Il diario di Bridget Jones
Ho messo in linea oggi la puntata di Oggi parliamo di libri dedicata a Il diario di Bridget Jones.
Devo dire che mi chiedo come mai le puntate che dedico a libri che non mi piacciono poi moltissimo riescano di solito meglio di quelle che trattano i miei preferiti. Anche in questo caso: è una puntata equilibrata con, nel suo piccolo, alcuni spunti interessanti, ed è dedicata a quella che considero, complessivamente, una discreta (anche un po’ furba) operazione commerciale, molto in linea coi tempi, scritta con arguzia, ma insomma, certo non un capolavoro.
Eppure la puntata non è venuta male e, oltretutto, lascia la necessità di pochissime considerazioni ulteriori.
La prima riguarda l’osservazione che faccio, di sfuggita, sul perché quando ci si rivolge a un pubblico presumibilmente femminile si consideri necessario trasfondere qualunque tipo di contenuto dentro una dimensione sentimentale. È una domanda che ha delle risposte, temo, meno ovvie del previsto e alla quale pensavo di dare una risposta durante questa lunga carrellata di puntate dedicate alle grandi storie d’amore della letteratura: invece ho man mano fatto tante scoperte ma la possibilità di soffermarmi a dovere su questo argomento continua a eludermi.
Magari potrebbe essere qui il blog il luogo adatto dove riprendere l’argomento, se qualcuno ne ha voglia.
L’altra precisazione riguarda il punto in cui parlo delle tarts e dei vicars. A parte che non sono affatto sicuro che anche la loro inclusione da parte della Fielding non sia volontariamente una osservazione di costume (anzi lo è certamente, anche se io volevo probabilmente dire che l’autrice non sembra cogliere fino in fondo l’insensatezza di fondo dell’ambiente che descrive), il punto interessante riguarda quel che dicevo a proposito di Quel che resta del giorno e del confronto fra quella società e quella di Bridget Jones. È chiaro che detta come l’ho detta la cosa è insostenibile; oltretutto c’è un accenno criptico a un vuoto morale che si intravede e che lascia presagire quel che… sarebbe accaduto poi in Inghilterra.
Ecco: ma che è accaduto poi in Inghilterra? È una delle maggiori potenze mondiali, è uscita dalla crisi meglio di altri, assicura benessere ai suoi cittadini (sicuri?) e insomma, non sembrerebbe affatto in crisi.
Il problema è che oggi, a un mese e più dalla puntata, non lo so mica quel che volevo dire (maledetta abitudine di caricare le puntate a distanza!). Probabilmente avevo in mente il mesto declino della mitologia alla Blair, probabilmente i segnali di crisi crescente del pensiero postmoderno, che in Inghilterra sono forti, probabilmente l’insensatezza generale della costruzione monarchica, però insomma: non lo so e non sono più sicuro. Abbiate pazienza.
Come pausa musicale il brano portante della colonna sonora del film Out of reach di Gabrielle. Per la segnalazione del brano ringrazio Simone Bellisai.