“Il nome della rosa”: libro, radio e cinema
Prima di ogni altra cosa devo ammetterlo: sono un cialtrone. Involontario, magari, ma un cialtrone.
Se sentite la puntata di Oggi parliamo di libri dedicata a Il nome della rosa vi renderete conto che c’è una lunga parte (tra l’altro troppo lunga, tanto che mi ha costretto a tagliare altre cose più importanti) in cui descrivo un episodio del libro.
Peccato che da poco ho cominciato a rileggere il libro – la puntata l’ho fatta a memoria – e ho scoperto con sorpresa che l’episodio citato nel libro, semplicemente, non c’è.
Intendiamoci, il concetto che volevo esprimere è del tutto corretto: Guglielmo da Baskerville è modellato su Sherlock Holmes. Adesso che sto rileggendo Il nome della rosa noto che la sua descrizione fisica è del tutto ricalcata sulle parole di Conan Doyle, quasi parola per parola, e l’episodio del bagno che cito io (e che è, invece, del film) nel libro è sostituita dall’episodio dell’individuazione del cavallo dell’abate, che peraltro è ancora più sherlockiano.
Devo dire che in questa rilettura che sto facendo la domanda che mi pongo continuamente è se Il nome della rosa sia, diciamo così, logoro o se mantenga tutt’ora una sua freschezza e una sua leggibilità, e la risposta ha indubbiamente a che fare appunto con Sherlock Holmes come modello di Guglielmo e con tutte le altre mille citazioni che Eco infila nel testo (Jorge da Burgos come Borges, per esempio). Forse trent’anni fa l’operazione era sufficientemente innovativa, o in linea con lo zeitgeist postmoderno: oggi certo farebbe sollevare più di un sopracciglio, e probabilmente apparirebbe bolsa. Si potrebbe obiettare che oggi cose del genere le hanno fatte cani e porci, e che non è per questo colpa di Eco, il quale invece realizzava un’innovazione: il problema è che più mi inoltro nella lettura più ho l’impressione che proprio alcune delle cose più tipiche dell’autore, l’erudizione, la capacità mimetica, il giocare coi simboli e con i materiali culturali di oggi (ieri, cioè 1980) e del medioevo, siano quelle che funzionano meno nel libro – compreso il linguaggio, per esempio. Regge l’intreccio, invece, le caratterizzazioni dei personaggi, la tensione etica e i contrasti fra i caratteri dei protagonisti: non so, però, se questo sia il centro del libro, perlomeno il centro che voleva Eco, e se basti ad assicurargli un posto per la posterità. Vedo che Eco, nelle Postille, fa una petizione a favore del divertimento, dell’autore e del lettore, e certo questa è una dimensione che regge anche oggi: ma mi chiedo se in questa petizione Eco sia del tutto sincero, e se comunque il divertimento non sia soffocato da tutto un accademismo che anche nelle Postille – interessantissime, per carità – occupa pagine su pagine, rispetto al tema del divertimento, a cui ne viene accordata a malapena una.
Una parte di questi dubbi, in realtà, è alimentata dal fatto che recentemente mi è capitato di rivedere casualmente anche il film de Il nome della rosa, e di averne ricavato più di una sorpresa e un senso complessivo di rovesciamento delle aspettative. Ricordavo che il film mi era sembrato, tanti anni fa, molto inferiore al libro per il modo con cui ne sconciava e riduceva la trama fino a renderla incomprensibile e per come ne semplificava e ignorava le tematiche più complesse. Rivedendolo, invece, mi è parso che la trama sia tutto sommato resa in maniera efficace – non era facile tenere lo spettatore attraverso il complesso intreccio di omicidi e di misteri – e abbia comunque una bella tensione drammatica, meno complessa di quella del libro, certo, però avvincente a sufficienza. Quello in cui pecca il film, invece, è nella messa in scena – è un medioevo molto anni ’80, e oggi davvero non si può vedere – e nella discussione delle tematiche religiose, che è piuttosto semplicistica.
Ci sono film tratti da libri che non sono semplicemente trasposizioni, ma recensioni dell’opera da cui sono tratti, e in qualche modo mi sembra che questo sia uno dei casi: a distanza di tempo mi pare che quel che all’epoca sembrava un tradimento de ll nome della rosa fosse invece un prenderne esattamente la misura.