Politiche di riduzione del danno
Sgarrare al catechismo?
Io e Maria Bonaria, di solito, andiamo alla Messa delle dieci della domenica mattina, che è anche la Messa dei bambini del catechismo.
Ieri ci siamo trovati su una panca subito dietro i ragazzini e le ragazzine che si preparano alla Cresima: a quell’età maldestra fra i dodici-tredici anni, vestiti da grandi con le facce da bambini, divisi rigidamente per sesso, coi maschietti davanti, ridacchianti, e le ragazzine quasi tutte nel banco di dietro, molto più comprese di se stesse, con la catechista all’estremo, verso la corsia centrale.
Un paio di bambini sono arrivati in ritardo, cosa piuttosto normale: ma una, in particolare, con un elegante giubbottino bianco, è arrivata davvero tardi, dopo la preghiera che chiude la liturgia della Parola, o addirittura dopo, non ricordo.
Ricordo che la catechista ha scosso la testa con disapprovazione e che le ragazzine più vicine a lei, pronte a cogliere il suggerimento, erano tutte un bisbiglìo di moralità offesa. La biondina coi capelli lunghi seduta nel banco davanti si è addirittura girata un paio di volte, ha storto la bocca con superiorità nei confronti della malfattrice e poi si è girata di nuovo. Le biondine dalla faccia angelica coi capelli molto lunghi sono capaci di questo disprezzo senza confini, è risaputo.
Al momento della comunione le ragazzine ordinatamente si sono avviate verso l’altare, uscendo dal banco una a una. La ritardataria col giubbotto bianco, che si era sistemata al capo opposto del banco rispetto alla catechista, era l’ultima. La signora ha fatto passare tutte le bambine, una a una. Al momento di quella col giubbotto bianco ha messo in mezzo il braccio: «Tu no».
Io ero, confesso, un po’ distratto. Maria Bonaria mi ha dato una gomitata e mi ha sussurrato: «Ma scusa, secondo te si può impedire a una bambina di fare la comunione perché è arrivata in ritardo?». «Credo proprio di no», ho detto io.
«E invece guarda».
Ho guardato. La catechista ha dato un po’ di spiegazioni alla bambina, poi l’ha fatta inginocchiare nel banco, si è inginocchiata anche lei. Hanno pregato in silenzio mentre tutti facevano la comunione. Poi la ragazzina col giubbotto bianco è tornata al suo posto, mentre arrivavano anche le compagne, tutte ben consce del castigo in cui era stata messa. La bionda angelica coi capelli lunghi è riuscita ad esprimere un gnegnegne che pronunciato avrebbe preso dieci minuti con un solo, istantaneo, piegare le labbra: sono cose che solo le biondine sanno fare così. La ragazzina col giubbotto bianco era sull’orlo delle lacrime.
Parentesi dottrinale
Siccome so che diversi dei miei lettori sarebbero, purtroppo, capaci di credere le cose più strane sulla Chiesa cattolica, chiariamo il concetto: non c’è alcuna strana regola per la quale chi arriva in ritardo non può accostarsi all’Eucaristia. Il che non vuol dire, ovviamente, che sia desiderabile, ma sono due discorsi diversi.
Quando ero responsabile del gruppo degli adulti di Azione Cattolica (io e trenta signore tutte dell’età di mia madre) io e padre Polo durammo un po’ di difficoltà a estirpare l’idea abbastanza preconciliare che la Messa è valida se ascoltata a partire almeno da un certo punto (tradizionalmente la proclamazione del Vangelo). È un punto di vista legalistico, che dà più importanza al soddisfacimento del precetto domenicale che non alla esperienza della celebrazione. Padre Salvatore, a ragione, si rifiutò di indicare un minutaggio minimo di partecipazione alla celebrazione perché fosse valida.
Perché si tratta di una esperienza tendenzialmente comunitaria (per cui non puoi fare l’Eucaristia da solo) e soprattutto unitaria: tutte le parti hanno la loro importanza, fanno parte assieme del tutto e andrebbero vissute tutte insieme. Siccome la celebrazione è articolata sull’idea delle “due mense”, quella della Parola e quella del Pane, se uno arriva dopo il Vangelo – quando la mensa della Parola ha chiuso i battenti – non ha partecipato a una delle due parti essenziali: ma chiedersi se la Messa è valida in questo caso è come chiedersi se vale la pena di andare alla cena di matrimonio senza essere stati presenti al matrimonio stesso, o andare a cena dagli amici solo al momento del caffè, o entrare a vedere un film giallo solo quando si scopre l’assassino: non si può dire, sono cose che possono essere lette in vario modo e possono essere comprese diversamente.
Certo, se a tutti i matrimoni vai solo per mangiare sei uno scroccone. Se quando ti invitano a cena vai sempre solo per il caffè sei un maleducato. E nessuno va al cinema alla fine. Arrivare sempre tardi a Messa non è bello, per un cristiano.
Quindi ha senso che i catechisti si sforzino di inculcare l’idea della puntualità nei bambini. Ci sta anche il rimprovero, ci sta la richiesta di prendere la Messa con maggiore serietà. Quando ero adolescente il parroco o un animatore mi avrebbero suggerito di trovare il modo di ascoltare un’altra Messa dall’inizio (probabilmente l’avrei fatto da solo anche senza suggerimento). E il processo educativo, va da sé, può essere legato a premi e gratificazioni così come a punizioni. Quando andavo al catechismo a chi arrivava tardi a Messa il parroco gli faceva la paternale e gli murrungiava i biglietti gratis per il cinema parrocchiale del pomeriggio. Secondo come, niente cinema.
Il fatto è che, tendenzialmente, non far fare la comunione come strumento educativo non ha molto senso. Intanto perché i bambini non hanno grande autonomia di movimento: se quella è arrivata in ritardo dipenderà dai genitori, ed è improbabile che possa tornare in chiesa ad altre ore per partecipare pienamente a un’altra celebrazione: quindi ti stai semplicemente mettendo fra lei e il Signore, e non va tanto bene. E poi non mi è sembrata gran cosa tutta la cerimonialità sostitutiva: inginocchiarsi, pregare… cosa avrà cercato di fare: chiedere perdono a Gesù? Cercare un colloquio con Lui? Vabbé, ma fare la comunione è esattamente questo, diciamo, e meglio il Sacramento che la ritualità surrogata dell’inginocchiamento.
Ma divago. Torniamo al racconto.
Politiche di riduzione del danno
Poco dopo tutta quella scena la Messa è finita. Le ragazzine si sono rilassate. La bambina col giubbotto bianco era di nuovo l’ultima della fila per uscire.
Maria Bonaria dal banco di dietro si è protesa verso di loro e gli ha detto: «Buona domenica!». Le ragazzine hanno sorriso alla signora grande che le salutava con serietà, e poi Maria Bonaria farebbe sorridere anche i sassi. Anche quella col giubbotto bianco ha fatto un sorriso timido, tirando su col naso.
Siccome non bastava, ho aggiunto: «Voi non ci crederete, ma anche noi un tempo siamo andati al catechismo. E tutto sommato non ne siamo usciti così male, no?». Adesso le ragazzine sorridevano apertamente. Quella con il giubbotto bianco ha capito benissimo, credo, e voglio credere che ci abbia guardato con gratitudine.
«Che poi il catechismo qualche volta è un po’ duro, vero?», ha concluso Bonaria.
La ragazzina col giubbotto bianco le ha rivolto uno sguardo che diceva: «Non hai idea quanto, sorella».
Però sorrideva.
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