempo. Uno dei docenti non mette gli orari di ricevimento sul sito, ma sulla porta dello studio. Cioè: scrive sul sito che metterà gli orari sulla porta. Curioso. Mi inerpico, annoto e ridiscendo. Decido, visto che si è fatta ora, di andare a parlare con l’unico di quelli che mi servono che riceve proprio ora. Un luminare chiarissimo e molto noto.
Entro, mi presento, spiego che lavoro e non posso frequentare. Storce la bocca. Mi dice due banalità, mi dà alcuni suggerimenti (essenzialmente: si procuri le sbobinature degli altri studenti), poi mi dice: «Beh, se non c’è altro…» e mi congeda.
Ha ragione quella: non disturbiamo il professore.
Aggiornamento: ho chiesto oggi copia del Regolamento e nel giro di dieci minuti me l’hanno mandato via mail, gentilissimi. A quanto pare era la signora, non il totem, a sbagliarsi 😉