Lady Macbeth: vero o falso?
Nota: se siete interessati a Lady Macbeth saltate la prima parte. Per i pettegolezzi stile “vita di Roberto” leggete pure qui sotto.
Il vecchio Rufus va a teatro (però al cinema)
Ho tutte le intenzioni, martedì prossimo, di andare a vedere il Macbeth nell’allestimento del National Theatre, videotrasmesso live in vari cinema in tutto il mondo (a Cagliari nei cinema della catena The Space, alle 21). C’è Kenneth Branagh e la produzione, allestita per il festival internazionale di teatro di Manchester, si annuncia bellissima:
Posto civile, l’Inghilterra, dove si fanno queste cose.
Io e Shakespeare
In realtà il mio rapporto con Shakespeare è stato un po’ strano. L’ho letto tutto (tranne i sonetti, che trovavo noiosissimi) intorno ai dodici anni, in una meravigliosa opera omnia pubblicata dalla Sansoni che stava a casa dei miei nonni. C’erano delle storie che mi parevano fantastiche, lì dentro, soprattutto quelle dei drammi storici (anche La tempesta, si vede che ero portato al fantasy già da piccolo). Mi piacevano anche le commedie; i grandi classici, Amleto, Othello, Macbeth, invece mi piacevano meno: sfido, probabilmente proprio non li capivo, sebbene avessi letto da almeno un paio d’anni il bellissimo adattamento che del primo avevano fatto su Il Giornalino Sigma e De Luca.
Posto civile, l’Italia, quando nelle pubblicazioni per ragazzi mettevano l’Amleto a fumetti.
E poi ho mollato Shakespeare per buona parte dell’adolescenza e oltre. Devo avere riletto, credo, Re Lear, e sicuramente La tempesta più volte, e poco altro; qualche altra cosa avrò visto ogni tanto a teatro, immagino, ma senza troppa partecipazione: per dire, ho avuto il privilegio di vedere all’Anfiteatro romano di Cagliari l’adattamento del Sogno di una notte di mezza estate di Lindsay Kemp, un’esperienza meravigliosa dal punto di vista teatrale; eppure la trama sottostante mi lasciò piuttosto freddo.
Poi un giorno del 1993 il mio amico Andrea Assorgia mi portò al cinema a vedere il Molto rumore per nulla di Kenneth Branagh. Ricordo che gli dissi: «E chi è?», e lui: «Come! Quello che ha fatto l’Enrico V». Beh, l’Enrico V era uno dei drammi storici, me lo ricordavo con piacere, così mi sono fidato, e le versioni cinematografiche di Branagh sono ciò che mi ha riavvicinato a Shakespeare, che negli ultimi anni ho riletto spesso (anche i sonetti, perfino).
Enigmi scespiriani
Un libro che mi ha aiutato parecchio in questa riappropriazione di Shakespeare è stato Henry V, war criminal? (and other Shakespeare puzzles), un libro molto divertente in cui due professori di letteratura inglese, David Sutherland e Cedric Watts, affrontano i dubbi che un lettore medio può provare leggendo alcune delle più famose opere scespiriane: se Enrico V ordina di uccidere i prigionieri francesi dopo avergli promesso salva la vita, è tecnicamente un criminale di guerra? La famosa pendola del Giulio Cesare vuol dire davvero che Shakespeare era ignorante di come i Romani misuravano il tempo? Che età esattamente ha Giulietta? Perché Shylock ce l’ha coi musicisti? Che strano modo hanno le stagioni di succedere le une alle altre a Elsinore? e così via: pretesti per fare critica letteraria mischiando erudizione e ironia, secondo uno stile che in Italia corrisponde, più o meno, alla Storia confidenziale della letteratura italiana di Dossena (con la differenza che qui il riferimento al testo è immediato e il lettore molto più “accompagnato” nella lettura).
È un libro molto interessante, purtroppo non tradotto in italiano, così come non sono mai stati tradotti i tre volumi scritti dal solo Sutherland con enigmi tratti invece dalla letteratura vittoriana: Can Jane Eyre be happy? (probabilmente no), Is Heathcliff a murderer? e Who betrays Elizabeth Bennet?, tutti pubblicati dalla Oxford University Press.
In vista della mia visione del Macbeth mi sono riletto il capitolo dedicato a un episodio minore di questo dramma. Il titolo originale è: Lady Macbeth: feint or faint? con un gioco di parole intraducibile fra feint, finta, e faint, perdere i sensi. Il capitolo è di Sutherland: ve lo traduco (ho solo omesso le note) per invogliarvi al contatto con un libro molto bello. Da parte mia martedì cercherò di controllare: che farà Lady Macbeth?
Lady Macbeth: svenimento o travestimento?
di John Sutherland
Una delle note più interessanti di Bradley, sebbene triviale, è intestata: «Lady Macbeth svenne realmente?». Si ricollega alle conseguenze della morte di Duncan nel castello di Macbeth. La sequenza degli eventi è intricata e tumultuosa. Dopo avere superato il difettoso servizio di portineria del castello, Macduff arriva per essere a disposizione del suo sovrano alla “puntuale” alba, così come gli è stato ordinato. Essi hanno intenzione di partire di buon’ora per la loro marcia verso sud. Si reca nella stanza reale come d’accordo e scopre – «orrore, orrore, orrore» – che il Re è stato assassinato.
In seguito all’allarme causato dalle grida di Macduff, Macbeth è informato della terribile notizia e – come signore del castello – va col “giovane” Lennox (un personaggio di cui è dubbio se sia a parte o meno dei segreti) nella camera da letto macchiata di sangue. Nel frattempo Lady Macbeth in camicia da notte, che è stata richiamata dalla confusione, pronuncia la sua sconsiderata esclamazione: «Come, nella nostra casa?», solo per essere rimbeccata da un Banquo improvvisamente sospettoso: «Troppo crudele, ovunque».
Macbeth ritorna con Lennox e, con un giro di parole non abituale in lui, confessa che gli scudieri (la guardia del corpo personale di Duncan) che hanno trovato «tutti macchiati di sangue» sono stati massacrati. «E tuttavia mi pento della mia furia», dice Macbeth, «di averli uccisi io». Il pronome è significativo, perché indica che Lennox non ha partecipato ma (presumibilmente) ha osservato il suo signore fare il giro della stanza, tagliando una dopo l’altra le gole degli uomini addormentati, senza nemmeno dargli il tempo di confessare.
«Perché l’hai fatto?», chiede con durezza Macduff. È una domanda pertinente. C’è sempre tempo per uccidere i colpevoli dopo che abbiano confessato (il carnefice – per una condanna per tradimento – sarà molto meno rapido e misericordioso del pietoso colpo del pugnale di Macbeth). In risposta alla scomoda domanda di Macduff Macbeth si lancia in una lunga orazione gonfia di retorica:
Chi può essere saggio, stupefatto, moderato e furente,
leale e neutrale, in un istante? Nessun uomo…
«Qui giace Duncan», dice – indicando un cadavere immaginario e così evitando di guardare negli occhi i suoi interlocutori, che si può supporre che a questo punto lo stiano osservando con molta attenzione. Segue una stravagante metafora sulla «argentea pelle» di Duncan «macchiata del suo dorato sangue». È la più banale descrizione del fluido vitale in questo dramma notoriamente sanguinario. Più Macbeth si dilunga, più le sue spiegazioni suonano false. Interrompendo questo flusso gorgogliante di scuse strampalate – che, possiamo supporre, andranno a finire male – Lady Macbeth improvvisamente esclama: «Aiutatemi, presto, su!» e sviene.
Macbeth attentamente ignora la moglie accasciata, sebbene sia Macduff che Banquo siano allarmati. Essi ordinano ai servitori di «badare alla dama». Là è ormai la direzione verso cui ognuno guarda. La nobildonna viene doverosamente portata via, ancora priva di conoscenza. Dopo questa interruzione Macduff non prosegue nel suo sospettoso contro-interrogatorio. Macbeth è fuori pericolo.
«Svenne realmente Lady Macbeth, o fece finta?», chiede Bradley. L’interpretazione delle parole sulla pagina può essere volta in entrambe le direzioni. Lady Macbeth è ancora a questo punto la donna ferocemente asessuata che dovrebbe «dare alla luce solo figli maschi» (quante figlie ha?). È lei, noi ci ricordiamo, che ha drogato le bevande degli scudieri e sottratto i pugnali («debole di proposito»). Lei che ha segnato le loro facce, pugnali e lenzuola con il sangue di Duncan – preparando la messa in scena di copertura.
Potrebbe ben essere evidente per lei in maniera preoccupante che la verbosa giustificazione di Macbeth sul perché abbia giustiziato sommariamente gli scudieri addormentati stia andando a rotoli. Si può immaginare che la coppia sia caduta in fallo. Non si erano immaginati che Macduff sarebbe stato la prima persona a entrare nella camera da letto del Re. Non possono avere la certezza che non abbia scambiato qualche parola con uno degli scudieri in preda al sonno.
Anche se tutto procedesse secondo i piani, una qualche azione diversiva è necessaria prima che suo marito attragga troppa attenzione su quello che è il punto debole del loro piano. Perché, cioè, gli scudieri dovrebbero avere ucciso Duncan per poi trattenersi così opportunamente sulla scena del crimine? «Ubriachezza» non è una spiegazione soddisfacente. Gli scozzesi fanno cose terribili da ubriachi, come dimostra un qualunque sabato notte in Sauchiehall Street o Leith Walk. Ma raramente si coricano per le vie della città per godersi una buona notte di sonno a fianco alle sfortunate vittime dei loro pestaggi. La spiegazione alternativa, immediatamente avanzata dai Macbeth, che gli scudieri siano stati «subornati» da Malcolm e Donalbain è, se possibile, ancora meno convincente. È difficile che qualcuno assuma degli assassini a contratto conosciuti per avere un debole per la bottiglia e la tendenza – letteralmente – ad addormentarsi sul lavoro.
Il fatto che Macduff investighi proprio i punti deboli della trama dei Macbeth è pericoloso e potrebbe velocemente diventare catastrofico. Come in Jim il fortunato (dove il protagonista, Jim Dixon, si organizza perché un amico svenga n mezzo al pubblico per poter abbandonare il palco se le cose si facessero pericolose), il capogiro di Lady Macbeth potrebbe essere un trucco predeterminato dalla coppia di colpevoli. Oppure potrebbe essere una felice improvvisazione di lei.
D’altra parte, si potrebbe argomentare che una vena di sensibilità in Lady (presto Regina) Macbeth si va aprendo e che questo ne è il primo segnale fisico. Una inaspettata nausea venne a galla con la confessione che avrebbe potuto commettere l’omicidio lei stessa, «Se egli non avesse assomigliato a mio padre nel dormire» (la si immagina entrare, coltello in mano, nella stanza, esitare, e tornare indietro – o forse anche avere un mancamento alla vista della somiglianza col padre).
Lady Macbeth sta già mostrando, possiamo sospettare, segni precoci di quella fobia nei confronti del sangue che avrà il suo culmine nella terribile frase: «Qui c’è l’odore del sangue, ancora». Lo svenimento in pubblico ci ricorda che non è solo una cospiratrice, ma una donna. Questo, si può ritenere, è il punto di passaggio cruciale dopo il quale lei diviene sempre più tormentata dalla coscienza e Macbeth, prima sensibile, sempre più privo di scrupoli.
Se seguiamo questa linea, c’è un profezia significativa nella reazione di suo marito. Macbeth, come è stato detto, ignora completamente il suo svenimento. Se si suppone che non se lo aspettasse, la sua indifferenza (tanto più data la preoccupazione da gentiluomini mostrata da Banquo e Macduff) è stranamente cinica. Prefigura un poco la sua reazione grottescamente insensibile alla notizia della morte di sua moglie, anni dopo (come supponiamo). C’è un grido all’interno. Seyton entra per dire a Macbeth che «La Regina, mio signore, è morta». Invece di andare da lei, Macbeth osserva semplicemente: «Sarebbe dovuta morire poi» (che i cinici potrebbero interpretare come: «Prima o poi tocca a tutti»). Non entra nemmeno per vederne il corpo. Si direbbe che non venga mai a sapere come è morta, né apparentemente gli importa – non si informa nemmeno da Seyton sulla cosa (è stato lui stesso, pensiero orribile, a predisporre che venisse eliminata?).
Come davvero muore la Regina Macbeth? Di sua propria mano, dobbiamo supporre. Nel suo discorso conclusivo Malcolm fa riferimento, di passaggio, alla «demoniaca Regina | Che, si ritiene, di sue violente mani |si tolse la vita». Il fatto che “si ritiene”, non si sappia, attira le domande. Circondata dalle sue donne ha, come Portia, «inghiottito il fuoco»? Si è portata al seno una vipera scozzese come Cleopatra? Si è gettata in qualche opportuno rivo fangoso, sotto un salice come Ofelia? Si è avvelenata come Gertrude? Si è lasciata morire di fame, resa anoressica dalla colpa? È stata forse assassinata su ordine di Macduff, come vendetta per l’omicidio di sua moglie? Ci sono in Scozia, come indica l’omicidio di Banquo, assassini a pagamento. Macbeth non lo sa e non gli interessa. Invece di rendere l’estremo saluto alla sua compagna, si sbarazza di un soliloquio di supremo rifiuto del mondo e si dirige alla propria polverosa morte, il suo bagaglio sulle spalle. Questa indifferenza era stata anticipata, si può congetturare, dall’atto di Macbeth di ignorare sua moglie quando sviene dopo l’omicidio di Duncan. Allora degli estranei venero lasciati a prendersi cura del suo corpo incosciente. Estranei, di nuovo, si occuperanno del suo corpo privo di vita.
Come fa notare Bradley, sarebbe un aggravio per l’attrice mostrare autenticità o falsità nello svenimento di Lady Macbeth senza esagerazioni melodrammatiche. Potrebbe essere previsto un qualche accordo silenzioso o segnale con lo sguardo, ma non sarebbe confermato da niente nel testo. Si devono pesare probabilità psicologiche. Ciò che, quindi, appare giusto per come si comprendono le figure dei protagonisti. I giudizi sono necessariamente soggettivi ma, nel complesso, lo svenimento di Lady Macbeth mi sembra più autentico che contraffatto.
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