Dilaniato fra donne terribili: Sigfrido e la fine dei Burgundi
Come fu che lo zio Rufus decise di parlare di Sigfrido e della saga dei Volsunghi
Nella puntata di Oggi parliamo di libri sulle fiabe avevo notato una scarsità di temi sentimentali, intesi in senso romantico, e di storie d’amore come le intendiamo in senso moderno.
C’era qui qualcosa che strideva. Anche ammettendo che: «il passato è una terra straniera, fanno le cose diversamente, là», come diceva Leslie Poles Hartley, a me sembrava un’omissione non da poco e non facilmente spiegabile.
È nato così uno strano ciclo di puntate, del quale ho pubblicato oggi su YouTube la prima, dedicata alla saga (o leggenda?) di Sigurd/Sigfrido.
Il punto di partenza, in realtà, è stato Dante. La mia prima risposta al dubbio citato, infatti, è stato quello di pensare che nei secoli passati l’amore sentimentale fosse sconosciuto. Facevano le cose in maniera differente, là.
Ed è stato allora che mi sono ricordato di Paolo e Francesca. Perché lì, evidentemente, c’è una testimonianza di passione. E mi sono anche ricordato del libro che leggevano i due sfortunati amanti: Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse. “Galeotto” è Galehaut, e perciò le storie che Paolo e Francesca stanno leggendo sono le storie dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Ah-ah. Storie d’amore medievali. Ma, accidenti!, storie d’amore cortesi, scritte e raccontate per un ambiente altolocato. Rispetto alla tesi della puntata sulle fiabe (l’amore fuori dell’orizzonte delle classi subalterne) qui siamo in un altro campo. Non possiamo ancora smentire quella tesi.
In realtà la materia arturiana ha un’origine orale piuttosto complessa che non si può immaginare riservata solo alle classi agiate, ma francamente io non sono in grado di discernere fra tutti i rami delle saghe per individuare i portati della cultura alta e di quella bassa: però il riferimento alle saghe arturiane mi ha rimandato alle saghe vichinghe che, per quanto raccolte e sistematizzate da eruditi e intellettuali, mantengono un riferimento alla loro origine orale e popolare più forte delle storie di Artù e dei suoi cavalieri. E nelle saghe nordiche, anche e soprattutto in quelle palesemente legate a tradizioni familiari (penso a Njáll il “bruciato”, per esempio) e non costruite in ambiente cortese, un po’ di indizi sulla forza dei sentimenti d’amore li ho trovati.
Era da aspettarselo, dite? Non so. Ripeto: il passato è una terra straniera, fanno le cose diversamente, là. E quindi alla fine non sapevo bene cosa aspettarmi.
È partita così una serie di puntate “sulle saghe”: il tentativo di confrontare le fiabe con alcune altre tradizioni della narrativa europea che con le fiabe e fra loro condividono una parte dei materiali narrativi, per vedere dove, in tutto questo magma, si trovano storie d’amore e dove no.
Non spetta a me dirlo, però credo sia una serie di puntate interessanti; sicuramente io ho trovato molto interessante tentare di impostare un discorso coerente e lavorare sul confronto di tutti questi materiali.
Soprattutto, però, più che storie d’amore ho trovato tensioni. Indizi più o meno forti di un disagio nei confronti di alcuni temi, in particolare in ambito familiare; correnti carsiche nel modo di pensare che mi hanno suggerito che gli uomini e le donne che si raccontavano queste storie desiderassero una vita diversa, riguardo al ruolo delle donne, al patriarcato e al possesso delle donne giovani da parte di uomini anziani, ai matrimoni combinati e a diverse altre cose: ne parlerò man mano.
Nel frattempo, però, è giunto il momento di parlare specificamente della puntata.
Sigurd e le possibili alternative
Probabilmente per i miei scopi erano più adatte due altre saghe: o quella alla quale ho già accennato di Njall (Brennu-Njáls saga) o quella di Egill Skallagrímsson (Egils saga Skallagrímssonar); sono infatti due saghe che riprendono sicuramente archivi di tipo familiare e che non hanno certamente subito, anche nel momento in cui sono state raccolte e pubblicate da ecclesiastici colti islandesi, nessuna influenza di tipo cortese. In queste due saghe (entrambe bellissime, e che consiglio caldamente) la forza dei sentimenti d’amore compare più volte (anche negativamente, come gelosia) e quindi sarebbero servite benissimo allo scopo. Tra l’altro gli eroi di queste due saghe si muovono talvolta in un ambito aristocratico – Egill è in relazione coi re di Norvegia, come Eirik Asciadisangue, che peraltro doveva essere poco più che un grassatore su larga scala – ma le loro origini sono saldamente nel ceto dei karl, i contadini liberi, e come tali ciò che raccontano di se stessi dovrebbe essere libero da influenze cortesi.
Com’è allora che ho parlato di Sigurd?
Beh, perché le due saghe in questione sono piuttosto lunghette, soprattutto quella di Egill, e i riferimenti sentimentali sparsi in mezzo a mille altre vicende: nella storia di Sigurd raccontata nella Völsunga saga, perlomeno, l’intreccio amoroso fra Sigurd, Brynhild, Gunnar e Gudrun (nella saga dei Nibelunghi diverranno Sigfrido, Brunilde, Gunther e Crimilde: durante la puntata ho un po’ usato i nomi talvolta secondo un resoconto e talvolta secondo l’altro) ha un ruolo preminente, perlomeno nella seconda parte.
A quanto ho detto in trasmissione non ho molto da aggiungere, se non un paio di osservazioni.
La prima riguarda l’origine della saga: a rigore non è norrena, ma germanica. Anzi: forse neppure germanica come la potremmo intendere, perché i Burgundi erano parte di quel coacervo di popoli assemblato dagli Unni nella loro orda (e infatti Atli, Attila, compare nelle varie versioni della saga). Poi naturalmente potremmo dire che i Burgundi probabilmente erano originari della penisola scandinava – e quindi erano norreni – e poi erano migrati a sud, e che probabilmente la saga incorpora, oltre a elementi parastorici (la rovina di Gundicaro e il sacco di Worms da parte degli Unni) anche elementi magari più antichi… o forse no: ne riparleremo quando racconterò dell’inclusione di elementi mitologici nel Mabinogion irlandese; qui quel che mi interessa è chiarire che non necessariamente la Völsunga saga è più antica del Nibelungenlied: le cose sono un po’ più complicate, diciamo. In ogni caso il mio consiglio di leggere la prima piuttosto che la seconda è, in buona parte, questione di gusti.
Altre osservazioni sparse, soprattutto sui temi amorosi: c’è un filtro magico, nella storia, che comparirà anche in Tristano e Isotta con funzioni simili. Sarebbe interessante interpretarlo come un goffo tentativo di fornire all’eroe una giustificazione “morale” per quella che sarebbe, altrimenti, una seduzione con abbandono. È un’ipotesi accattivante, e comunque segnala, ancora una volta, una tensione: fra una fedeltà presunta e il fatto che le saghe segnalano una grandissima mobilità: uno è sposato, parte e altrove si rifà una famiglia; di quella precedente non sapremo più niente. Faceva problema? Forse si, magari.
Ancora. Ho provato a dirlo anche in trasmissione: il motore della storia d’amore è tutto al femminile, anche se il protagonista apparente rimane Sigurd. Ed è un motore estremamente competitivo, per alcuni aspetti direi maschile: il che segnala, pure in una società di guerrieri, un ruolo interessante delle donne; eppure non c’è tenerezza ma le donne appaiono, con l’eccezione del temibile Hagin, parecchio più spietate degli uomini. Un’altra tensione, sulla quale credo che tornerò commentando le prossime puntate.
Gustatevi la pausa musicale, nel frattempo, poi vorrei spendere due parole su come fare per leggere queste storie.
I libri da leggere
Io ho a casa una bella edizione delle saghe nordiche (che comprende sia le storie di Njall che quelle di Egill e Sigurd), in un cofanetto degli Oscar Mondadori, una fantastica combinazione di qualità e prezzo. Purtroppo ho scoperto con dispiacere dopo aver preparato questa puntata che si tratta di una edizione ormai fuori commercio. La saga dei Volsunghi è comunque compresa nell’Edda poetica, che dovrebbe essere più facile da trovare. Fra le cose che so che esistono ma non ho mai letto per bene segnalo anche un testo di Carocci intitolato Carmi di Sigurd. Testo feroese a fronte, un saggio La morte di Sigurdr pubblicato dalle Edizioni dell’Orso e vedo anche che è uscita una riscrittura della saga fatta da Tolkien (nientemeno!!), La leggenda di Sigurd e Gudrun, con perfino il testo inglese a fronte. La saga dei Nibelunghi è più facile da leggere: si trova in una bella edizione di Einaudi e, in una versione credo differente, è pubblicata anche da TEA.
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