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Quel sociologo attaccato alla tua spalla

Credevo di averlo perso e invece sabato, inopinatamente, un’amica mi ha restituito La signora va nel Bronx, di Marianella Sclavi, un libro bellissimo e uno dei miei favoriti, che ho già ricomprato più volte perché finisce sempre che lo presto o lo regalo e poi me lo devo procurare di nuovo.

Un mitico cartello fotografato una volta nella vetrina di una libreria di Napoli
Un mitico cartello fotografato una volta nella vetrina di una libreria di Napoli

L’entusiasmo di averlo di nuovo per mano dopo più di un anno (i miei amici, evidentemente, amano i prestiti di libri a lungo termine) mi spinge a farne la recensione.

La signora va nel Bronx (Marianella Sclavi, Bruno Mondadori 2006)

La signora va nel Bronx coverMarianella Sclavi è una sociologa italiana considerata una delle maggiori esperte in tema di risoluzione nonviolenta dei conflitti, tecnica dell’ascolto attivo e democrazia partecipativa. Fra le altre cose ha lavorato a lungo in America negli anni ’80 e La signora va nel Bronx è il racconto di una ricerca sociologica svolta in quel periodo nel quartiere del Bronx di New York, secondo un metodo di indagine senz’altro particolare.

Durante tutti gli episodi descritti nel libro, infatti, la Sclavi applica lo shadowing, cioè il “pedinamento” di un soggetto di indagine (ovviamente consenziente), che il sociologo segue per tutta la giornata come un’ombra, vivendo quindi direttamente tutto ciò che anche il soggetto vive, incontrando le stesse persone, svolgendo le stesse attività e così via.

Siamo evidentemente dalle parti dell’osservazione partecipante, con la differenza che in quel caso il focus è legato all’inserimento in un gruppo o in un ambiente sociale, mentre qui il centro dell’attenzione è il singolo individuo. Questo non vuol dire, naturalmente, che l’ambiente in cui vive la persona che viene pedinata o gli eventi a cui partecipa non abbia importanza, ma sono convinto una parte della freschezza del libro sia dovuta anche alla simpatia, al calore umano e alla personalità dei soggetti dei quali la Sclavi si fa ombra. D’altra parte non siamo in un ambiente o in un momento storico che possa lasciare indifferenti: il Bronx, con l’idea di quartiere malfamato, anzi estremo, che inevitabilmente richiama, è uno sfondo di grande interesse e la Sclavi è anche molto spiritosa nel raccontare (nel primo capitolo) i pregiudizi e le paure con cui lei, donna bianca colta e borghese, si inserisce in questo mondo. Anche il momento storico in cui si svolge l’indagine è particolarmente interessante: il quartiere è colto un attimo prima di una trasformazione radicale, in un momento in cui diverse associazioni e cooperative di quartiere lavorano già per il risanamento dei fabbricati fatiscenti e la riqualificazione urbanistica della zona, ma subito prima che a questo sforzo dal basso si sovrapponga un fiume di denaro calato dall’alto per un progetto urbanistico complessivo di trasformazione del quartiere, che successivamente sarà perciò molto, molto diverso da quello conosciuto inizialmente dalla Sclavi.

La parte che io personalmente ho trovato più interessante è effettivamente il secondo capitolo, quello maggiormente dedicato alle cooperative di vicinato dedicate a progetti che oggi chiameremmo sostanzialmente di co-housing o di autocostruzione. Credo dipenda anche da fatto che quando ho letto inizialmente il libo si trattava di un tema più vicino ai miei interessi: ieri quando ho ripreso in mano il libro sono rimasto stupito nel constatare che questo capitolo è molto più breve dei due successivi.

In realtà nel terzo capitolo il tema delle cooperative di inquilini non viene abbandonato, ma il racconto si fa più disteso, entrano in scena più personaggi e l’autrice si concentra maggiormente su ciò che accade durante i suoi accompagnamenti di alcune donne del quartiere nelle loro attività quotidiane. Nel quarto lo scenario cambia ancora e la Sclavi si concentra sulle tematiche dell’educazione e sulle differenze fra scuole di quartieri diversi (un tema sempre molto sentito negli USA), sui risultati formativi ottenuti e sulle diverse dinamiche che vi si instaurano: se riprendessi in mano oggi il libro credo che sarebbe questa la parte che mi interesserebbe di più.

Ho già accennato alla freschezza del libro, che è una lettura davvero piacevole. Molto dipende dall’interesse delle vicende e moltissimo dalla forza e dalla immediatezza dei personaggi. Ancora di più però conta la capacità di scrittura, notevole, della Sclavi, che è non solo molto brava a rendere vivi i suoi soggetti di indagine ma è anche molto spiritosa e leggera in generale (vedo su Wikipedia che la sua metodologia etnografica è definita, non a caso, “narrazione etnografica umoristica”. Per quelli più seriosi, peraltro, il libro è anche uno strumento interessante di studio, sia per la presenza di una utile bibliografia ragionata sia perché la mia edizione (la terza) è arricchita di una postfazione di taglio metodologico: Brox e Arte di Ascoltare. Per una sociologia dei patemi d’animo e la loro elaborazione creativa.

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