Quel che resta del giorno
È un po’ che faccio le puntate di Oggi parliamo di libri totalmente a braccio, senza nemmeno appunti scritti. Ogni tanto trovo che questo renda la trasmissione più naturale, altre volte pago caramente questa pretesa scomponendomi nell’esposizione e, come al solito, andando lunghissimo nei tempi.
Trovo che la puntata dedicata a Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro sia abbastanza rappresentativa di questa nuova tendenza: è abbastanza equilibrata, ma gli manca magari un qualcosina in più che poteva essere detto per renderla giusto un filo più interessante. Non è una cosa molto importante, però mi secca perché questo romanzo, per esempio, è davvero bello e non vorrei che il suggerimento di leggerlo non arrivasse a destinazione solo perché non sono stato abbastanza efficace.
Piccola nota sull’appropriatezza dei termini
L’unica nota aggiuntiva riguarda Stevens come “autistico”. Mi sono ricordato dopo la puntata di una vecchia polemica politica (fra Renzi e Mineo, caspita) per la quale dare a qualcuno dell’autistico sarebbe “un’offesa a milioni di famiglie”. Boh: non mi sembra, ma mi spiacerebbe lo stesso avere offeso la sensibilità di qualcuno.
Ci sono comunque probabilmente delle espressioni più appropriate: viene alla mente “idiota relazionale”, per esempio; Stevens non è totalmente incapace di sentimenti e relazioni – infatti sarebbe scorretto attribuirgli una “aridità sentimentale” – ma è in questo campo fortemente limitato, come se gli organi spirituali a queste dimensioni dedicati fossero totalmente atrofizzati. In questo senso forse il punto del romanzo da ricordare non è la morte del padre, che ho citato in trasmissione, quanto il momento in cui si allena allo specchio alla chiacchiera disinvolta e spiritosa (nell’originale inglese è banter, che mi rifiuto di tradurre, come sarebbe appropriato, con l’arcaico “celia”), in modo da poter intrattenere il padrone in questo modo mentre lo assiste nella colazione mattutina, come ha letto che sarebbe doveroso per il maggiordomo moderno. Tutto nell’episodio, l’accettazione acritica di qualcosa di letto chissà dove, l’incapacità di gestire le relazioni umane in maniera naturale, l’approccio meccanico alla risoluzione del problema, la totale incomprensione del perché sia necessario comportarsi in un certo modo, definisce Stevens in maniera perfetta. Eppure Stevens è molto di più, come sa chi ha letto il romanzo, nel suo peculiare modo e dentro i suoi limiti spirituali: forse questo poteva meglio essere ricordato in trasmissione, a fianco al tema – credo corretto – del doppio viaggio, quello in avanti verso Miss Kenton.
L’altro limite terminologico della puntata è il mio continuo uso del termine dignità, forse influenzato dall’inglese dignity. riascoltandomi forse “decoro” poteva essere più appropriato, o forse no. Magari si poteva usare una volta l’uno e una volta l’altro termine!
Non vorrei dare l’impressione che io pensi in inglese. Però ora che ci penso noto anche che più volte nel parlare mi è sfuggito come tradurre il termine manor con “magione”, e ho fatto una serie di circonvoluzioni vocali non da poco per recuperare. Ohi ohi: magari la prossima volta vado lo stesso a braccio ma mi scrivo prima i vocabolo da usare…
Pausa musicale con un brano imperdibile, anche se non proprio direttamente collegato, che vi propongo qui nella versione estesa con altri due pezzi, che tanto dosi maggiori degli Smiths non fanno mai male.
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