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Gialli al femminile: «una ragazzina lo sai che io son per te»

Prima di tutto credo di dover spiegare il titolo: il riferimento è a una canzone di Sylvie Vartan dell’epoca della mia infanzia, Come un ragazzo

Sara Paretsky, Linda Barnes e Sue Grafton

La puntata di Oggi parliamo di libri trasmessa nella settimana dell’8 marzo era dedicata, con un accostamento forse banale, a presentare una serie di gialliste i cui romanzi hanno tutti protagoniste femminili. Era una puntata che avevo deciso di fare già dall’inizio del ciclo, ma man mano mi sono trovato sempre più in imbarazzo e sempre meno convinto della qualità dei gialli che avrei dovuto consigliare. Alla fine ne è uscito fuori un compromesso forse non soddisfacente, e spero qui sul blog di riuscire a spiegarmi bene.

Delle cose dette nella prima parte della trasmissione rimango abbastanza convinto e sostanzialmente non ho grandi osservazioni. Dopo la puntata in realtà mi è un po’ venuto un dubbio sul passaggio in cui dico che l’irrompere sulla scena della letteratura di genere americana di una serie di gialliste (alle tre citate si potrebbe tranquillamente aggiungere anche Patricia Cornwell con la sua Kay Scarpetta e varie altre minori) non ha comportato, come per il fantasy, uno sforzo maggiore di consapevolezza, di riflessione, di costruzione tramite l’enigma criminale di metafore sulla vita sociale. Credo che sia un’affermazione corretta, ma riascoltandomi la trovo troppo poco problematica: dico sostanzialmente che il genere era già maturo e quindi non c’era bisogno di problematizzarlo ulteriormente. Può essere: ma l’avvento di un punto di vista femminile avrebbe comunque dovuto offrire prospettive nuove in ogni caso, cosa che non mi pare sia avvenuta. Del resto ho già avuto modo di dire, commentando i gialli di Alicia Gimenez-Bartlett, che in alcuni casi la critica sociale si è fatta casomai più banale, non più ficcante, e lo stesso vale per un’altra giallista lanciata da Sellerio, Esmahan Aykol.

Trascurando il fatto che avrei dovuto sicuramente essere più preparato per la puntata (non ho riletto recentemente niente delle tre autrici) non ho molte perplessità neanche su quello che ho detto nella seconda parte: tutto sommato ciascuna affermazione è corretta. Il problema è, casomai, quel che non ho detto, e cioè che può darsi che queste tre gialliste siano brave, interessanti e coinvolgenti, può darsi che ci si possa affezionare a una delle protagoniste (a me Carlotta Carlyle piace molto)  ma il genere della “investigatrice donna” è, per quel che ne capisco e quel che ho letto, un genere caduco e complessivamente sterile, perché troppo, davvero troppo legato alla percezione delle esigenze del pubblico  e alla volontà di dargli esattamente quello che desidera, fino al fan service.

Dei due tipi di fan service che ho citato in trasmissione la caratterizzazione (o sovra-caratterizzazione) della protagonista è quella meno problematica, anche perché lo fanno anche gli autori maschi almeno da quando tutti hanno cominciato a formarsi nei corsi di comunicazione e di scrittura creativa. In autrici come la Gimenez-Bartlett o la Aykol diventa particolarmente fastidioso perché parte della caratterizzazione è ottenuta anche con la continua espressione, da parte della protagonista, della propria visione del mondo, ma è un problema minore. Quello che davvero non mi fa apprezzare il genere è la dimensione sentimentale, sulla quale in trasmissione ho un po’ glissato, anche perché non avevo tempo, dopo che già avevo rimandato a momenti migliori lo stesso tema nella puntata su Petra Delicado.

Ho qualche volta l’impressione che in realtà questo tipo di gialli, come la letteratura urban fantasy, non siano altro che una specie di letteratura rosa sotto mentite spoglie, e davvero mi chiedo se il pubblico femminile sia proprio così: possibile che per forza una investigatrice donna debba non solo avere una storia d’amore nel romanzo ma anche che questa storia debba essere complicata e controversa, altrimenti le lettrici non si immedesimano o, peggio ancora, sembra loro che l’intreccio manchi di una parte essenziale?

Può darsi che io sia troppo duro e che sottovaluti, per esempio, la quantità di fan service ammannito al pubblico maschile dalle brune ballerine zingariane in Conan o da cose del genere; ho riletto da poco una serie di romanzi fantasy della mia giovinezza e sono rimasto stupito di quanto siano debitori a un immaginario maschile adolescenziale: c’è una sovrabbondanza di donne formose oppure di eteree principesse in pericolo, e i personaggi femminili non sembrano conoscere molte altre caratterizzazioni. Può essere, però non sono del tutto convinto, perché il problema è che la dimensione sentimentale in questi gialli nega una delle premesse narrative: abbiamo delle donne autonome, dure, che fanno un lavoro pericoloso e che sanno badare a se stesse in ogni situazione… tranne che negli affari di cuore, nei quali sono tutte uniformemente vulnerabili. È proprio come nella canzone della Vartan

Come un ragazzo per la città
cammino e vado di qua e di la
non ho paura di gente che
ce l’ha con me.

Però
una ragazzina
sarò
sempre accanto a te.
E tu
tutto quel che vuoi
lo sai
che puoi far di me

e mi pare un po’ troppo. Del resto è interessante che trent’anni dopo la Nannini, nel brano che abbiamo usato come pausa musicale, Avventuriera, esprima tutto sommato lo stesso concetto:

Naturalmente la condizione di queste donne può essere considerata esattamente analoga a quella delle loro lettrici: che magari sono lavoratrici, hanno ruoli sociali importanti e contemporaneamente devono far quadrare la vita familiare, mandare avanti la casa, badare ai figli, pulire il bagno e fare la spesa; solo che è un curioso capovolgimento, questo: il piccolo impiegato degli anni ’20 leggeva John Carter di Marte per evadere con lui, la lettrice americana degli anni ’80, ’90 o 2000, invece, vuole rinchiudere le sue eroine letterarie nella sua stessa prigione.

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