Come combattere il declino organizzativo
Mi è sempre interessato molto il tema del “declino organizzativo”, cioè di una crisi progressivamente sempre più grave di una organizzazione tanto che alla fine diventa irreversibile: un po’ per motivi, diciamo così, professionali – da formatore, responsabile di gruppi, dirigente di organizzazioni sono cose con cui ti abitui a fare i conti – sia per avere vissuto da vicino la crisi di almeno un paio di realtà a cui sono stato e sono affettivamente molto legato, come la vecchia La Porta d’Argento e soprattutto l’Azione Cattolica diocesana.
Il concetto risente molto, purtroppo, del fatto di essere stata elaborato e raffinato in ambiti aziendalistici, come si vede da questa sintesi delle varie fasi di declino:
Stadio della cecità: costituito dai cambiamenti interni e esterni che minacciano la sopravvivenza in lungo termine e può richiedere che l’organizzazione prende misure appropriate. L’organizzazione può presentare personale in eccesso, procedure ingombranti o mancanza di armonia con i propri clienti. I leader spesso non avvertono i segnali di declino, e la soluzione consiste nello sviluppare controlli efficaci che indichino quando qualcosa non funziona come dovrebbe;
Stadio dell’inattività: si negano le condizioni correnti malgrado i segni del deterioramento delle prestazioni. La soluzione è che i leader riconoscano il declino e intraprendano azioni tempestive per riallineare l’organizzazione con l’ambiente;
Stadio dell’errore: l’organizzazione affronta problemi gravi e gli indicatori, che mostrano i cattivi risultati, non possono essere ignorati. La mancata reazione al declino può portare al fallimento dell’organizzazione. I leader dovrebbero ridurre l’incertezza dei dipendenti chiarendo valori e fornendo informazioni, riducendo i costi, come tagli al personale e ridimensionamenti;
Stadio della crisi: l’organizzazione non è stata ancora in grado di gestire efficacemente il declino e si trovo in una situazione di panico. L’unica soluzione è di intraprendere una radicale riorganizzazione. Sono necessarie azioni straordinarie, come la sostituzione del vertice e cambiamenti rivoluzionari nella struttura, nella strategia e nella cultura;
Stadio della dissoluzione: questo stadio del declino è irreversibile. L’organizzazione subisce perdita di quota di mercato e di reputazione, degli elementi migliori del suo personale e dei capitali. L’unica strategia possibile è di porre fine all’organizzazione in maniera ordinata e ridurre il trauma da separazione dei dipendenti
che come si vede impiega una gran quantità di termini pensati per le imprese commerciali, quando in realtà il tema vale per tutte le organizzazioni, comprese, vorrei dire soprattutto, quelle di tipo politico o associativo o a movente ideale, come anche le associazioni religiose.
Tra parentesi: la descrizione delle cinque fasi che trovate sopra l’ho presa da una simpatica dispensa di sociologia aziendale assai più lunga e che è facilmente scaricabile in rete e che dovreste leggervi, se siete interessati ai temi delle organizzazioni; sia la dispensa in generale che la tipizzazione del declino organizzativo che presenta è una evidente sintesi dei lavori molto più profondi dei sociologi che hanno elaborato il tema, ma per i dilettanti come me è un riferimento utilissimo (peccato che la bibliografia sia carente, ma negli anni ho trovato altrove le mie fonti).
Tutta questa lunga introduzione per dire che ci sono stati un paio di momenti nella vita del gruppo “La Pira” in cui ho contagiato loro l’interesse per il tema del declino organizzativo come strumento per leggere alcune realtà in cui ci siamo imbattuti. In uno di questi momenti ho segnalato un articolo sul sito della Harvard Business Review (la Mecca dell’aziendalismo, talvolta per fortuna dal volto umano) che però era in inglese e che avevo promesso di tradurre ormai un sacco di tempo fa. L’ho fatto adesso e visto che ci siamo pubblico l’articolo qui sul blog, visto che secondo me è interessante anche se ondeggia fra declino e malessere organizzativo, due cose che non sono proprio identiche e anche se il linguaggio è biecamente… capitalista: ma ognuno può leggerlo e fare mentalmente il check-up della propria organizzazione, cosa che non fa mai male (e, facendo la tara al linguaggio e alla cultura harvardiana, ci sono molte cose condivisibili).
L’articolo originale si intitolava Fight the Nine Symptoms of Corporate Decline.
Combattere i nove sintomi del declino nelle aziende
di Rosabeth Moss Kanter
Come riconoscere che un gruppo di lavoro, una società o un paese è sulla pendenza scivolosa del declino e ha necessità di un aggiustamente di cultura organizzativa? Mentre facevo le ricerche per il mio libro Fiducia, che raffronta le spirali di declino con l’impeto del successo, ho scoperto nove segnali universali di allarme che indicano uno spostamento nella direzione sbagliata. La buona notizia è che sono tutti reversibili. Stare in allerta per questi comportamenti è il primo passo verso la costruzione di comportamenti migliori.
Per primi, i segnali che ci sono problemi peggiori all’orizzonte:
La comunicazione diminuisce. I primi semi sono sparsi quando cessa il flusso di informazioni, le persone evitano la discussione e chiudono le loro porte. Le decisioni sono prese in segreto. Le persone diffidano [della verità] dei comunicati ufficiali. Il pettegolezzo sostituisce i fatti reali.
Critiche e recriminazioni crescono. Le persone sono rimproverate in pubblico. Esse si costruiscono alibi e puntano il dito su qualcun altro. Si sacrificano capri espiatori. I dubbi su sé vengono mascherati mediante attacchi. Si dà la colpa a forze esterne, si sfugge la responsabilità personale.
Il rispetto diminuisce. Le critiche continue fanno pensare alle persone di essere circondate da un branco di inetti. Hanno la sensazione che le cattive prestazioni siano comuni e che i pesi morti siano tollerati. Ognuno si aspetta il peggio da chiunque altro… e lo dice.
Cresce l’isolamento. Le persone si ritirano nei propri angolini o sottogruppi, sospettosi degli altri e maldisposti a lasciarsi coinvolgere. Il ritrarsi dai contatti li isola ulteriormente, incoraggiando gli altri a ritrarsi anch’essi. I silo si ispessiscono.
L’orientamento si volge all’interno. Le persone diventano concentrate su se stesse e perdono di vista il contesto più ampio – clienti, elettorati, i mercati o il mondo. Ciò che avviene all’interno diviene più importante di ogni obiettivo esterno.
I fossati si ampliano e le diseguaglianze crescono. Le rivalità interne evolvono in guerre per bande. Poche stelle divengono l’elite privilegiata che reclama una sproporzionata attenzione, risorse, opportunità. I differenziali di potere e la distanza sociale fra i gruppi e i livelli rende la collaborazione difficoltosa. Le persone ammassano risorse per il proprio uso. Meno c’è in giro e più cresce la tentazione di sfruttare i favoritismi o di procurarsi di più per il proprio gruppo.
Le aspirazioni diminuiscono. Le persone smettono di credere che il progresso sia possibile. Sono disposte ad accontentarsi della mediocrità. Vogliono minimizzare il rischio piuttosto che mettersi alla ricerca di miglioramenti importanti. Si consolida il “pessimismo difensivo”, cioè l’abbassare le aspirazioni per far fronte all’ansietà generata da situazioni rischiose. Potreste non vedere l’assenteismo, ma c’è “presenteismo”, che vuol dire che il corpo è presente ma la mente è altrove.
L’iniziativa diminuisce. Screditate e demoralizzate, le persone divengono paralizzate dall’ansia. Convinte che niente potrà mai cambiare, le persone divengono passive, osservanti delle routine senza prendere iniziative anche nelle piccole cose e certamente senza cercare innovazione o cambiamenti. Le politiche e i processi vengono percepiti come radicati e inevitabili, con l’emarginazione delle nuove idee.
La negatività si allarga. In una reazione a catena emotiva, la negatività così pervasiva genera ulteriore declino. La cultura [aziendale] permette egoismo, avidità, diffidenza, mancanza di rispetto, rivalità meschine e costruzione di scuse invece di azione.
È facile venire scoraggiati dal senso crescente di disperazione e di demoralizzazione che ho visto in aziende in declino, scuole di borgata con cattivi risultati, matrimoni in crisi, paesi in via di sviluppo con vaste differenze sociali e difficoltà nella competitività degli USA.
Ma ho anche lavorato con l’opposto: svolte radicali che creano comportamenti che costruiscono il successo. Ho osservato e aiutato leader che hanno a cuore relazioni positive a porre le premesse di risultati positivi. Ecco ciò che i leader – ufficiali o emergenti – fanno per alterare i comportamenti di declino verso l’abitudine al successo:
- Tengono la comunicazione aperta e l’informazione scorrevole. Alimentano il dialogo diffuso volto alla risoluzione dei problemi. Fronteggiano i fatti apertamente e onestamente.
- Danno risalto alla responsabilità personale. Rifiutano di ascoltare attacchi a terzi e chiedono a ciascuno di prendersi la responsabilità della sua parte del problema.
- Modellano a ogni livello il rispetto per il talento e i risultati. Porgono frequenti pubblici ringraziamenti. Lodano coloro che raggiungono obiettivi difficili mentre aiutano a migliorare chi ha cattivi risultati (o li eliminano se non mostrano miglioramenti).
- Incrociano le corversazioni fra diversi gruppi. Convolgono squadre multidisciplinari diverse nella risoluzione dei problemi.
- Sottolineano lo scopo comune. Mostrano obiettivi significativi più ampi di quelli per gli individui o i gruppi. Trovano una sfida importante per unire le persone.
- Lavorano per ridurre le iniquità e le differenze di status. Richiedono che i privilegiati accompagnino e aiutino gli altri. Dividono le risorse aggiuntive su molti gruppi e incoraggiano i progetti congiunti o i servizi condivisi. Forniscono opportunità per la formazione e la crescita.
- Fanno crescere le aspirazioni. Usano le piccole vittorie per mostrare il potenziale per successi maggiori. Incoraggiano la [costruzione di] obiettivi aggiuntivi realistici e offrono alle persone aiuto per il loro raggiungimento.
- Reward initiative. Provide time or small grants to work on new ideas. Make brainstorming a habit.
- Ricompensano l’iniziativa. Forniscono tempo o piccoli fondi per lavorare su nuove idee. Rendono il brainstorming un’abitudine.
- Rinforzano la positività dicendo e mostrando che il cambiamento è possibile. Ignorano le voci della negatività.
I leader possono orientare azioni produttive, inclusive e di crescita che costruiscono l’abitudine alla vittoria. Anche quando i segni del declino sono ovunque intorno a noi è ancora possibile orietnare diversamente la cultura. Fare attenzione ai segnali di allarme è un buon primo passo.