Cose di cui non mi sembra importante parlare
Ci sono cose, nella querelle che nelle settimane scorse ha opposto archeologi delle Università di Cagliari e Sassari e Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, con la partecipazione straordinaria della Barracciu e di Mauro Pili e sotto l’attenzione vigile di circa un milione e mezzo di commissari tecn…, ehm, archeologi dilettanti, che mi incuriosiscono non poco.
Un po’ la curiosità dipende dal fatto che su certe cose mi scopro ignorante e non c’è nessuno che le spieghi: come si fa normalmente a decidere chi scava su un sito archeologico, come e quando?
Da lì partono domande sulle quali sembrano essere state stese cortine fumogene, ma che sono importanti: chi decide la politica culturale, le priorità, i fondi, gli obiettivi? E, in questa questione, che obiettivi ci si è posti, secondo quali criteri? E se c’è un contrasto fra Università e Ministero, che idea di cultura, almeno di cultura archeologica propugnava ciascuno? E, uhm, senza che nessuno si offenda: che a Mont’e Prama scavino gli uni o gli altri comporta differenze di taglio scientifico, di qualità di ricerca, e cose del genere? Oppure ci saranno delle conseguenze di secondo livello, tipo: chi pubblicherà gli esiti delle ricerche, avendo da esse fama mondiale? Ci sono lotte al coltello fra gruppi rivali di archeologi (immagini che balzano in maniera inquietante alla mente: funzionari del ministero assassinati con settemila taglietti di ossidiana del Monte Arci e per vendetta salme di archeologi sardi che emergono dai muri di Pompei)? O magari ci dovremmo chiedere se gli archeologi locali perdono l’occasione di rimpolpare i propri impact factor o quel che adesso è di moda usare per valutare l’eccellenza di un antichista? Non sono mica domande che riguardano banalmente il destino personale di un professore o di un altro: è questione di politica culturale, perché vuol dir poter animare e sostenere un gruppo di ricerca oppure, per esempio, costringere dei giovani ricercatori ad andarsene a scavare le Tombe di Atuan pur di potersi fare un nome.
Ci sono, poi, questioni che a occhio riguardano quel che genericamente si chiama “buona amministrazione”. Tipo come si scelgono le cooperative che scavano i siti archeologici, se nel caso in questione la gara di aggiudicazione dell’appalto era adeguata, che criteri sono stati usati e tutte quelle questioni che, in generale, hanno a che fare con l’impiego di fondi pubblici rilevanti.
E poi, naturalmente, mi incuriosirebbe che qualcuno mi spiegasse che cosa tutta la querelle dice riguardo al posizionamento interno alle élite sarde e ai gruppi dirigenti dei vari partiti, sui rapporti, che so, fra Pigliaru e la Barracciu, sulle dinamiche interne al PD locale e nazionale, sui rapporti fra questo partito e le Università locali, sul perché sostenere una scelta potenzialmente impopolare a livello locale e così via. Qualcosa dice, mi pare, ma le anime semplici come me avrebbero bisogno che i commentatori di professione, intellettuali, giornalisti, gliele spiegassero, magari con un disegnino.
Sono tutte cose che mi incuriosiscono e delle quali mi piacerebbe si parlasse.
Una cosa, invece, trovo estremamente poco interessante: il fatto che la cooperativa che ha vinto l’appalto sia emiliana.
Di questo, francamente, non me ne frega niente.