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Lo stesso spettacolo

Rufus e PinoIeri, festa di San Giuseppe, siamo andati a mangiarci una pizza a casa del mitico Pino (una pizza di Lollove Pizza con casizzolu, salsiccia al cannonau e funghi, roba seria). Siccome era casa del mitico Pino, abbiamo guardato la televisione (tutti sanno che a casa di Maria Bonaria e mia la scatola quadrata non c’è).

C’era il programma coi pacchi e a Bonaria non piaceva, così il mitico Pino in uno slancio di altruismo ha detto: «Mettiamo qualcosa di meglio!» («Ma no, lascia») «Ecco, guarda…» («No no no non ti disturbare!») «…c’è Striscia la notizia!» («NOOOOOOO!!!!!») «Ecco fatto, non c’è bisogno di guardare i pacchi se c’è questo…» («Certo, come no»).

Dopo la pizza e Ficarra e Picone ci siamo guardati il calcio: c’era la Champions, Manchester United contro Olympiakos (per Bonaria una serata davvero esaltante).

Bonaria guardava i calciatori e notava le acconciature personalizzate, le scarpette da calcio colorate diverse per ciascuno, i manierismi.

Ed io, semiologo dilettante ma benintenzionato: «È perché ormai il calcio – e tutto lo sport – tenta di accreditarsi come una specie di gioco gladiatorio, in cui tutti i calciatori sono gli eroi, ognuno col suo seguito di tifosi, le sue individualità… ogni calciatore perfettamente riconoscibile al pubblico. Non è molto diverso dal wrestling, lì è caricaturale ma in fondo il messaggio è lo stesso» (è scattata anche la lezione: la serata per Bonaria migliorava minuto dopo minuto).

E mentre dicevo queste cose ho avuto un flash e sono tornato ai servizi, ossessivamente centrati sul palazzo del potere, di Striscia la notizia.

Rufus clownMentre guardavo la tizia travestita da Peppa Pig avevo riflettuto sulla tristezza di certi lavori: cosa penserà una la mattina quando si guarda allo specchio, prima di mettersi il naso da maialina? Non gli verrà in mente che forse la miniera potrebbe essere un’alternativa augurabile, rigovernare stalle più dignitoso?

Ma in quel momento ho riguardato la cosa con un altro occhio. Tutta l’attenzione sui campioni dello sport, sulla dimensione eroica del confronto sportivo, non può nascondere del tutto il fatto che in realtà, spesso, l’esito è già scritto, come dimostrano periodicamente i vari scandali su scomesse e combine. Più cresce l’enfasi, più aumenta la teatralità e più c’è la sensazione di un copione il cui finale è già stato deciso prima di giocare (esattamente come nel wrestling, dove non c’è nulla di reale). Anzi, lo spettacolo può servire esattamente a mascherare la combine: alla fine al pubblico interessa il rito, interessa partecipare, interessa che tutto si svolga secondo i canoni – cioè che il copione sia di qualità – poi poco importa se l’esito del confronto sportivo a cui si assiste è stato predeterminato in una sala giochi di Singapore.

Detto questo, andiamo a ciò che interessa Striscia e un’altra pletora di show e apparati di informazione: la politica. È molto attenuato, ma la sfilata di politici e giornalisti davanti al Palazzo, ognuno coi suoi manierismi, la sua battuta studiata a tavolino, la sua personalità bene in vista, e in più con attorno a loro tutto il codazzo di nani e ballerine e personaggi di contorno, non ricorda lo spettacolo sportivo? In fondo non c’è (tanta) differenza fra il tizio che si finge Valentino o la tizia travestita da Peppa Pig e le cheerleader: è spettacolo di contorno in attesa dell’evento principale (in questo senso non c’è neanche molta differenza fra, diciamo, Lilli Gruber, con tutto il rispetto, e Peppa Pig: è sempre intermezzo fra una parte del match e l’altra).

Non penso alla tanto spettacolarizzazione della politica nel senso classico: i grandi gesti simbolici, le grandi adunate, queste cose. Penso a una spettacolarizzazione, diciamo, più quotidiana e individualizzata: i politici come eroi dello sport, ognuno ben marchiato, individualizzato, caratterizzato, pronto a offrire allo spettacolo il suo personalissimo contributo scenico.

Qual è il problema? Che non vorrei che tanta enfasi sulla spettacolarizzazione della politica – in particolare della politica parlamentare – celasse, come nello sport, il fatto che il copione sia in parte già scritto e l’esito già determinato, ma altrove.

(lo so, lo so: state per dirmi ben arrivato, Roberto. Però a me è venuto in mente ieri).

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