Gli scorridori
Contrariamente al solito ho passato il Triduo pasquale vagabondando per la Sardegna, e capita così che il Venerdì Santo fossi all’Abbazia di San Pietro di Sorres.
Era da poco terminata la via Crucis e, nell’attesa dell’inizio di una lectio e poi della liturgia del giorno, verso le quattro del pomeriggio io e Maria Bonaria eravamo, praticamente da soli, sul sagrato.
Ed ecco vediamo venire verso di noi una carovana, non c’è altra parola, di fuoristrada di vari modelli (scoprirò poi che erano tutte Land Rover).
E quindi siamo lì, di Venerdì Santo dopo la via Crucis, silenzio per mille miglia intorno tranne qualche campanaccio, il lontano grido del falco e il rumore di una quarantina di motori imballati.
Perfetto.
Ah no, ancora non è perfetto. Perché dalle auto, rigorosamente impolverate, scendono equipaggi – tutti palesemente continentali – rumorosamente sguaiati.
Reduci da chissà quale immaginata avventura nell’incontaminata ferinità degli stazzi, immagino, che al confronto una settimana nel Gobi dev’essere una passeggiata.
C’hanno pure il walkie talkie. Lo usano per chiedersi dove sia finita un’auto che manca. «Era dietro di noi finché non siamo entrati nel fango…» (entrati nel fango!!), «Pronto pronto pronto…», «Com’è che si chiama questo posto?!».
Adesso sì che è perfetto.
Non so quanti conoscano Sorres. Ci si arriva per un’unica strada di accesso. Poco prima dell’Abbazia, sulla sinistra, c’è un grande spazio che serve da parcheggio e che fiancheggia il cancello laterale che dà accesso all’ingresso per i turisti. Proseguendo per venti metri, dopo un ben visibile divieto d’accesso, c’è un altro grande spiazzo e, lievemente rialzato, il sagrato.
Secondo voi dove si è fermata la carovana?
Bravi, avete indovinato. Con due macchine sui due vialetti d’accesso, fronte alle altre.
A segnare la conquista, mi sono detto. C’è chi mette la bandiera sull’Himalaya e chi parcheggia il fuoristrada davanti all’Abbazia di Sorres.
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