Votare o no? Almeno dite la vostra idea di Europa, però
A costo di dare un dolore al mio amico Alberto Pintus, devo dire che non trovo particolarmente convincenti le posizioni di coloro che suggeriscono che, poiché la Sardegna è rimasta nel collegio unico con la Sicilia per le elezioni europee, allora è opportuno astenersi e non partecipare alla prossima tornata elettorale.
Le prossime elezioni europee sono le prime che si verificano dopo la crisi finanziaria e dopo il fallimento del processo verso la nuova Costituzione europea – diciamo anche: dopo che la percezione di “Europa” è passata, nell’idea di tanti, da “grande casa comune” a “schiava delle banche”, e c’è una bella differenza – e la posta in gioco non è piccola: il futuro del fiscal compact, il bilanciamento di poteri fra cittadini, entità statali e sovranazionali e poteri forti, in fondo la stessa idea di destino del globo terrestre. Astenersi in questo momento sembra miope.
La rappresentanza, direte voi
Naturalmente, c’è un problema di rappresentanza: ma su questo ci sono alcune cose da chiarire.
Intanto, non è vero quel che si sente dire comunemente, che al Parlamento europeo ci vanno sempre solo i siciliani. Una ricerchina veloce sul web ricorda che sono stati parlamentari europei (fate voi la tara ai differenti sistemi elettorali utilizzati) almeno Giosuè Ligios (due volte), Umberto Cardia, Andrea Raggio (due volte), Felicetto Contu, Mario Melis, Mario Segni (due volte), Maddalena Calia, Giommaria Uggias, Francesca Barracciu, e anche Enrico e Giovanni Berlinguer (direi che Luigi Berlinguer va considerato toscano a tutti gli effetti). Non è una cattiva pattuglia, più o meno il 2% dei parlamentari che l’Italia ha mandato in totale a Bruxelles e Strasburgo (la Sardegna ha il 3% circa della popolazione italiana, non molto lontano).
Apparentemente, quindi, la Sardegna non ha bisogno di un seggio riservato per garantirsi la rappresentanza europea.
In realtà andrebbe anche ricordato, ovviamente, che le bandite di caccia e i seggi riservati sono spesso funzionali agli interessi delle élite locali piuttosto che alle politiche globali e tendono, per forza di cose, a focalizzare il dibattito sulle questioni domestiche. Non è assurdo pensare che una serie di piccoli partiti possa ritenere che recintare il dibattito politico alla sola Sardegna gli darebbe una chance che in una discussione più larga finirebbero per perdere a favore di portatori di interessi meno localizzati. In questo senso sospetto che una parte del dibattito sulla rappresentanza politica della Sardegna al Parlamento europeo celi, più che questioni di alto senso democratico, una certa dose di strumentalità (anche se la debacle di Michela Murgia alle ultime regionali dovrebbe ricordare che alla fine non è così facile neanche acquisire maggioranze locali contro i partiti nazionali).
E poi c’è il discorso che non è mai chiaro esattamente a che punto debba cominciare la tutela della minoranza. La Sardegna è svantaggiata dal gioco demografico rispetto alla Sicilia; se fosse un collegio separato, presumibilmente il gioco demografico farebbe sì che l’eletto o l’eletta proverrebbe da Cagliari, forse da Sassari. E allora le zone interne?
(Disclaimer: in realtà la maggior parte dei paesi europei vota per il Parlamento europeo con un collegio unico nazionale, e quella sarebbe anche la mia soluzione preferita, che trovo anche più affine all’idea di Europa che ho in testa, tanto più che i parlamentari europei si collegano per affinità politica, e non nazionale).
Comunque, la Sardegna i suoi rappresentanti in passato li ha avuti. Quindi…
Un’idea di politica
Se apparentemente in altri tempi la Sardegna non ha avuto problemi nel gioco politico nazionale a garantirsi spazi di rappresentanza europea e oggi la percezione diffusa è che questa rappresentanza faccia difetto, forse è il caso di interrogarsi anche sulla qualità della classe politica sarda e sulla sua autorevolezza a livello nazionale rispetto al passato. Il che porta direttamente a riflettere anche sull’idea di politica che la richiesta di una rappresentanza riservata sembra implicare.
Rispondendo a un articolo di Pietro Ciarlo (Mito dell’età dell’oro e neoisolazionismo sardo, largamente condivisibile a parte qualche eccesso polemico) l’esponente indipendentista Omar Onnis ha scritto qualcosa che mi sembra rappresenti bene l’idea di tanti che ritengono che in mancanza del collegio sardo separato sia opportuno astenersi (l’enfasi è mia):
la Sardegna non solo ha una popolazione pari a meno del 3% di quella complessiva dello stato italiano (il che ne farebbe già di suo una porzione marginale del medesimo, quanto a peso demografico e dunque politico)
Qui si fa un passo avanti (indietro) rispetto all’idea che in democrazia conta la maggioranza: contano i territori più popolosi, quindi un territorio col 3% di popolazione è forzatamente marginale.
A parte la decisione, discutibile, di utilizzare come unico criterio di forza reciproca la popolazione, non è uno slittamento di senso da poco. Non siamo più a ogni testa un voto, ma alla società per azioni: e ogni territorio vota per il capitale sociale (la popolazione) che possiede.
Non è per niente un passaggio da nulla.
Si suppone forzatamente che quel 3% di popolazione sia un tutto indifferenziato, accomunato dalla stessa visione politica (e quindi che la sardità sia determinante rispetto a bazzecole come il reddito, l’orientamento sessuale, la religione, l’età, l’appartenenza familiare, il titolo di studio…).
Si fa intravedere una visione abbastanza misera della rappresentanza, per la quale si va in Parlamento per fare gli interessi del proprio territorio (e buonanotte all’assenza di vincolo di mandato); soprattutto, presuppone che gli altri non faranno mai gli interessi nostri.
Soprattutto, però, ed è la cosa più sorprendente, c’è una visione dell’azione politica tutta giocata sui numeri e per niente sulle idee, per cui i territori meno popolosi sono anche meno politicamente rilevanti. È in questo senso una visione sostanzialmente abdicatoria: conta il solo peso numerico, mentre la forza delle idee propria, la capacità di elaborazione politica non contano nulla, come nulla conteranno nell’agire altrui la dirittura morale, il senso del bene comune, l’interesse nazionale… solo lo stato derelitto della politica contemporanea può far dimenticare che nella storia repubblicana questo tipo di visione è stato più frequentemente smentito che confermato e che, comunque, la politica non è stata mai decisa esclusivamente dal peso dei numeri, indipendentemente dalle idee. Ancora una volta, è una visione che assolve dalle proprie responsabilità (non abbiamo rappresentanza perché siamo pochi, non perché siamo poco autorevoli) e che evita di dover fare i conti con la qualità dell’azione politica espressa.
Che visione di Europa?
A me sembra una visione abbastanza misera, egoistica, sia della rappresentanza che della politica. La domanda però nel contesto specifico è: a questa visione che idea di Europa si accompagna?
Giorni fa è stata accolta con sberleffi diffusi una dichiarazione dei deputati sardi del M5S che, sostanzialmente, dicevano che ci si può anche far rappresentare da un siciliano, l’importante è che sia contro una serie di politiche europee sgradite. Nella logica, se non nell’esatto contenuto, a me sembrava ragionevole.
È legittimo, peraltro, anche pensarla diversamente. E quindi mettiamo che davvero sia impossibile per i sardi arrivare al Parlamento europeo e che questo meriti un’azione forte, per esempio quella di astenersi.
Ci sono un paio di trappole, sia fattuali che logiche, in tutta la sequenza, ma per amore di pace ammettiamolo.
Il problema è: non è che l’Europa smette di esistere se noi non votiamo.
Quindi, perché non sia un semplice giochetto per proteggere la propria base elettorale ed evitare che venga fagocitata da altri attori politici con maggiore rilevanza europea (che si tratti di salvaguardare un buon risultato alle regionali, o evitare un’altra debacle non importa) chi propone l’astensione alle prossime europee ha il dovere di fare comunque politica europea.
E quindi, quanto meno, dire esplicitamente alcune cose. Per esempio: a che collocazione internazionale si pensa in vista di una Sardegna indipendente? Dentro o fuori dell’Europa? Se fuori, ci sarebbero un po’ di spiegazioni da dare in merito agli equilibri geopolitici che ci si immagina, ma la scelta dell’astensione avrebbe una certa coerenza – tanto più debole, ovviamente, quanto più si ritiene che l’indipendenza sia una prospettiva temporalmente lontana. Perché l’Europa non è che smette di esistere se noi non votiamo.
Se però ci si immagina una Sardegna dentro l’Europa, allora nascono una serie di altre domande: che idea di Europa? Di politiche sociali, di politiche di integrazione, di politiche di coesione territoriale… e, rispetto a queste, andrebbe detto come ci si pone rispetto alle tre-quattro forze in campo nel dibattito politico europeo (parlo di visioni ideali, prima ancora che di raggruppamenti elettorali).
Chiarito questo, alla fine, la domanda è: se si pensa di dover comunque giocare un ruolo nel dibattito politico europeo futuro, ci si può permettere di astenersi adesso? Io, francamente, penso di no, salvo che non sia preminente l’interesse di partito nel giochino difensivo di cui parlavo prima.
Se invece l’astensionismo non è una opzione, c’è modo di giocare una partita politica date le regole attuali sulla rappresentanza? Se l’idea di rappresentanza che si ha è che la partita si può giocare solo se siamo sicuri di far eleggere uno di noi, ci si trova ovviamente in un cul de sac, e io credo che sia questo, ancora di più dell’incompetenza diffusa sulle politiche europee, a impastoiare l’azione di tanta politica di taglio indipendentista e a farla rinculare verso l’astensione. Ma se si accetta un’idea di democrazia di taglio internazionalista, e non nazionalista, ci sarebbero mille laboratori politici che si potrebbero costruire, in Sardegna e altrove, per essere protagonisti in Europa.
Scrivo di getto, quindi farò danni. Sono sostanzialmente d’accordo su tutto. Non soltanto perchè credo che solo una visione europea ci possa salvare dai localismi asfittici. e dagli indipendentismi che “però” reclamano tutela (e qui mi aspetto sassate, e non solo da Alberto, lo so già); ma perchè, pragmaticamente, è da anni che ci si chiede di imparare a ragionare/programmare per macroregioni, creando” alleanze” tra simili, al di là dei confini nazionali per dare risposte comuni a problemi comuni. Ogni tanto ci riusciamo, ma mai che lo si faccia in modo sistematico, e lo dice la marea di fondi europei che mandiamo indietro. In Sardegna queste alleanze e questi modelli politici li sbandieriamo in campagna elettorale, come medaglie al valore; molto meno abbiamo voglia di accollarci la fatica di costruire e mantenere vitali quei percorsi comuni e quei progetti condivisi che ci consentano di uscire dal guado in cui ci siamo cacciati.
Tu scrivi: “Forse è il caso di interrogarsi anche sulla qualità della classe politica sarda e sulla sua autorevolezza a livello nazionale rispetto al passato”, e questo è davvero il punto nodale. NON abbiamo una classe politica autorevole, nè in Italia, nè tantomeno in Sardegna. A questo dobbiamo porre rimedio, e con urgenza, prima ancora che al collegio elettorale condiviso con i siciliani, perchè giustamente fai notare che gli europarlamentari li abbiamo eletti, in passato, quando erano in grado di catalizzare voti e consenso.
Da parte mia, so che fino al 2009 nessuno, nessuno si era preso la briga di presentare la Sardegna al Comitato delle Regioni. Sembra una cavolata, ma è sintomatico. Tutti ci vanno, pochissimi ci lavorano come si dovrebbe. Potremmo cominciare dal prendere l’Europa un po’ più sul serio, magari, prima di scannarci su modalità delle elezioni ingiuste e malintese?
Nonostantetutto ciò, nonostante questo europeismo italiano fatto di spottoni RAI e di deliri piddini a un tanto al chilo a due mesi dalle elezioni, il mio entusiasmo per il voto è quasi pari a zero. Si vota, perchè non votare è decisamente peggio: certo non scinde il collegio, certo non fa massa critica, e nemmeno dà visibilità. Tra l’altro, nonostante il dispiacere personale per Giusi Nicolini che non ci sarà, credo che la sua assenza porterà molti siciliani a votare Soru. E le contaminazioni sono il sale del progresso, quindi io voto.