«Ti friggeranno il cervello»: quando gli scacchi facevano paura come i videogame
Grazie a una segnalazione indiretta di Mafe De Baggis sono capitato su un curioso articolo di Clive Thompson su Medium.com (intitolato: Why chess will destroy your mind) che racconta di come nell’America del 1859 ci fosse un panico diffuso riguardo ai pericoli degli… scacchi. Già: il nobile gioco non era così stimato, a quanto pare.
È un articolo interessante (per quanto non ne condivida tutte le conclusioni), e l’ho tradotto.
Solo una nota: nell’articolo si cita il campione americano Paul Morphy. Non ho voluto interrompere il flusso dell’articolo con una nota, ma sappiate che Morphy è considerato il fondatore degli scacchi moderni. A metà ‘800 fece una tournee in Europa in cui batté con facilità imbarazzante (imbarazzante per gli avversari) tutti i più forti scacchisti europei dell’epoca, i cosiddetti “giocatori da caffè” (il termine non è rimasto nel gergo scacchistico come un grande complimento, non a caso). A Morphy si attribuisce la frase: «I pedoni sono l’anima del gioco degli scacchi» e una simile visione “proletaria” non doveva guadagnargli ulteriori simpatie dai suoi aristocratici avversari. Negli USA, peraltro, il fatto che un compatriota avesse calpestato in quel modo gli altezzosi europei suscitò un’ondata di soddisfazione difficilmente comprensibile ai giorni nostri.
Perché gli scacchi ti friggeranno il cervello
o così si credeva nel 1859, secondo lo Scientific American
di Clive Thompson
Facciamo un salto all’indietro nel 1859, quando il nostro ambiente mentale fronteggiava una nuova e selvaggia minaccia. Una forma sino allora sconosciuta di divertimento esercitava una presa ipnotica sulle nostre fragili menti fino a creare dipendenza, costringendoci a impegnarci in una attività inutile e priva di senso che minacciava la comprensione della dimensione quotidiana. Severi critici culturali pazientemente criticavano e denunciavano il nuovo passate,po ma senza risultati. La popolazione era condizionata. Eravamo condannati.
Si parla, ovviamente, degli scacchi.
Stamattina il mio amico Bill Braine ha attirato la mia attenzione su una intervista con gli autori del nuovo libro Bad for you: exposing the war in fun (il libro non è edito in Italia, quindi ho messo il link a Amazon; il titolo fa più o meno: Ti fa male: svelare la guerra al divertimento, NdRufus). È una storia dei panici morali riguardo a cose che, storicamente, ai ragazzi piacevano e che gli adulti odiavano. Comprende il menù che ci si può aspettare, come i fumetti, i videogame e Dungeons & Dragons. Ma quello che ha attirato la mia attenzione nell’intervista era un riferimento al panico morale riguardo agli… scacchi:
Cunningham: Basta aspettare. Ogni nuova ondata di paure legate alle nuove tecnologie che interessano i ragazzi è giusto questo: un’ondata. L’onda arriva, raggiunge il suo culmine e poi si infrange sulla spiaggia e scivola via. È in parte per questo che abbiamo scelto di creare delle cronologie nel libro, come “Giovanofobia” o “Paura del nuovo”, per dare un quadro storico di queste reazioni isteriche. Ma a distanza di tempo, tutti questi panici tendono ad apparire sciocchi e bizzarri.
Pyle: Specialmente la “perniciosa passione” per gli scacchi praticati da bambini di “qualità morale assai inferiore”.
Scacchi come un’attività “inferiore”? Dovevo leggerlo! E dovevo leggere il testo originale. Per fortuna una rapida battuta di caccia su Google Books svela l’articolo di cui parlano: Eccitazione per il gioco degli scacchi, che apparve sul numero del 2 luglio 1859 di Scientific American.
Si inizia col parlare di come il campione statunitense Paul Morphy si fosse recentemente messo sotto i tacchi i suoi avversari europei. Ma poi l’autore prosegue col lamentare il giocare a scacchi da parte dell’americano medio. La cosa diventa una tale spaventosa geremiade che intendo citarla per intero, cominciando con la lamentela che…
… una perniciosa passione per l’imparare e praticare gli scacchi si è diffusa in tutto il paese, e sono stati fondati numerosi circoli per la pratica del gioco in città e villaggi. Perché dovremmo dispiacercene? si potrebbe chiedere. E noi rispondiamo, gli scacchi sono un semplice passatempo di qualità molto mediocre, che sottrae alla mente tempo prezioso che potrebbe essere dedicato a imprese più nobili, mentre allo stesso tempo non dà alcun beneficio al corpo.
Gli scacchi hanno acquisito un’alta reputazione come un mezzo per disciplinare la mente, poiché richiedono una forte memoria e particolari capacità di calcolo. Si crede anche di solito che l’abilità nel gioco dimostri un intelligenza superiore. Queste opinioni, crediamo, sono del tutto errate. Napoleone il Grande, che aveva una grande passione per gli scacchi, fu spesso battuto da un droghiere di Sant’Elena. Né Shakespeare, Milton, Newton o qualcun altro dei grandi della terra è mai stato abile nel gioco degli scacchi. Coloro che sono divenuti i giocatori più rinomati sembrano essere stati dotati di una peculiare facoltà intuitiva per fare le mosse giuste, mentre allo stesso tempo sembra che possedessero facoltà molto normali per ogni altro scopo. Una partita di scacchi non aggiunge alcun nuovo fatto alla mente; non suscita un solo pensiero piacevole; né serve ad alcuno scopo per raffinare e migliorare le facoltà più nobili.
Le persone occupate in occupazioni sedentarie non dovrebbero mai praticare questo triste gioco; esse hanno bisogno di attività all’aperto per ricreazione – non questo genere di esercizio mentale gladiatorio. Coloro che sono occupati in sforzi intellettuali dovrebbero scansare una scacchiera come farebbero con un nido di vipere, poiché gli scacchi sviano e prosciugano le loro capacità mentali. Piuttosto li si lasci danzare, cantare, giocare con la palla, compiere esercizi ginnici, vagabondare nei boschi o sulla spiaggia, che giocare a scacchi.
È un gioco col quale nessuna persona che si affida alla sua arte, commercio o professione può permettersi di sprecare tempo; è un passatempo – ed uno assai sterile – nella cui pratica solo coloro che sono ricchi per mezzi propri possono permettersi di perdere tempo. Poiché non vi può essere abilità in questo gioco intricato senza una pratica di lunga durata, nessun giovane che si proponga di essere utile nel mondo può perseguirlo senza pericolo per i suoi migliori interessi. Un giovane gentiluomo di nostra conoscenza, che era divenuto un giocatore abbastanza abile, recentemente spinse via da sé la scacchiera alla fine della partita, dichiarando: «Ho già sprecato fin troppo tempo su essa; non posso permettermi di farlo più a lungo; questa è la mia ultima partita». Noi raccomandiamo la sua risoluzione a tutti coloro che sono stati sventatamente sviati dall’attuale eccitazione per gli scacchi, poiché l’abilità in questo gioco non è una realizzazione né utile né raffinata».
Il tema, tuttavia, è questo: ci può far sogghignare ciò che sembra un ragionamento sballato e un po’ folle – solo che l’autore segna alcuni punti assolutamente condivisibili. Consideriamo, per esempio, l’argomentazione che gli scacchi siano un passatempo eccessivamente sedentario per persone che vivono vite via via più industrializzate e sedentarie. Questo era vero, e lo è ancora! Noi stiamo ora scoprendo che l’attività fisica aiuta a migliorare l’attività mentale, e che fare passeggiate nella natura stimola la creatività. Se voi foste stati degli impiegati di concetto del 1859, terminare la settimana di lavoro per piantarsi davanti alla scacchiera – il videogame dell’epoca – per altre ora ancora di attività cerebrale immobile, con le natiche saldamente ancorate alla sedia, probabilmente rischiava davvero di spingervi in un profondo ottundimento mentale (così come terminare una settimana di 40 ore in cui si guarda uno schermo luminoso, per poi passare il proprio tempo libero davanti a un’altro schermo luminoso, non è esattamente la ricetta per la diversità cognitiva). Ciò che conta di più, l’autore [dell’articolo] dello Scientific American ha ssolutamente ragione nel far notare che l’abilità negli scacchi non si trasferisce necessariamente ad altri settori. Si può giochi intensamente e bene quanto si vuole, non necessariamente questo vi aiuta a essere più abili in altri campi.
Anche l’idea che gli scacchi affascinino i propri seguaci in una spirale di dipendenza non è poi del tutto folle. Dieci anni fa ho intervistato diversi giocatori di alto livello, ed essi mi descrissero la difficoltà di provare a levarsi il gioco dalla testa. Dopo un torneo alcuni di loro si trovavano a giacere nel letto incapaci di smettere di visualizzare i pezzi (sembrava esattamente la “testa da Tetris“: se giochi quel gioco ossessivamente inizi a vedere i mattoncini nella tua mente quando privi ad addormentarti). Per uno sguardo verso il potere compulsivo degli scacchi leggete i primi capitoli del meraviglioso libro di David Schenk The immortal game (Il gioco immortale, in Italia edito da Mondadori, NdRufus) («pensate a un virus così avanzato da infettare non solo il sangue ma i pensieri del suo ospite umano», scrive Schenk, proseguendo col citare Einstein: «Gli scacchi tengono il proprio padrone in ceppi, incatenando intelletto e cervello così che la libertà interiore perfino dei più forti è compromessa»).
Quindi ciò che è maggiormente interessante non è la critica agli scacchi. È il baratro culturale fra l’autore e la nostra era – evidenziato nei comportamenti che noi lodiamo e riveriamo. Oggi, gli scacchi sono considerati un’attività profondamente virtuosa, poiché si suppone che aiuti a sviluppare un controllo degno di uno jedi sulla propria concentrazione. Ma una focalizzazione concentrata come un laser non è sempre stata considerata questa gran cosa. Come ha scritto la mia collega su Message Virginia Heffernan un po’di tempo fa, molte persone del XIX secolo consideravano poteri profondi di attenzione e di concentrazione inquietanti e insani. Se si andava troppo avanti in quella direzione si poteva finire come Ahab in Moby Dick: focalizzati, certo, ma anche completamente ossessionati. Questa è esattamente la prospettiva dalla quale l’autore dello Scientific American attacca gli scacchi. Troppo focus, troppa devozione e stare seduti al tavolo da gioco, può farti male. Chi può dire che non si tratta di un atteggiamento più sano?
Gli scacchi possono non essere cambiati negli anni, ma noi certamente l’abbiamo fatto.
La frase sui pedoni e’ di Philidor 🙂
Noooooooo, che asino che sono! 😉
E comunque le considerazioni fatte non si applicano al gioco lampo …
E per finire, aspettavo da tempo l’occasione di postare questo simpaticissimo racconto: http://en.chessbase.com/post/in-the-beginning-was-the-board-
Con traduzione italiana qui:
http://www.bulgaria-italia.com/bg/forums2/topic.asp?TOPIC_ID=3422 (bisogna scendere un po’)
ciao! bellissimo post!vi consiglio l’ultimo gioco di scacchi di ketchapp : https://play.google.com/store/apps/details?id=mobi.ketchapp.warofchess
Siamo al limite dello spam…
Davvero buffa, questa storia. Ed è inquietante vedere che possono passare decenni e secoli, ma i parrucconi non passano mai 😛
L’idea che una persona non possa disporre del proprio tempo libero come preferisce (finché non è qualcosa di illegale) è dura a morire, vedo: forse, gli scacchisti di allora avrebbero avuto meno problemi se i loro hobby fossero stati gli stessi di questi “moralizzatori” 😛 (immagino che nelle invettive sarà stato presentato un panorama più “sobrio” come – invento – il tiro al bersaglio o gli incontri in Loggia).
Mi sa che in Europa andava pure peggio: tra i crimini contro la morale attribuiti a Maupassant c’era anche il canottaggio – e quando Meyrink veniva criticato dagli snob per il suo stile di vita, il pacchetto donne+scacchi+canottaggio era servito in bundle XD
Tra 80 anni, cosa sostituirà, nel cuore dei criticoni, i nostri grandi pericoli? Fumetti, videogame, fantasy, gdr etc., da cosa saranno scalzati – diventando normalissimi e borghesi?